Interdipendenze in tempo di Covid-19

Gianni D'Elia

In queste brevi riflessioni scritte non mi inoltrerò in analisi della pandemia in corso, dei suoi dati o delle misure prese. Non ne sarei certo in grado e mi sembra ci sia ancora un po’ di confusione, non solo in me. Di fronte alle morti di questi giorni, particolarmente tragiche per le sofferenze fisiche e la lontananza dai propri cari, e al sacrificio di tanti sanitari, non rimane che la compassione.

Non farò neppure facili esercizi di immaginazione su quello che succederà in termini di sofferenze sociali ed economiche o di aumento di patologie derivanti da ansie, paure, costrizioni in casa complicate o da troppa esposizione alle tecnologie soprattutto per i più piccoli.

Vorrei invece solo fare due, tre considerazioni a valle o a monte o all’interno di ciò che sta succedendo.

La prima, è che rimango ogni giorno di più sorpreso, a volte con rabbia e a volte con malinconia, di come reagiamo a fatti di questo genere.

Viviamo in un mondo fatto di interdipendenze, di relazioni complesse a più livelli. Bateson lo aveva esemplificato bene con la sua famosa metafora della farfalla che quando sbatte le ali può provocare un uragano dall’altra parte del mondo.

Siamo interdipendenti come individui gli uni con gli altri e come popoli del pianeta, dal più sperduto villaggio della foresta amazzonica alla più grande città. Sono in relazione e strettamente connessi gli essere umani e l’ambiente naturale e animale. C’è relazione stretta tra organi e parti del nostro stesso corpo.

Il problema, lo era prima del virus e lo sarà anche dopo, è sempre quello di non separare ciò che è collegato e dev’essere unito.

Sappiamo bene come i traumi, le paure, le ansie o la solitudine subita possano portare a malattie. E dovremmo sapere bene come alcuni modi di produzione, l’aria che respiriamo, il modo di spostarci, come smaltiamo i rifiuti, ciò di cui ci nutriamo, la tendenza a proteggere o devastare i nostri territori ecc. hanno delle influenze dirette e molto forti sulle nostre condizioni di salute.

I lavoratori dell’Ilva di Taranto, gli abitanti della terra dei fuochi, tutti i cittadini rispetto ai cambiamenti climatici meriterebbero almeno un decimo dell’allarme innescato oggi.

L’evidenza dell’interdipendenza richiederebbe ancora di più e cioè di riconsiderare la nostra umanità come destino comune.

Siamo turbati da ciò che capita ai nostri cari, ai nostri vicini nei paesi e nelle città che conosciamo bene. Invece, perchè non riusciamo a mobilitarci per le centinaia di migliaia di persone che ogni giorno muoiono per fame e guerre, per malattie facilmente curabili o per le condizioni in cui vivono migliaia di migranti nei campi di concentramento in Libia o a Lesbo? Per tanti versi questi parallelismi non funzionano ma  ci possono indicare qualche via da intraprendere per politiche piu’ eque e credibili.

Un ‘altra considerazione attiene al linguaggio militare utilizzato: siamo in trincea, mancano le munizioni, ci sono disertori ecc. Queste alcune delle frasi utilizzate dai media, da diversi politici e da persone comuni, quasi che la guerra debba a tutti i costi entrare nelle nostre vite quotidiane e divenire pensiero e azione inevitabile.

Si sente ancora dire: magari questi eventi ci porteranno a essere migliori, quasi che ci fosse bisogno di un virus o di una guerra per purificarci e farci cambiare strada. Non so, può essere. Però c’è anche la possibilità di considerare, visto come resistiamo alle interdipendenze, di accettare che i disastri ci sono e ci saranno e che occorre farvi fronte con le parti migliori di noi stessi, cercando di non lasciare indietro troppe persone.

L’ultima considerazione forse scontata, che non ci aiuta a stare meglio ma a capire, è il fatto che da anni si tirano via mezzi e personale al nostro sistema sanitario pubblico che era uno dei migliori e più giusto al mondo. Se si continuano a tagliare risorse e a privatizzare i servizi, è evidente che poi si sarà sempre meno pronti ad affrontare queste emergenze ma anche le normali esigenze di cura della salute.

Anche la minore attenzione, negli ultimi anni, alle attività di prevenzione e di contrasto ai disagi sociali porterà a difficoltà nel gestire le nuove emarginazioni e povertà che sono dietro l’angolo.

Termino nominando Ivan Illich, Michel Foucault e anche Danilo Dolci. I loro scritti ci possono aiutare a non farci contagiare dal virus del dominio. Per me oggi può voler dire essere responsabile cittadino di questa comunità civile ma essere al contempo vigile affinché il nostro sistema politico, sanitario, militare e mediatico non prenda eccessive derive di controllo delle persone o di eccessiva sanitarizzazione di tutta la nostra vita e della nostra morte. In questo senso, non so se sta andando tutto bene o andrà tutto bene come abbiamo fatto scrivere ai nostri bambini.

Cerchiamo di fare la nostra parte perché via via prevalga il virus dell’apertura e della cooperazione anziché quello della chiusura e del dominio.

1 commento
  1. M.B
    M.B dice:

    Come non condividere? Questo ahimè è un mondo in cui anche il dolore e la reazione che ne deriva rientra nei privilegi della globalizzazione. Come te, oggi non ce la faccio a chiedermi se il dopo Covid ci farà migliori…continuo a credere però nell'importanza del singolo individuo..della singola coscienza che già oggi fa e farà la differenza . Non mi scandalizza il male, ma lo combatto. E credo nel tanto bene che non fa rumore ma c'è. MB

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