Un’ombra nera sulle nostre democrazie | Alessandro Ciquera
L’odio ha preso forma oggi in Nuova Zelanda, nella cittadina di Christchurch, è uscito dai social network, dalla propaganda di certa politica, dai manifesti appesi per le strade. Ha avuto gambe e mani, tramite quattro attentatori, tre uomini e una donna, di ispirazione suprematista e fascista e ha compiuto una strage all’interno delle moschee locali, uccidendo 49 esseri umani. Da questo momento in poi, da parte di tanti, sarà una rincorsa al contenere le reazioni indignate, al minimizzare, quando non alla aperta giustificazione di questo atto vigliacco e criminale.
Ancora oggi, nel 2019, facciamo fatica a riconoscerci come un’unica famiglia umana, e persistono ideologie che professano la superiorità di pelle, di sangue e di suolo, si continua a considerare altre persone come inferiori, come non degne di vivere. Questi devono essere stati alcuni dei pensieri che sono passati per la mente di Brenton Tarrant, uno degli aggressori, il quale ha ricollegato al suo gesto a nomi e date precisi, dimostrando non follia, ma una lucida premeditazione, studiata e pianificata. Poco prima dell’assalto armato, Tarrant, ha pubblicato sul suo account Twitter foto delle armi e delle munizioni, con scritte sopra informazioni su coloro che lo hanno ispirato e motivato.
Perché in questa galassia nera i simboli contano almeno quanto le pallottole. Uno dei nomi scritti è infatti quello di Luca Traini, che a Macerata nel Febbraio 2018 sparò dalla sua auto in corsa ferendo gravemente sei immigrati scelti a caso. Un altro riferimento citato, è quello di Sebastiano Venier, comandante della Repubblica di Venezia che con la Lega Santa sconfisse i Turchi nella Battaglia di Lepanto del 1571, evento a cui ancora oggi molti cattolici fondamentalisti si rifanno come esempio di moralità e di fede. Scorrendo la fotografia, ancora si scorge: Alexandre Bissonette responsabile dell’attentato in Canada a una moschea di Quebec City, nel Gennaio 2017, causando la morte di sei persone, poi Shipka Pass, scontro bellico avvenuto tra Impero Russo e Ottomano in Bulgaria, nel 1877, e Vienna 1683 ricordando la Battaglia di Vienna che pose termine all’assedio turco della capitale austriaca durato due mesi, e ancora il nome di Carlo Martello e della Battaglia di Poitiers e Remove Kebab, espressione offensiva riferita alla “rimozione” dei cittadini musulmani ad opera dei nazionalisti serbi durante le guerre balcaniche degli anni ’90.
Prima dell’atto, l’attentatore ascoltava un inno a Karadzic, criminale di guerra e autore di numerosi massacri ai danni della popolazione locale bosniaca e non solo. Seguendo il filo rosso sangue, di questi nomi ed eventi incisi nella memoria, non ci si può soprendere che il risultato sia stato l’orrore che ha sconvolto decine di vite in queste ore, queste scritte bianche sulle armi nere sono la prova lampante, prodotta dagli stessi assassini, della pericolosità sociale della narrazione identitaria e sovranista, la quale utilizza fenomeni storici come strumento di divisione e diffusione dell’odio tra la cittadinanza.
Si tratta di strategie del terrore, volte a indebolire le nostre comunità, le società in cui viviamo, e creare un mondo di esseri umani di serie A e di serie B, con privilegi e opportunità solamente per i primi. Un racconto politico estremamente pericoloso e fanatico, il cui ultimo stadio è esemplificato e simboleggiato dalla violenza, come fine e come strumento.
Fermare e constrastare questa macchia scura, che ha il volto funereo della morte, significa difendere i valori di uguaglianza, rispetto e solidarietà su cui è fondata la Costituzione italiana e la democrazia stessa.
Una società di dominatori e subalterni era già stata idealizzata da Adolf Hitler sotto il nazionalsocialismo, e da Mussolini nel fascismo italiano, tutto ciò che ha prodotto è stato guerra, persecuzione, fame, devastazione in migliaia di città e regioni in tutta Europa.
Primo Levi, sopravvissuto ai campi di sterminio, aveva profetizzato che: “Cio che è avvenuto, può ritornare”, e dell’importanza della memoria condivisa, curata dalle ferite, che fosse da monito al ritorno dei fantasmi del passato. Solo ricordando,e tramandando, possiamo trovare gli strumenti per lottare oggi contro chi vorrebbe scaraventare il nostro presente nella guerra e nel fanatismo.
Un testimone che oggi si trova nelle nostre mani, e che ha inciso sopra i nomi di coloro che hanno lottato e sono caduti per la libertà. Tradizione non è infatti adorazione delle ceneri, ma la tenuta in vita del fuoco.
“Ho la paura della perdita della democrazia, perchè io so cos’è la non democrazia. La democrazia si perde piano piano, nell’indifferenza generale, perchè fa comodo non schierarsi, e c’è chi grida più forte e tutti dicono: ci pensa lui”. Parole di Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, dove era stata deportata a 14 anni in quanto bambina ebrea. Pensiamo anche a lei, quando cerchiamo motivazioni per combattere l’odio e salvare la nostra stessa umanità.
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