Uscire dai fossili senza buchi in terra

Marinella Correggia

Dossier. Il passaggio dalle energie fossili a quelle rinnovabili è più che necessario ma non bisogna spostare il peso della produzione di energia sull’estrazione dei minerali e dei metalli. Un rapporto smaschera le trappole dell’estrattivismo. Bisogna uscire dai fossili senza buchi in terra

Uscire dai fossili

Dalla padella alla brace? La fuoriuscita dai combustibili fossili verso le energie rinnovabili rende forse necessario estrarre molti più metalli dalle viscere della Terra? Su questo rischio, insito nel «capitalismo verde», si sofferma il rapporto – con ampissima bibliografia – A Just(ice) Transition is a Post-Extractive Transition (Una transizione di giustizia è una transizione post-estrattiva), delle organizzazioni inglesi War on Want e London Mining Network con il sostegno della rete globale Yes to life, No to mining.

NON VIENE CERTO MESSA IN DUBBIO la necessità di una transizione dalle energie fossili a quelle rinnovabili, con le relative infrastrutture di trasmissione e stoccaggio. Ma si sostiene che «i piani attuali verso le basse emissioni non sono socialmente giusti né ecologicamente sostenibili.

Scaricano il peso materiale della produzione di energia su altri settori come l’estrazione di minerali e metalli, e le biomasse».

In effetti, «la visione dominante da parte dell’industria, delle istituzioni finanziarie internazionali, degli Stati del Nord e anche di alcune Ong del Nord globale semplicemente sposta le emissioni dal Nord al Sud globale, con false soluzioni come le compensazioni e il commercio delle quote di emissione, e con un maggiore estrattivismo».

Già. Secondo il Global Material Resources Outlook to 2060 dell’Ocse, la massa totale di risorse prelevate dovrebbe aumentare fra il 2011 e il 2060 da 79 a 167 miliardi di tonnellate. Le tonnellate di combustibili fossili estratti passerebbero da 14 a 24 miliardi, quelle di metalli da 8 a 20 miliardi, quelle di minerali da 37 a 87 miliardi, quelle di biomassa da 20 a 37 miliardi.

I COLOSSI MINERARI STANNO ATTIRANDO investimenti ponendosi come fornitori di metalli cruciali per la transizione energetica. La multinazionale Anglo-American rende l’idea sul proprio sito:

«I nostri prodotti sono critici per la riuscita della transizione verso un’economia a basse emissioni, che si fonda sulle attività estrattive responsabili». E la Banca mondiale in un rapporto del 2017 (tradotto, il titolo recita Il ruolo crescente di minerali e metalli per un futuro a basse emissioni di carbonio) propone un’attività mineraria «climate smart» spiegando che transizione e decarbonizzazione «dipenderanno molto da una solida, sostenibile ed efficiente industria delle miniere e dei metalli, capace di minimizzare l’impronta ecologica e climatica lungo tutta la catena». Condivide e apprezza l’International Council on Mining and Metals (Icmm) l’associazione che riunisce le principali multinazionali del settore.

UN GREEN-WASHING SMASCHERATO dal rapporto di War on Want. Intanto, da che pulpito: l’industria mineraria è una mega-cavalletta planetaria, nociva per tante comunità locali soprattutto del Sud globale, e devastante per ecosistemi critici e risorse vitali; al tempo stesso l’estrazione e lavorazione di minerali e metalli è responsabile del 20% delle emissioni globali di gas climalteranti.

E poi, «anche se decine di metalli sono effettivamente necessari per generare, distribuire e immagazzinare le energie rinnovabili», in realtà queste ultime «non sono il primo richiedente di metalli strategici e la quota del settore anche nella richiesta futura di materie prime varierà molto da un metallo all’altro».

Industria degli armamenti, elettronica, costruzione e aviazione sono e saranno altri comparti spesso distruttivi  con una domanda ingente di materie prime minerarie. L’università di Tecnologia di Sidney ha elaborato tabelle sull’importanza di questo o quel metallo per le rinnovabili. Lo saranno in modo significativo litio, cobalto, alluminio, disprosio, neodimio, rame, manganese, nichel, argento.

L’industria dei veicoli elettrici farà in effetti la parte del leone, diventando di gran lunga la   principale consumatrice di litio e cobalto, materie prime a rischio scarsità. Ma qui il rapporto solleva una domanda strutturale: «E’ giusta e necessaria l’ambizione di avere su strada entro il 2050 un miliardo di veicoli elettrici in gran parte privati e destinati al Nord globale?».

INSOMMA, IN SE’ RIDURRE la dipendenza dall’energia fossile non è una risposta sufficiente alle intrecciate crisi socio-ambientali: «Una giusta transizione deve essere post-estrattivista; il Nord globale deve abbracciare la decrescita e collaborare all’equo soddisfacimento della domanda di energia e risorse, come beni pubblici e strumenti di giustizia sociale», visto che, per esempio, «tre miliardi di persone chiedono tuttora accesso all’elettricità e a combustibili puliti». Più giustizia, più rispetto per gli imperativi climatici e meno estrattivismo: è tecnicamente ed economicamente possibile ma occorre volontà politica.

«Limitarsi alle estrazioni indispensabili», ha suggerito l’esperto di ecologia sociale uruguayano Eduardo Gudynas; «sufficienza di risorse, equità e benessere all’interno dei limiti ecologici» come alternativa alla mera ecoefficienza, chiede il rapporto di Friends of the Earth Europe Sufficiency, moving beyond the gospel of eco-efficiency (2018). E, in nome della sufficienza, la Coalizione Resource Cap ha proposto un vero e proprio tetto energetico a livello europeo.

NEL «GLOBAL GREEN DEAL FOR PEOPLE» auspicato dal rapporto di War on Want e del London Mining Network ci vorranno sì materie prime per rispondere alla domanda di giustizia e democrazia energetica ma, se trasformazioni strutturali delle relazioni di potere lo permetteranno, si troveranno le soluzioni materiali e sociali per estrarre il meno possibile: utilizzo degli enormi stock esistenti già estratti (il rapporto parla di urban mining), economia circolare (più lavoro meno capitale) e beni dalla vita più lunga, alternative per le aree minerarie (ne avanza diverse il rapporto Alternativas de desarrollo en las regiones mineras de Perú), solidarietà con le comunità che resistono contro i mega progetti e smascherano il bluff dei colossi estrattivisti; meccanismi contro l’impunità delle compagnie estrattive; tasse per rendere equo lo sforzo di contenere il caos climatico; internalizzazione delle esternalità sociali e ambientali

il manifesto, 09.01.2020


 

2 commenti
  1. Guido
    Guido dice:

    Il punto è questo: deve finire tutta la civiltà industriale, non basta la "transizione energetica", che è solo un palliativo illusorio. Deve finire l'economia stessa.

    Rispondi
    • amerigo
      amerigo dice:

      hai ragione: alla transizione energetica occorre aggiungere il risparmio energetico ossia imparare a usare meno energia senza tuttavia privarsi piu'di tanto dei benefici tratti dall'energia. Con creativita'e gioia adottiamo un'economia del risparmio

      Rispondi

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.