Milioni di persone muoiono in Congo mentre l’ONU ci “mantiene la pace”

Ann Garrison

La missione di peacekeeping ONU è in Congo da 20 anni senza proteggere la gente o la pace

“Il Rwanda è responsabile per quanto funziona male con la pace in Congo!”

Nel suo rapporto più recente al Consiglio di Sicurezza ONU (UNSC), la Missione di Stabilizzazione ONU nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) riferiva di un modesto “progresso” per l’attività della propria missione; ma qual è appunto la loro missione? Fino al 2013, MONUSCO non aveva alcun mandato di combattimento; ci si aspettava che in qualche modo mantenesse la pace nel bel messo di una guerra per le risorse del Congo, senza mandato.

Nel 2013, però, allorché la milizia M23 stava devastando le province Nord- e Sud-Kivu, il gruppo di esperti ONU sulla Repubblica Democratica del Congo (RDC) riferì l’M23 rispondeva al comando del ministro della Difesa rwandese James Kabarebe, che ovviamente rispondeva al presidente rwandese Paul Kagame stesso. Nell’M23 c’erano fazioni in concorrenza, e alcuni dei loro ufficiali rispondevano ad alti gradi militari ugandesi, che ovviamente rispondevano al presidente ugandese Yoweri Museveni. Ciò rendeva le guerre d’aggressione di Rwanda e Uganda così ovvie che l’UNSC finalmente si sentì obbligato a fare quel che lo Statuto ONU lo costringe a fare: organizzare un intervento militare ONU per fermare le milizie rwandesi e ugandesi.

La Brigata d’Intervento della Forza ONU, composta di truppe tanzaniane, sudafricane e malawiane, è stata la prima missione ONU di peacekeeping con un esplicito mandato di combattimento, ed effettivamente ricacciò l’M23 in Rwanda e Uganda. Allora la stampa riferì che l’M23 si era “arresa” a Kagame e Museveni – più o meno come riferire che l’esercito confederato [al tempo della guerra di secessione USA, ndt] aveva riparato a sud per arrendersi al generale Robert E. Lee, ma il mondo, orripilato dalle atrocità dell’M23 applaudì la sua sconfitta e volse altrove la propria attenzione.

Museveni, uno degli aggressori, presiedette a una cosiddetta conferenza di pace nella capitale dell’Uganda, Kampala, che produsse un accordo che diede all’M23 tutto quanto aveva chiesto all’inizio della guerra. Ma chi si curava di leggere o capire l’accordo? Altri lo fecero senza dubbio, ma io sono a sola di cui sappia a preoccuparsi di riferire quanto diceva – a Pacifica Radio e sul San Francisco Bay View Newspaper, che gli attori possenti in ballo si sentono liberi d’ignorare, pur essendone stati lievemente sconcertati.

Gli aggressori non sono nominati

La violenza è continuata nelle province congolesi del Kivu. Secondo il Gruppo di Ricerca sul Congo insediato alla New York University, almeno 99 civili congolesi sono stati massacrati dal 5 novembre nel solo Territorio di Beni in NordKivu. I peacekeeper hanno mancato di proteggerli dalle milizie dedite al saccheggio, e i dimostranti sono usciti in strada a Beni, Goma, e Butembo per dire che i peacekeeper fan parte del problema esigendo che se ne vadano. A Beni hanno bruciato quasi interamente almeno una base militare ONU, e un dimostrante risulterebbe ucciso e cinque feriti.

Con 18.000 soldati, la MONUSCO in Congo è la maggiore al mondo, ed è in Congo da 20 anni senza proteggere la gente o la pace. Un giovane dimostrante a Beni ha detto ad AlJazeera: «L’ONU dovrebbe tenerci al sicuro, mantenere la pace in NordKivu, ma la pace non l’abbiamo mai vista. Quindi siamo così arrabbiati che non vogliamo che se ne stiano qui NordKivu».  Anche la storica congolese-svizzera Bénédicte Kumbi Njoko ha parlato ad AlJazeera:

«Se pensiamo all’ONU e alla sua presenza, dobbiamo risalire per quasi 59 anni dacché l’ONU opera in Congo per via dei problemi nel paese. E io penso che se questo lo mettiamo in prospettiva, possiamo ovviamente porre in questione l’utilità di questa organizzazione, perché quel che vediamo da ormai 20 anni è che la gente muore ancora e che la guerra in corso in Congo ha già causato più di 8 milioni di morti, dunque forse la risposta data dall’ONU alla situazione non è appropriata».

Il ricercatore minerario sudafricano e organizzatore di comunità David Van Wyk era d’accordo: «Purtroppo è ancora un intervento fallito. L’ONU è inadegauto con i congolesi dal primissimo giorno dell’indipendenza del Congo 59 anni fa».

“Ribelli”, “ribellioni”, e “gruppi ribelli”

Kumbi mi disse che aveva domandato ad AlJazeera perché, come il resto della stampa inter-nazionale, descrivano le milizie che uccidono i congolesi come “ribelli gruppi” quando sono di fatto bande – rwandesi, ugandesi, e congolesi — combattenti per territorio e risorse minerarie congolesi. Non sono congolesi che combattono per il potere o la giustizia sociale come implicito nel termine “gruppi ribelli”. Combattono nelle aree periferiche più orientali del paese, ai confini con Rwanda e Burundi.

Le province del Kivu afflitte dalla guerra non potrebbero essere più lontane dalla capitale, Kinshasa, che è al confine occidentale con la Repubblica del Congo e vicina alla costa atlantica. Quindi non stanno cercando di rovesciare il governo esistente come farebbe qualunque ribelle rispettabile. La sua domanda, ha detto Kumbi, non è giunta al testo finale di AlJazeera. È essenzialmente la stessa domanda cui lei esigeva una risposta a una conferenza ONU a Ginevra già nel 2013, dove — fino a che i gendarmi la trascinarono fuori —interruppe l’allora Segretario Generale ONU Ban-Ki-Moon con questo grido:

«E che ne è della gente del Congo? Per favore! Che ne è della gente del Congo??? Non ne dice nulla! Sono stati uccisi otto milioni di persone e lei dice che si sta facendo una pace fittizia – quale pace se non si nominano neppure gli aggressori?! Il Rwanda è responsible per quanto funziona male con la pace in Congo. E nessuno ne parla! Burundi! Uganda! Deve dirlo! Non ne possiamo più di sentire ogni volta persone che si comportano in modo così ‘pacifico’ con l’Africa. L’Africa, dovete lasciarla in pace!».

Fintanto che l’UNSC e la stampa internazionale incolpano della guerra “ribelli” e “gruppi di ribelli” inesistenti che fanno “ribellioni inesistenti”, l’olocausto congolese proseguirà. ONG e agenzie ONU continueranno a chiedere milioni di dollari per dare aiuto nella crisi umanitaria, equiparandola a Siria, Yemen e Iraq, e la popolazione di sfollati già a quattro milioni continuerà a salire. Né il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite né nessun altro sconfiggerà i “ribelli” o porrà fine a una guerra che rifiutano di nominare.


TRANSCEND MEMBERS, 9 Dec 2019 | Ann Garrison | Black Agenda Report – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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