L’avidità ci sospinge al disastro

John Scales Avery

L’avidità è il più mortale dei peccati

L’avidità, in particolare quella delle megaziende e degli oligarchi miliardari, sta sospingendo la civiltà umana e la biosfera verso il disastro.

L’avidità delle megaziende giganti dei combustibili fossili ci sta sospingendo verso un punto di ribaltamento dopo il quale gli sforzi umani per controllare il cambiamento climatico saranno futili perché avranno intanto prevalso le retroazioni. L’avidità del complesso militar-industriale ci sta sospingendo verso una Terza Guerra Mondiale che potrebbe evolvere in una catastrofica guerra termonucleare. L’avidità delle nostre istituzioni finanziarie ci sta sospingendo anch’essa verso il crollo economico.

Fino all’inizio della Rivoluzione Industriale nei secoli 18° e 19°, la società umana mantenne un rapporto più o meno sostanziale con la natura. Però, già all’inizio i modi di vita tradizionali, con elementi di etica sociale e ambientale, furono sostituiti dalla vita odierna centrata sul denaro e orientata alla crescita, cui mancano tali elementi vitali.

Per i seguaci di Adam Smith (1723-1790), l’auto-interesse (perfino l’avidità) è una guida sufficiente alle azioni economiche umane. Il passare del tempo ha mostrato che Smith aveva ragione in vari aspetti. Il libero mercato, che egli promuoveva, è risultato essere ottima ricotta per la crescita economica. Ma la storia ha mostrato altresì che c’è qualcosa di orribilmente sbagliato o incompleto nell’idea del solo auto-interesse scevro da influenze etiche ed ecologiche, e del tutto libero dall’ intervento governativo, possa essere la principale motivazione di una società felice e giusta. E la storia ha anche provato che c’è qualcosa di terribilmente sbagliato nel concetto di crescita economica illimitata.

La Rivoluzione Industriale ha segnato l’inizio del massiccio uso umano di combustibili fossili. L’energia immagazzinata in vari milioni di secoli di crescita vegetale cominciò ad essere usata a un tasso all’incirca un milione di volte maggiore di quello di sua formazione. L’effetto sulla società umana fu simile a quello di un narcotico: un balzo euforico (e del tutto insostenibile) nella crescita sia della popolazione sia della produzione industriale. Frattanto, il carbonio rilasciato nell’atmosfera dai combustibili fossili bruciati cominciò a duplicare le condizioni che condussero alle cinque estinzioni di massa osservate a livello geologico, durante ciascuna delle quali oltre metà di tutte le specie viventi scomparve per sempre.

Il documento di dibattito di Stern Review [Rassegna arcigna] del 2006 dichiarava:

“La fusione del permafrost nell’Artico potrebbe portare al rilascio di enormi quantità di metano. L’apoplessia della foresta amazzonica potrebbe significare che la regione comincia ad emettere, anziché assorbire, gas a effetto serra. Queste retroazioni potrebbero comportare un riscaldamento almeno due volte più rapido delle attuali proiezioni d’alta emissione, che a loro volta indurrebbero temperature superiori a quanto esperito negli ultimi 50 milioni di anni”.

L’avidità delle megaziende giganti dei combustibili fossili le ha recentemente indotte a condurre campagne pubblicitarie su vasta scala per convincere il pubblico che il cambiamento climatico d’origine antropica non è reale. Queste aziende posseggono vaste riserve di petrolio, carbone e gas che devono essere tenute sottoterra se dobbiamo evitare un riscaldamento globale catastrofico. Non sembra turbare i giganti dei combustibili fossili se la Terra è resa inabitabile e le future generazioni umane e animali periranno.

Quando fu fondata l’ONU nel 1945, scopo dell’organizzazione era abolire l’istituzione della guerra. Tale obiettivo fu incorporato in molti articoli dello Statuto ONU. Coerentemente, molti ministeri della guerra in tutto il mondo furono rinominati ministeri della difesa – nome stesso menzognero. In un’era di minacce e contro-minacce nucleari, le popolazioni non sono affatto protette. I comuni cittadini sono null’altro che ostaggi in una partita per il potere e il denaro. E’ tutta questione di avidità.

Perché si minaccia continuamente la guerra? Perché si minaccia la Russia? Perché si minaccia guerra all’Iran? Perché si soffia sul fuoco del conflitto con la Cina? E’ per “proteggere” i civili? Assolutamente no! In una guerra termonucleare, centinaia di milioni di civili morrebbero orribilmente nel mondo, anche in paesi neutrali. Quel che si sta effettivamente proteggendo sono i profitti dei fabbricanti di armi. Finché ci sono tensioni, finché c’è minaccia di Guerra, i bilanci militari sono al sicuro, i profitti degli armieri sono al sicuro. In parecchie “democrazie”, per esempio gli Stati  Uniti, non governa il popolo al momento. Governa l’avidità!

Avidità e mancanza di etica sono incorporate nella struttura delle megaziende. Per legge, l’amministratore delegato di una tale società per azioni dev’essere del tutto motivato dall’avidità collettiva degli azionisti; deve massimizzare i profitti. Nulla deve contare salvo il risultato finale. Se un AD abbandona questa caccia monomaniacale ai profitti aziendali per ragioni etiche, opera mora dell’umanità o della biosfera o del futuro, dev’essere, per legge, licenziato/a e sostituito/a.

La COP25 è stata sabotata dall’avidità

Alla COP25 di Madrid, le delegazioni di USA, Australia, Brasile e Arabia Saudita hanno lavorato attivamente per prevenire un progresso significativo, e ci sono riuscite. Come dice Alden Meyer, direttore strategico per l’Unione degli Scienziati Preoccupati: “Partecipo questi negoziati sul clima da quando sono iniziati nel 1991, ma non ho mai visto il distacco quasi complete visto qui alla COP25 a Madrid fra quanto richiede la scienza ed esige la gente del mondo, e quanto mantengono i negoziati climatici in termini di azione significativa”.

Il mondo è a fuoco!

“Casa nostra è a fuoco!”, dice Greta Thunberg, e ha ragione. Nel 2019 c’è stato un aumento d’incendi in tutto il mondo. Gli incendi di boscaglia in Australia minacciano Sydney e han fatto sì che il governo australiano abbia dichiarato lo stato d’emergenza. Ma i politici australiani continuano le politiche che hanno reso la loro nazione un criminale climatico, esportando vaste quantità di carbone e carne bovina. Il vice-primo-ministro Michael McCormack ha detto delle vittime degli incendi: “Non gli servono i vaneggiamenti di qualche puro verde illuminato e vigile adesso che cercano di salvarsi casa.”  In altre parole: non parliamo di cambiamento climatico.

Nell’Artico hanno imperversato gli incendi, producendo pennacchi di fumo grandi come il continente europeo. In Amazzonia, sono stati deliberatamente appiccati incendi da parte di avidi interessi minerari e produttori di carne bovina, illegalmente, ma condonati dal governo di Jair Bolsonaro, il “Trump dei tropici”. In Indonesia, i pennacchi di fumo delle foreste in fiamme hanno oscurato i cieli di molti paesi confinanti. Anche qui, gli incendi appiccati apposta erano illegali, ma sono stati condonati da politici corrotti che ricevono soldi dall’industria estremamente redditizia dell’olio di palma.

L’estrazione di combustibili fossili deve smettere

Un rapporto dell’ONU circolato il 20 novembre 2019 ammoniva che le proiezioni mondiali della produzione di combustibili fossili nel corso del prossimo decennio indicano che la comunità internazionale è avviata a fallire di ristabilire il controllo sulle emissioni che riscaldano il pianeta evitando una catastrofe climatica.

http://productiongap.org/wp-content/uploads/2019/11/Production-Gap-Report-2019.pdf

“Il divario produttivo” è un rapporto di 80 pagine prodotto dalla collaborazione fra il Programma Ambientale ONU e un numero di istituzioni accademiche che esamina la discrepanza fra la produzione di combustibili fossili programmata dai paesi e i livelli di produzione globali coerente con la limitazione del riscaldamento a 1,5°C o 2°C, e conclude che i necessari cambiamenti di politica attualmente non si stanno facendo.

Il famoso economista lord Nicholas Stern ha dichiarato che “Questo importante rapporto mostra che i livelli programmati e previsti dai governi per la produzione di carbone, petrolio e gas sono pericolosamente discordi dagli obiettivi dell’accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Sono illustrate i molti modi in cui i governi sovvenzionano e variamente sostengono l’espansione di tale produzione. Invece i governi dovrebbero attuare politiche che assicurino i picchi di produzione esistenti a breve e poi calino molto rapidamente.”

In un articolo pubblicato su Common Dreams il 20 novembre 2019, Hoda Baraka, capo responsabile per le comunicazioni di 350.org ha scritto:

“La sconnessione fra gli obiettivi di temperatura dell’accordo di Parigi e i programmi e le politiche dei vari paesi per il carbone, il petrolio e il gas è massiccia, preoccupante e inaccettabile…

Il ‘divario di produzione’ è termine usato per riferirsi alla differenza fra la produzione programmata dei livelli di produzione di combustibili fossili dei vari paesi e quanto serve per raggiungere gli obiettivi climatici internazionali. Questa è la prima volta che un rapporto ONU ha esaminato direttamente e specificamente la produzione di combustibili fossili come fattore chiave di un crollo climatico. Mostra che i vari paesi programmano di produrre ben più combustibili fossili che i livelli necessari per adempiere ai propri impegni assunti nell’Accordo di Parigi, peraltro già nettamente inadeguati. Tale sovrainvestimento nell’approvvigionamento di carbone, petrolio e gas include necessariamente l’infrastruttura dei combustibili fossili, il che renderà più difficili da conseguire le riduzioni di emissioni.

La scienza è Chiara: per restare entro 1,5 gradi [d’aumento] dobbiamo fermare immediatamente l’espansione dell’industria dei combustibili fossili. Il che significa che non si può scavare nessuna nuova miniera, costruire alcun nuovo oleo/gas-dotto, accendere alcuna centrale elettrica con emissioni. E dobbiamo metterci a lavorare sulla transizione verso sistemi energetici sostenibili azionati da energia rinnovabile.

“Per il globo sorge una resistenza ai combustibili fossili, gli scioperi climatici hanno mostrato al mondo che siamo pronti all’azione. Procedendo, nostro lavoro è mantenere un rullio costante di azioni, scioperi e proteste che si faccia sempre più forte nel corso del 2020. I governi devono accompagnare agendo alla base delle fiamme che stanno avvolgendo il nostro pianeta e abbandonando gradualmente la produzione di carbone, petrolio e gas.”

Abbiamo bisogno di un nuovo sistema economico

Gli economisti non sono soliti pensare al future a lungo termine, come possiamo constatare nel loro atteggiamento verso la crescita economica, concetto sostenuto con fervore quasi religioso dagli economisti mainstream. Ma la crescita illimitata di qualunque cosa fisica in un pianeta fisicamente finite è un’impossibilità logica, per schivare la quale gli economisti mainstream, con miopia auto-imposta, limitano arbitrariamente la propria visione nel futuro a qualche decennio. Ma la crisi climatica è un problema a lungo termine e multi-generazionale. I giovani di tutto il mondo stanno giustamente protestando che il proprio futuro a lungo termine viene rovinato dall’avidità di oggi.  Alcuni economisti lungimiranti fuori dal giro, ad esempio Herman Daly, hanno fatto ampi studi sull’economia in stato stabile, che la logica ci suggerisce che debba diventare l’economia del futuro, in sostituzione dell’economia odierna che adora la crescita e approva l’avidità.

Nuova etica globale per accordarsi con la nostra tecnologia

Oggi l’avidità e la follia umane stanno distruggendo l’ambiente globale. Come de non bastasse, c’è una gran minaccia alla civiltà e alla biosfera da una guerra termonucleare onnidistruttiva. Sia l’una che l’altra di queste gravi minacce esistenziali sono dovute a pecche della nostra natura emotiva ereditaria.  Dal punto di vista della teoria dell’evoluzione, è un paradosso. Come specie, siamo ben avviati a commettere suicidio collettivo, sospinti dai difetti della natura umana. Ma la selezione naturale non deve forse produrre tratti che conducano alla sopravvivenza? Oggi le nostre emozioni non ci conducono verso la sopravvivenza ma invece verso l’estinzione. Qual è la ragione di questo  paradosso?  Le nostre emozioni hanno una lunghissima storia evolutiva. Sia la bramosia che la rabbia sono emozioni che abbiamo in comune con molti animali. Però, con il rapido avanzamento dell’evoluzione culturale umana, i nostri avi cominciarono a vivere insieme in gruppi sempre più folti  e in queste nuove società la nostra natura emotiva ereditaria era sovente inappropriata. Ciò che un tempo era un tratto di sopravvivenza divenne un peccato che abbisognava di venire represso dalla  moralità e dalla legge.

Oggi viviamo in un mondo totalmente differente da quello in cui sorse la nostra specie. Siamo di fronte ai problemi del 21° secolo: popolazioni in esplosione, risorse in estinzione, e le minacce gemelle del catastrofico cambiamento climatico e della guerra termonucleare. Affrontiamo questi gravi problemi con il nostro povero cervello da uomo delle caverne, con una natura emotiva poco cambiata da quando i nostri antenati vivevano in piccole tribù in competizione per il territorio nelle savane africane.

Dopo l’invenzione dell’agricolture, circa 10.000 anni fa, gli umani cominciarono a vivere in gruppi progressivamente più grandi, talora multietnici. Al fine di fare funzionare città, comuni e grandi, e infine nazioni, senza eccessiva ingiustizia e violenza, erano necessari sistemi sia etici sia legali. Oggi, in un’era d’interdipendenza economica globale, di comunicazione istantanea a livello mondiale e di armi termonucleari onnidistruttive, abbiamo urgente bisogno di nuovi principi etici globali e d’un sistema giusto e applicabile di norme internazionali.

La lunghissima infanzia umana permette al comportamento appreso di sostituirsi a quello istintivo. Un’antilope neonata è capace di starsene ritta sulle zampe e di seguire la sua mandria quasi immediatamente dopo la nascita. Invece, un neonato umano è del tutto sprovveduto. Con l’evoluzione culturale, il periodo di dipendenza è diventato progressivamente più lungo. Oggi, l’istruzione avanzata sovente comporta che gli umani restino dipendenti dal sostegno parentale o statale fino intorno ai 25 anni!

Gli umani sono capaci di atrocità tribali inter-gruppo come genocidi e guerre, ma hanno anche il genio della cooperazione. L’evoluzione culturale implica scambi inter-gruppo di idee e tecniche. E’ un’impresa cooperative cui partecipano tutti gli umani. E’ l’evoluzione culturale che ci ha dato la nostra dominanza speciale. Ma l’evoluzione culturale dipende dal sovrascrivere il tribalismo distruttivo con i principi del diritto, dell’etica e della proprietà formale. Il successo dell’evoluzione culturale umana dimostra che ciò è possibile; l’etica può sovrapporsi al tribalismo [come istruzione comportamentale]!

L’intero è maggiore della somma delle parti. La società umana è un super-organismo, ben più grande di qualunque individuo nella storia o al presente. Il super-organismo umano ha una super-mente, una coscienza collettiva ben maggiore di una coscienza individuale. Ciascuno contribuisce con una pietra al cumulo della civiltà, ma la nostra stupefacente comprensione dell’universo è una conquista collettiva.

La scienza deriva il suo grande potere dalla concentrazione di enormi risorse su un minuscolo frammento di realtà. Non avrebbe senso procedere in tal modo se la conoscenza non fosse permanente e se l’informazione non fosse condivisa globalmente. Ma gli scienziati di tutte le nazioni mettono in comune la propria conoscenza alle conferenze internazionali e mediante pubblicazioni internazionali, come stando gli uni sulle spalle altrui. La loro conoscenza condivisa è ben maggiore de frammenti contribuiti dai singoli.

Altri aspetti della cultura sono anch’essi cooperativi e globali. Per esempio, gli stampatori giapponesi con blocchi di legno hanno influenzato gli impressionisti francesi. La tradizione non-violenta di Shelly, Thoreau, Tolstoy, Gandhi, Martin Luther King e Nelson Mandela è internazionale. La cultura è cooperative, non è competitiva. La cooperazione culturale globale può condurci a una società sostenibile e pacifica. I nostri moderni mezzi di comunicazione quasi miracolosi, se propriamente usati, possono darci una società futura stabile, prospera e cooperativa.


EDITORIAL, 20 Jan 2020 | #622 |John Scales Avery – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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