La mini naja, che tristezza!

Elena Camino

Le notizie in rete

Ne avevo sentito parlare, ma non ci credevo: invece – spigolando tra i siti web – eccola qui, la notizia: il 27 marzo 2019 la Camera ha dato l’OK al progetto di legge che prevede un servizio militare di sei mesi su base volontaria per i giovani fra i 18 e i 22 anni, distribuiti fra caserma e studio. La proposta è passata alla Camera, bocciata solamente da Leu, ed ora approderà al Senato, dove non sembrano essere previsti ostacoli insormontabili.

L’idea di chi ha proposto la mini naja in Parlamento, e cioè Forza Italia, primo firmatario Matteo Perego, è quella di offrire alle giovani generazioni l’opportunità di conoscere direttamente, attraverso un periodo di permanenza di almeno sei mesi nelle Forze armate, i valori, la disciplina, la storia e la specificità dell’ordinamento militare. Sono previsti corsi di studio in modalità e-learning; permanenza presso le strutture formative, operative e addestrative delle Forze armate e dell’Arma dei carabinieri, comprese le scuole e le accademie militari; forme di apprendimento pratico (all’uso delle armi, suppongo).

Per accedere al progetto è necessario essere cittadini italiani, godere dei diritti civili e politici, che non ci siano state condanne per delitti non colposi e procedimenti penali in atto per delitti non colposi, si sia in possesso di diploma di istruzione secondaria di secondo grado e che non si sia stati sottoposti a misure di prevenzione. E’ anche necessario non aver tenuto nei confronti delle istituzioni politiche dello Stato comportamenti che non diano garanzia di assoluta fedeltà alla Costituzione e alle esigenze di sicurezza nazionale.

Durante i 6 mesi di mini-naja i partecipanti non riceveranno alcuna retribuzione.  Al termine del percorso formativo di sei mesi, l’amministrazione della Difesa rilascerà un attestato che potrà essere usato dai giovani nella fase in cui si cercherà lavoro e sarà titolo valutabile ai fini della nomina a ufficiale di complemento. Lo svolgimento con esito positivo del progetto sperimentale di formazione in ambito militare consentirà, l’acquisizione di un massimo di 12 crediti formativi universitari.

Sono previste inoltre visite guidate per entrare in contatto con “l’eccellenza del comparto industriale connesso ai settori della difesa e della sicurezza”; viaggi studio presso le maggiori istituzioni presenti in Europa “individuando forme di collaborazione transnazionale con organizzazioni di altri Paesi” e partecipazione, in qualità di osservatori, ad esercitazioni di cybersicurezza organizzate dal Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence della NATO.

Tra gli obiettivi indicati dai promotori ci sono:

  • Forme di apprendimento pratico che consentano il raggiungimento dei seguenti obiettivi: comprensione del valore civico della difesa della patria, sancito dall’articolo 52 della Costituzione; cognizione degli alti valori connessi alla difesa delle istituzioni democratiche del Paese attraverso lo strumento militare in Italia e all’estero; approfondimento dei principi fondamentali che regolano l’ordinamento militare.
  • Conoscenza delle principali minacce alla sicurezza interna e internazionale, anche attraverso la partecipazione a seminari di studio con la partecipazione dei rappresentanti degli organismi che fanno parte del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica“

Il testo passa ora al Senato e se non subirà modifiche l’anno prossimo ci saranno i primi giovani che a partecipano a questa “formazione militare”. Non definiti i numeri di quanti potranno essere i ragazzi che potranno partecipare e soprattutto occorrerà vedere quanti saranno quelli che vorranno sperimentare questa mini naja.

Il costo previsto per questa iniziativa è di un milione di euro per il 2020 e 500mila per il 2021, a carico del Fondo di riserva del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Le rappresentanze studentesche

Le voci delle principali associazioni e rappresentanze studentesche contro il progetto non si sono fatte attendere. Ad esempio, Rete della conoscenza, che comprende gli studenti di Link – Coordinamento Universitario e di Unione degli Studenti afferma che vogliono insegnarci la cultura militare, in pieno stile da antico regime.” Stesso tono combattivo nelle parole di Giammarco Manfreda, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi: “Un’impostazione militare non può migliorare l’educazione e la formazione dei giovani – dichiara – Nel nostro paese è necessario investire sul mondo dell’istruzione, dilaniato dai continui tagli degli scorsi decenni, e smetterla di farci solamente propaganda politica.
Enrico Gulluni, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari, rincara la dose: “Non possiamo accettare che venga introdotta un’attività di leva militare per giunta a titolo gratuito. Come altrettanto non deve farsi strada nel mondo della formazione la retribuzione del servizio militare con Crediti Formativi Universitari. Le valutazioni non devono essere premi o ricompense, le competenze valutate non possono essere la capacità di disciplina, di omologazione, l’attitudine alla violenza.

Perché uno squilibrio a favore del servizio militare rispetto al civile?

L’ex sottosegretario PD Luigi Bobba è intervenuto sulla situazione attuale del servizio civile e sulla proposta della cosidetta “mini-naja”, approvata alla Camera. «Mi sarei atteso che nel dibattito sulla “mini-naja” – scrive Bobba -, venisse avanzata con forza la proposta di estendere tale facoltà anche al campo del Servizio civile. Sarebbe stato sufficiente richiamare una recente esperienza della Provincia autonoma di Trento, nella quale è possibile, per i giovani dai 16 ai 18 anni, partecipare durante l’estate ad un’esperienza strutturata di impegno civico e volontario. L’intento è chiaro: aiutare i giovani a sentirsi responsabili della propria comunità e in particolare dei soggetti più deboli».

Inoltre, osserva Bobba, alcuni anni fa la dotazione finanziaria consentiva a 58.000 giovani di fare servizio civile; ora siamo scesi, con le risorse a bilancio per il 2019, a meno di 32.000. E le domande invece sono arrivate a superare la quota di 120.000. Per cui , nel prossimo anno, solo un giovane su quattro potrà cogliere questa opportunità di formazione e di servizio.

Bobba ricorda infine che a poco più di un mese dalle elezioni per il Parlamento europeo – sarebbe opportuno lanciare messaggi forti a favore della realizzazione di un vero e proprio Servizio civile europeo.

Ripristinare la leva obbligatoria?

L’introduzione della mini-naja, con le riflessioni e le polemiche che potrebbe portare nella società civile, potrebbe diventare l’occasione per riaprire il dibattito ed avanzare proposte su questioni rilevanti – e per troppo tempo marginalizzate – come il servizio civile, l’obiezione di coscienza e specialmente sul modello di difesa del nostro Paese. Già nel 2018 Alfio Nicotra (Co-presidente di “Un Ponte Per…”) alle dichiarazioni di Salvini (poi smentite) sulla possibile reintroduzione della leva militare obbligatoria,  aveva fatto notare che. «Per una volta, una proposta di Salvini meriterebbe di essere affrontata e non liquidata sbrigativamente. […] Il ripristino di un periodo di leva obbligatoria – militare o da obiettore di coscienza – non è una proposta banale, ha molte ragioni ed alcune affondano nel dettato della Costituzione Repubblicana. La “professionalizzazione” delle Forze Armate, con la conseguente sospensione della leva obbligatoria, ha cancellato dal dibattito pubblico il tema di quale difesa ha bisogno il nostro Paese. L’esponenziale crescita dei giovani che obiettavano al servizio militare rappresentava, più che una ostilità alle Forze Armate, l’idea che una moderna difesa popolare dovesse coinvolgere tutti e che era una forzatura appaltarla esclusivamente a quella armata. Un’altra difesa è possibile e necessaria e senza popolo quest’altra difesa non potrà mai nascere».

E la difesa dell’ambiente?

Le proteste dei giovani  durante i ‘Fridays for future’, e le manifestazioni  di ‘extinction rebellion’ sembrano appartenere a un altro mondo, rispetto agli obiettivi proposti per la mini-naja: difesa della patria, sicurezza…  E in qualche misura anche l’idea di difesa popolare non armata e nonviolenta sembra non avere molto a che fare con i movimenti, gli attivisti, gli studiosi, le comunità contadine che da decenni in tutto il mondo ‘combattono’ in modo nonviolento per proteggere  gli ambienti  di vita locali (boschi, cittadine, fiumi, montagne) e l’ambiente globale di tutti noi: la nostra Terra, Gaia. 

Con un gioco di parole un po’ sciocco, ma che potrebbe riempirsi di senso, perché non cominciamo a parlare di mini-Gaia?  Potrebbe essere un’iniziativa che partendo dall’Italia si allarga per assumere una dimensione internazionale o addirittura globale. Sviluppare competenze e consapevolezza sull’importanza di prendersi cura degli ambienti di vita, organizzare occasioni di contatto profondo con la natura – di cui tantissimi giovani sono stati privati dal processo di urbanizzazione – contribuire insieme a riportare bellezza e salute nei quartieri, nelle periferie, ripristinare sentieri e recuperare capacità manuali…  Prendere atto dei veri confini – quelli che la natura ci pone – invece di costruire confini fittizi.  Si, la mini-Gaia sarebbe fonte di gioia e di ispirazione, e ci farebbe superare la tristezza suscitata dall’idea della vecchia, bellicosa, obsoleta naja. 

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