C’era una volta Tarantino… ma per fortuna c’è ancora

Massimiliano Fortuna

Quando 25 anni fa uscii dalla sala del Romano dopo aver visto per la prima volta «Pulp Fiction» maturai subito la convinzione di aver assistito a un film geniale e che aveva l’aria di poter divenire epocale nella piccola, o forse grande, storia del cinema. Ma creare un’opera artistica geniale non credo possa essere sufficiente per definire il suo autore un genio dell’arte; Mary Shelley con «Frankenstein» è riuscita a scrivere un libro geniale, ma non è un genio della letteratura come Proust, Kafka o Dostoevskij.

Ora che un quarto di secolo è passato da quel film, preceduto peraltro da un esordio folgorante come «Le iene», e che altri 8 lungometraggi sono seguiti (a considerare, come credo si debba fare, «Kill Bill» 1 e 2 due film distinti e differenti), ogni dubbio è sciolto: Tarantino è un genio del cinema, capace di segnare l’immaginario cinematografico come a non molti è stato concesso.

«C’era una volta a… Hollywood» è solo l’ultima conferma di un talento unico nel creare cinema utilizzando altro cinema, in cui l’omaggio alla generalmente snobbata cultura popolare è sempre tanto amorevole quanto temperato e relativizzato dal distacco ironico. E con la sua arte della citazione Tarantino è riuscito a raccontarci qualcosa di un’epoca, vista con lo sguardo nostalgico delle cose che potevano essere e non sono state. Sì perché, come il titolo da subito suggerisce, «C’era una volta a… Hollywood» è una fiaba, e nella fiaba del cinema la realtà può ancora trovare una piccola redenzione e la violenza che ha ucciso orribilmente essere fermata: almeno lì, almeno per un momento.


 

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