In tempi di COVID-19: la Patria, i numeri, le notizie, i soldi… gli invisibili

Elena Camino

La Patria

Venerdì 13 marzo, il telegiornale di RAI2 in prima serata si  conclude con l’immagine delle Frecce Tricolori e con l’inno di Mameli.  Poco prima Trump aveva salutato l’Italia proprio mostrando un volo della pattuglia acrobatica italiana. E ancora prima era girato in rete un video delle Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica dell’Aeronautica militare italiana, subito diventato ‘virale’, accompagnato dalla scritta: “Insieme ce la faremo a sconfiggere il nemico invisibile”.  

Al tempo della pandemia globale i confini nazionali sono rinforzati: controlli alle frontiere, blocchi in ingresso e/o in uscita dalle singole Nazioni, classifiche continuamente aggiornate su vivi e morti, confronti tra disciplinati e indisciplinati: Italia e Iran sono le due Nazioni (al 14 marzo) con la più alta densità di casi rispetto al numero di abitanti. Al 16 marzo i dati accertati in Italia sono 24.747, e in Iran 14.991.

I numeri, l’attenzione, l’azione

Riguardo alla pandemia da coronavirus sono impressionanti non solo i numeri in sé, ma quello che implicano: uno stuolo immenso di persone, mezzi, uffici, computer, in grado di raccogliere dati da (quasi) ogni parte del mondo e di esibirli, aggiornandoli quotidianamente, in tempo reale.  E parallelamente, intere comunità sono rappresentate da numeri: le aggregazioni dei dati si fanno per lo più su base nazionale o regionale, sottolineando così  l’importanza che viene data ai confini. E a seconda dei dati rilevati, confini si aprono, altri vengono sbarrati.

Non sono molte le situazioni di allarme pubblico che godono di pari attenzione, per diversi motivi:  alcune non vengono pubblicizzate, o non ricevono attenzione dai media, o vengono ignorate dai decisori politici e dai legislatori. Tra le conseguenze di queste differenze sul piano dell’informazione, ci sono conseguenze importanti nelle decisioni politiche, nell’imposizione di regole, nelle iniziative pubbliche, nell’erogazione di contributi.   Il caso attuale del COVID-19 è un esempio evidente della rapida mobilitazione per la raccolta di fondi.

Si chiama Solidarity response fund. È il fondo lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Fondazione Nazioni Unite e Swiss philantropy foundation, per raccogliere donazioni per sconfiggere la pandemia Covid-19 nei vari Paesi. Il fondo, primo nel suo genere, come ha precisato l’Oms, consente a tutti, privati cittadini, società e istituzioni di tutto il mondo di contribuire agli sforzi in atto a livello globale per contrastare l’avanzata del contagio di nuovo coronavirus.

Facebook lancia una raccolta fondi per il coronavirus e si impegna a donare fino a 10 milioni di dollari. “Abbiamo lavorato con la Fondazione delle Nazioni Unite e con l’Oms per avviare un Fondo di risposta solidale per il Covid-19 dove tutti possono fare una donazione”, scrive il Ceo Mark Zuckerberg in un post, spiegando che Facebook donerà la stessa cifra che verrà raccolta fino a 10 milioni di dollari.

Ma vediamo qualche altro esempio, in cui non è presente altrettanta sollecitudine, in termini di interventi legislativi o in termini di mobilitazione del pubblico e delle istituzioni.

Malaria key facts – report di gennaio 2020

  • La malaria è una malattia che mette a rischio la vita: è causata da parassiti che sono trasmessi alle persone dalle punture della femmina della zanzara Anofele. E’ una malattia che si può prevenire e curare, se ci fossero i fondi e le strutture. Le stime indicano che nel 2018 i casi di malaria nel mondo siano stati 228 milioni, e le morti circa 405.000.
  • I bambini di età inferiore a 5 anni sono i più vulnerabili: nel 2018 ne sono morti 272.000, pari al 67% dei malati. L’Africa è il continente più colpito: nel 2018 si è registrato qui il 94 % dei casi.  In  questo anno i fondi raccolti per combattere la malaria sono stati complessivamente 2,7 miliardi di $.

Inquinamento dell’aria

L’inquinamento dell’aria causa circa sette milioni di morti premature ogni anno, e costituisce una grave minaccia alla salute e all’ambiente.  Le cause di morte sono per lo più da associare a malattie cardiache, malattie polmonari croniche, tumori dei polmoni infezioni respiratorie acute. Le fonti principali di inquinamento sono: l’utilizzo di combustibili fossili nella produzione di elettricità, nei trasporti, nell’industria e nelle abitazioni; processi industriali e utilizzo di solventi, per esempio nell’industria chimica e mineraria; l’agricoltura industriale; il trattamento dei rifiuti;

Il particolato (cioè le polveri sottili), il biossido di azoto e l’ozono troposferico sono attualmente considerati i tre inquinanti che in maniera più significativa incidono sulla salute umana.

Per ridurre l’inquinamento atmosferico sarebbe necessario approvare leggi più restrittive, che impongano significative  trasformazioni dei sistemi produttivi in tutti i campi sopra elencati, e comportamenti virtuosi da parte di cittadini e collettività. Ma finora si è fatto ben poco.

L’efficacia dell’azione è documentata da una immagine satellitare dell’Italia del Nord (segnalata dall’amico Amedeo Cottino) che illustra visivamente i risultati  che avrebbe l’applicazione di norme restrittive. Il commento del quotidiano svedese Svenska Dagbladet è il seguente: “La nube tossica di ossido di carbonio che ha coperto l’Italia del Nord si è improvvisamente assottigliata, come rivelano le nuove immagini satellitari. Effetti analoghi sono stati osservati per quanto riguarda la Cina. Secondo gli esperti, queste riduzioni possono salvare migliaia di vite umane.”

Fame

Secondo un recente  Rapporto delle Nazioni Unite, nonostante gli sforzi compiuti il numero di persone che patisce cronicamente la fame è aumentato negli ultimi tre anni,  e attualmente sono più di 842 milioni coloro che sono cronicamente sottoalimentati. Il 99% di loro abita in tre grandi regioni del mondo. Asia: 513.9 milioni, Africa Sub-Sahariana: 239.1 milioni, America Latina: 34.7 milioni. Disuguaglianze nel reddito sono una delle principali cause dell’insicurezza alimentare, oltre alla perdita dei beni naturali (terra, acqua, foreste, cc.) per le popolazioni rurali. Complessivamente nel Sud del mondo quasi 5 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono ogni anno per cause legate alla malnutrizione. E quasi 20 milioni di bambini in età prescolare non hanno abbastanza da mangiare, soprattutto in Africa e nel Sud-Est asiatico.

La Terra produrrebbe a sufficienza per tutta l’umanità, ma le disuguaglianze economiche, l’utilizzo dei terreni per altri scopi (per es per l’alimentazione animale), e sempre più spesso le guerre e il cambiamento climatico contribuiscono a peggiorare sempre di più la situazione.

Incidenti stradali

L’Onu e l’Oms stimano che se non si interverrà con decisione, entro il prossimo decennio saranno 500 milioni i morti sulle strade.E’ necessario accelerare l’adozione di misure per salvare vite umane“, ha detto il capo dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus durante una recente conferenza mondiale sulla sicurezza stradale, tenuta a febbraio 2020  a Stoccolma, “Non ci sono più scuse all’immobilità in questo campo – ha affermato – ogni Paese deve pianificare rapidamente una mobilità durevole”. “Secondo l’andamento attuale nei soli due giorni della conferenza – ha sottolineato – saranno 7.400 i morti sulle strade e migliaia i feriti gravi nel mondo“. “Dobbiamo lavorare insieme, governi, agenzie internazionali, società civile e settore privato per ridurre drasticamente questi numeri” ha aggiunto il responsabile Oms.

Quando i numeri non ci sono…

Abbiamo visto che non è sufficiente che ci sia una documentazione quantitativa di un’emergenza per attivare governi, istituzioni e società civili a prendere iniziative concrete, anche dove l’impegno finanziario potrebbe essere accettabile, come nel caso degli incidenti stradali, per ridurre i quali sarebbe già efficace una riduzione dei limiti di velocità. Occorre una volontà politica, stimolata dai cittadini.  Ma cosa succede quando i numeri sono incerti, o sono messi in dubbio, o non vengono diffusi, o addirittura non sono disponibili?

Il Coronavirus in Iran

I dati forniti dall’Iran nei giorni scorsi sono stati messi in discussione da alcuni media, soprattutto dopo la pubblicazione di fotografie da parte del New York Times e The Guardian, che mostrano gli scavi di una nuova sezione in un cimitero nella parte settentrionale della città santa di Qom, che  è la sede delle maggiori scuole teologiche dell’islam sciita, dove arrivano migliaia di studenti da tutto il paese e da tutto il mondo.

Al di là delle controversie sui numeri (che non sono emerse in modo altrettanto esplicito per i Paesi occidentali),  di fatto il governo iraniano ha bloccato tutti i festeggiamenti e le celebrazioni che erano previste per Nowrooz, il capodanno persiano (che cade il 20 marzo). Il 9 marzo è stato deciso il rilascio di 70 mila detenuti “non socialmente pericolosi”, la cui pena è stata sospesa per alleggerire il rischio di contagio nelle carceri.

Ma in quanti altri paesi il virus si sta diffondendo, senza che ci siano i mezzi per documentarne gli effetti, se non l’eventuale  conta dei morti?

Dal virus alle cavallette

Uno dei casi più evidenti dell’importanza dei media e dei ‘conteggi’ nell’informare l’opinione pubblica e nel promuovere interventi di soccorso è l’invasione di locuste che da parecchi mesi sta devastando ampie aree dell’Africa orientale e del Medio Oriente. Ne ho accennato qualche settimana fa sulle pagine del CSSR, ma da allora ad oggi non ho trovato informazioni, aggiornamenti, numeri, né appelli alla solidarietà. Solo un interessante e documentato articolo di Francesco Bilotta sul Manifesto del 4 marzo. Eppure la situazione è talmente drammatica che sarebbe  necessaria una mobilitazione mondiale per cercare di portare aiuto a intere comunità il cui raccolto è stato completamente distrutto dagli sciami di cavallette. Il sito ufficiale della FAO fornisce dati qualitativi aggiornati e cartine sulla tragedia in atto, che non accenna a ridursi nei prossimi mesi.

La situazione al 10 marzo – riferiscono gli esperti della FAO – resta estremamente allarmante nel Corno d’Africa, soprattutto in Kenya, Etiopia e Somalia dove numerosi gruppi di locuste stanno deponendo le uova e stanno formandosi nuovi sciami, che costituiscono una minaccia senza precedenti per la sicurezza alimentare e la sopravvivenza di numerose popolazioni, proprio mentre si avvicina la stagione del raccolto.

Non sono disponibili dati quantitativi sulle città e i villaggi colpiti, né sul numero di persone i cui raccolti sono andati distrutti. Si sa solo che uno sciame di locuste può consumare in un giorno il raccolto di grano, o sorgo, o mais che basterebbe a sfamare 35mila persone.

La prestigiosa rivista scientifica Nature in un articolo pubblicato il 12 marzo,  segnala che gli scienziati stanno cercando di mettere a punto dei biopesticidi e migliori procedure di monitoraggio degli sciami, ma le intense piogge, le guerre e la mancanza di fondi ostacolano gli sforzi per controllare il più grande ‘outbreak’ – cioè esplosione, epidemia  – da più di un quarto di secolo.   La Food and Agriculture Organization (FAO) delle Nazioni Unite ha lanciato un appello chiedendo che vengano raccolti  con urgenza 138 milioni di $, metà per aiutare le popolazioni colpite, e metà per monitorare gli sciami e trovare nuovi sistemi per fermare questi insetti prima che si moltiplichino in modo incontenibile, ma questa notizia stenta a circolare.  

Tra I paesi coinvolti dall’invasione di locuste ci sono anche l’Arabia Saudita, l’Iran, il Pakistan.  Le locuste, come il coronavirus, non rispettano i confini segnati dall’uomo.

Riflettere sui confini

Da anni il tema dei confini è scottante: se ne parla sempre più in termini politico-militari, soprattutto negli ultimi decenni, che hanno visto un numero crescente di persone da vari paesi del sud e dell’est del mondo cercare di raggiungere l’Europa, per sfuggire da condizioni sempre più drammatiche nei loro paesi d’origine: povertà, fame, crisi economiche, guerre, cambiamenti climatici spingono a trovare salvezza, a rifarsi una vita o a offrire ai loro figli nuove opportunità di realizzazione.     

Per qualcuno i confini sono sacri, e vanno difesi anche con la violenza.

Per altri sono luogo di scambio e di conoscenza. Per altri ancora sono linee labili tracciate dai ‘vincitori’ dopo ogni guerra per controllare il territorio conquistato, destinate a essere spostate ad ogni nuovo scontro tra poteri.  Per i virus, per le locuste, per l’aria e l’acqua, per le sostanze inquinanti e per i messaggi di pace non esistono confini.

In questa circostanza particolare – in cui siamo intrappolati, non si sa per quanto tempo ancora, dentro i confini di casa – mi addolora sentire l’inno di Mameli trasmesso da un canale RAI nazionale, preferirei  che trasmettessero  una canzone come Imagine:

Immaginate che non ci siano patrie
Non è difficile farlo
Nulla per cui uccidere o morire
Ed anche alcuna religione
Immaginate tutta la gente
Che vive la vita in pace.

… o come Blowing in the wind:

E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa
fingendo di non vedere
la risposta, amico mio, se ne va nel vento,
la risposta se ne va nel vento.

E invece della squadra delle Frecce Tricolori (pur ammirando le loro abilità tecniche) propongo di far scorrere sullo schermo visi di bambine e bambini di tutto il mondo, in modo da ricordarci delle nostre responsabilità verso di loro.  

John Pilger, noto giornalista che da anni pubblica su The Guardian, The Independent, The New York Times, ecc. ha scritto una breve nota PUBBLICATA sull’ultimo numero di Transcend, una rivista internazionale orientata a un giornalismo di pace.

12 Marzo 2020 –  E’ stata dichiarata una pandemia, ma non per I 24.600 che ogni giorno muoiono di una fame non necessaria, e non per I 3.000 bambini che ogni giorno muoiono di una malattia che si potrebbe prevenire, la malaria, e non per le 10.000 persone che ogni giorno muoiono perché vengono loro negate cure mediche pubbliche, e non per le centinaia di  Venezuelani  e Iraniani che ogni giorno muoiono perché il blocco esercitato dall’America impedisce l’arrivo di medicine salva-vita, e non per le centinaia di persone, per lo più bambini, bombardati o affamati  in Yemen, in una guerra alimentata e mantenuta – con profitto – da America and Gran Bretagna. Prima di lasciarvi prendere dal panico, considerate questi aspetti.

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