Che c’è dietro il ritiro di truppe U.S. annunciato per Siria e Afghanistan? | Sara Flounders

24 Dic 2018 – L’annunciato ritiro dalla Siria dei 2.000 soldati U.S. restantivi e un parziale ritiro dall’Afghanistan non significa la fine dell’aggressivo militarismo del pentagono né delle interminabili guerre U.S. – in Siria, in Afghanistan, nella regione o globalmente.

L’apparato militare U.S. ha 170.000 truppe stazionate fuori degli U.S. in 150 paesi, in oltre 800 basi oltremare. Quasi 40.000 sono assegnate a missioni riservate in ubicazioni che Washington rifiuta perfino di svelare. Poiché il Pentagono ha continuamente rinominato e scompigliato le proprie forze in Medio Oriente, è impossibile sapere quante truppe siano in standby e quante stiano ruotando.

Ma l’annuncio a sorpresa di “ritiro delle truppe”  — a prescindere dalle sue limitazioni, dalla forza militare U.S. — evidenzia la sempre più insostenibile posizione imperialista globale U.S. e la condizione logorante di tutte le sue alleanze storiche. L’annuncio ha aperto un baratro entro i circoli di comando U.S.. Dimissioni dall’amministrazione Trump e conseguenti denunce stanno attirando l’attenzione delle masse a questo acceso conflitto. I massimi livelli del partito Democratico e Ie “teste parlanti” dei grandi media aziendali sono in un tumulto di opposizione e attaccano Trump per “cedimento” a Iran e Russia e per presunta messa in pericolo della sicurezza nazionale — espressione per intendere che nuoce agli interessi imperialisti U.S..

Le loro accuse stanno solo a confermare che sia il razzista Trump e I suoi avversari della classe dominante sono criminali di guerra imperialisti e nemici del popolo mondiale. Le critiche [pro-]militariste di Trump sono esse stesse reazionarie.

Un’analisi progressista della classe lavoratrice

Lo sbrigativo annuncio di Trump — senza discussioni note con i decisori in carica, né consultazioni con i co-cospiratori nell’alleanza bellica NATO — è davvero un distacco dalla strategia egemonica U.S. degli ultimi 75 anni. Cosa che sta anche dietro le dimissioni di “Cane Furioso” Mattis da segretario della Difesa del governo Trump. Mattis, lodato come l’adulto nel gabinetto Trump, ha rapporti blindati con gli alleati U.S. utilizzando la sua posizione al Pentagono. Il suo nomignolo gli deriva dalla sua famigerata dichiarazione sulla guerra U.S. in Afghanistan: “Diverte colpire un po’ di gente; sapete, davvero uno spasso”. (New York Times, 4 feb. 2005). Ed è anche ben noto come comandante U.S. responsabile della morte di centinaia di civili irakeni a Fallujah nel 2004. Le dimissioni di Mattis riflettono la netta rottura per l’annunciato ritiro con paesi che hanno collaborato con gli U.S. in Siria, come la Francia, la Germania, il Belgio e la Gran Bretagna – tutti ex-potenze coloniali che distrussero le culture indigene e saccheggiarono le Americhe, l’Africa e l’Asia.

I governanti di questi paesi erano tutti ben decisi a ri-colonizzare il mondo arabo dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Altri soci volonterosi del crimine imperialista furono l’Arabia Saudita e Israele. Tutti disposti a impegnarsi per la guerra in Siria basandosi sull’ipotesi di condivisione del saccheggio del paese sotto la trita copertura ufficiale che vi combattevano una “guerra al terrorismo”. Trump li ha sorpresi con il suo importante cambiamento di politica nella regione, il che aumenta l’instabilità imperialista.

Gli U.S. cercano di sfruttare le differenze nazionali

Secondo numerosi resoconti mediatici, Trump ha preso la sua decisione in base a una lunga telefonata con il presidente turco Erdogan, che ha minacciato di lanciare un’offensiva militare contro le forze curde YPG sostenute dagli U.S. nel nord-est della Siria, base delle truppe U.S., rendendo chiaro che gli U.S. non possono avere la Turchia come alleato e al tempo stesso uno staterello curdo loro procuratore.

Questo è un dilemma insolubile per gli imperialisti U.S., I cui governanti societari non sono stati in grado di destabilizzare la Siria e attuare il programmato “cambiamento di regime”. La richiesta esplicita di Washington fin dal primo giorno erano le dimissioni del presidente Bashar Assad e di tutti i funzionanti governativi in carica. Non è avvenuto.

L’obiettivo U.S. era la nomina di un governo siriano succube degli interessi occidentali, che avrebbe istruito un processo elettorale sotto il controllo e la tutela delle maggiori potenze imperialiste. Ecco il significato del termine vago “cambiamento di regime”, sul tecnigrafo di Washington, un piano apparentemente facile.

A tale scopo, le istituzioni politico-militari U.S. tentarono di sfruttare ogni eventuale differenza basata sulla varietà di gruppi religiosi, etnici e nazionali in Siria, ivi comprese le forze curde. L’intero sforzo U.S. e occidentale era di intagliare a pezzi la Siria, il tutto nel nome della “difesa” delle nazionalità oppresse e della “democrazia”.

Questo sforzo per strumentalizzare come armi le differenze settarie è stato attuato con l’influenza del regime reazionario saudita. In Siria hanno agito apertamente squadroni della morte mercenari finanziati dall’estero; sono state paracadutate forniture in quantità massicce.

I tentativi imperialisti esterni e sauditi cercavano di mobilitare elementi reazionari nella maggioranza della popolazione araba sunnita contro cristiani, alawiti, drusi, sciiti, yazidi, armeni, curdi, turkmeni e numerosi altri raggruppamenti minori nazionali, etnici e religiosi, e profughi recenti. Fra la popolazione siriana di 23 milioni di abitanti (contando quelli che hanno lasciato di recente il paese) c’è più di mezzo milione di profughi palestinesi e un milione e mezzo di profughi irakeni.

Gli U.S. hanno passato otto anni a orchestrare la partecipazione delle potenze imperialiste occidentali e delle monarchie del Golfo nel loro impeto imperialista. Pur con quattro anni di bombardamenti che hanno decimato le infrastrutture del paese, l’introduzione di decine di migliaia di mercenari armati fino ai denti e ben finanziati, un’intensa pressione politica internazionale e sanzioni economiche giugulatorie, la Siria resta ancora indomita.

La solidarietà combatte la divisione settaria in Siria

La Siria ha resistito alla tentata appropriazione su due fronti. Ovviamente, il governo ha organizzato una lotta militare difensiva. Ma l’arma più importante è stata il costante affidarsi al suo mosaico costitutivo religioso etnico e nazionale, in grado di coesistere in uno stato laico.

La guerra in Siria: Gli US, predatore ferito, spandono il caos in Medio Oriente

L’aspetto positivo della lotta per mantenere l’indipendenza nazionale era visibile in ogni immagine, ogni delegazione, ogni mobilitazione e ogni adunata di massa, che sottolineavano la ricca varietà e unità dell’intero popolo.

Inoltre la Siria ha invitato un manipolo militare ben organizzati di Hezbollah dal Libano, e poi l’assistenza militare iraniana e russa in aiuto alla difesa da quest’attacco imperialista, parte di un conflitto regionale in espansione.

Quasi tutte le decine di migliaia di mercenari stranieri reazionari finanziati da U.S., Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti sono stati ora sconfitti, insieme alle forze fanatiche dell’ISIS che detenevano vaste aree della Siria. Benché ciascun gruppo armato fosse capace di pesanti distruzioni, era separato e concorrente con ogni altro, in base agli orientamenti del proprio sponsor.

L’orgoglio nazionale per le conquiste interne del paese e la difesa della sovranità siriana sono riusciti a mantenere intatto [sic] il paese.

Capacità di dominio globale U.S. in calo

Agli U.S. è stato inferto un diverso ma analogo fallimento in Afghanistan. Nonostante un’invasione aperta e diretta del paese nel 2001 e anni d’occupazione con l’avvicendarsi di un milione di soldati, il brutale programma di “pacificazione” di Washington in Afghanistan è fallito. Per quanto possa essere endemica la corruzione in un’occupazione, lo è altrettanto la resistenza. Oggi, non una singola base d’occupazione o una strada nazionale del paese è sicura.  La guerra in Afghanistan è adesso la più lunga nella storia degli U.S., senza una fine in vista e nessuna prospettiva di istituirvi uno stabile governo fantoccio.

Una crisi aggiuntiva per l’imperialismo U.S. sta profilandosi con l’opposizione internazionale alle vittime civili e alla fame devastante in Yemen. Pur con armi high-tech di fornitura U.S. e un loro blocco navale, il loro emissario Arabia Saudita non è riuscito a infrangere la resistenza in Yemen.

Frattanto, contro ogni aspettativa, continua la resistenza palestinese contro il procuratore U.S. Israele. Tale resistenza è una realtà del 21° secolo che neppure l’ultima generazione di armi di fornitura U.S. sembra in grado di invertire.

Nonostante il tono fiducioso, aggressive dell’improvviso annuncio di Trump, riflette tuttavia una capacità U.S. in calo di dominare il mondo — indipendentemente da chi sia nell’ufficio Ovale. L’attuale schiamazzo mediatico e politico riguarda dove piazzare la colpa per questa capacità diminuita, e come invertire lo smottamento del potere U.S..

La congettura mediatica è che Trump, di fronte a un muro di opposizione politica per le sue azioni razziste, sessiste e anti-migranti, stia cinicamente tentando di rafforzare la propria base elettorale; che, benché razzista e di destra, non vede alcun interesse per sé stessa in un’altra guerra U.S. — proprio come qualunque altro settore della massa dei suoi concittadini.

Trump nella sua campagna elettorale ha effettivamente fatto promesse di ritirare truppe dalla Siria e di por fine al coinvolgimento U.S. in Afghanistan — ma manco uno dei circoli decisionali U.S. si aspettava che desse seguito a quelle promesse.

Perché la Siria è sulla lista dei bersagli U.S.

La Siria è divenuta un bersaglio U.S. da decenni in base al suo nazionalismo arabo militante, al suo sostegno alla lotta palestinese, alla sua opposizione allo stato d’Israele — testa di ponte imperialista nella regione — e alla sua economia petroliera nazionalizzata e regolata dallo stato.  Prima di essere messa nell’elenco dei bersagli U.S, la Siria aveva uno standard di vita e un tasso di sviluppo relativamente alti nella regione.

Lo sforzo U.S. di distruggere la Siria salì di giri quando il presidente George W. Bush incluse la Siria nel suo “Asse del Male” del 2002, l’elenco dei paesi di cui rovesciare l’assetto. Nel 2013, Washington impose sanzioni economiche alla Siria che erano intenzionalmente d’intralcio, accusandola di non aver preso le “decisioni giuste” al tempo dell’invasione U.S. dell’Iraq nel 2003.

Documenti Wikileaks nel 2006 evidenziarono i piani sovversivi CIA del 2006, e i suoi sforzi di fomentare il dissenso e relativi lanci aerei di armi già nel 2009. Nel 2011 operativi U.S. cominciarono a manipolare il fermento di massa che rovesciò le dittature militari sostenute dagli U.S. in Egitto e in Tunisia, dette la “Primavera Araba”. Quel fermento diede agli U.S. un’apertura per operazioni sotto copertura per tramare contro i governi anti-imperialisti in Libia e Siria.

Sette mesi di bombardamenti U.S. riuscirono effettivamente a smembrare la Libia nel 2011, così stracciando ogni passo di sviluppo in un paese che aveva goduto il più alto standard di vita in Africa. Il vasto aiuto allo sviluppo che la Libia aveva fornito per tutta l’Africa fu lasciato in rovina. Gli U.S. colsero immediatamente il varco offertosi per posizionare nuove basi militari per l’Africa.

Funzionari del governo Obama, specialmente la Segretaria di Stato Hillary Clinton, quasi annunciarono di aspettarsi un analogo e anche più rapido successo in Siria. Le prime previsioni erano che, sotto la pressione diretta U.S., il governo siriano sarebbe crollato in nel giro di poche settimane.

Washington invitò tutti i suoi alleati a partecipare allo smembramento della Siria. Non volendo essere lasciate fuori dalla promessa di un future saccheggio, Francia, Gran Bretagna, Turchia, Canada, Australia, Arabia Saudita, Qatar e gli EAU finanziarono forze d’attacco per procura. La Giordania fornì campi d’addestramento a confine aperti. Israele fornì accesso di servizio attraverso la provincia siriana del Golan, occupata da Israele fin dal 1967.

Un’interminabile serie di conferenze internazionali sulla Siria, si tennero presso l’ONU o la UE, a Ginevra, Washington, Londra, Parigi, Bruxelles e Berlino. Fu nominato un assortimento rotante di collaboratori senza sede in Siria per metter su un nuovo governo compiacente. Ma queste forze -burattino non seppero accordarsi fra loro e i loro sostenitori in contesa si persero in manovre interminabili.  Il governo siriano esistente non fu mai partecipe in alcun modo significativo a queste grandiose conferenze per decidere il futuro del proprio paese.

Il segretario alla Difesa [U.S.] James Mattis ripetè l’arrogante pretesa U.S. ancora nell’agosto 2018: “Nostro obiettivo è far entrare la guerra civile siriana nel processo di Ginevra, in modo che il popolo siriano possa stabilire un nuovo governo che non sia guidato da Assad”.

Si tennero altre “conferenze umanitarie” per trattare specificamente i 5,5 milioni di profughi siriani sfuggiti alla distruzione; ma il loro scopo reale era anche presentare richieste d’una “soluzione negoziata” che desse alle entità internazionali in ballo un certo effettivo controllo sulla sovranità siriana. Ogni tale conferenza rese chiaro che non ci sarebbe stato alcun aiuto imminente per la ricostruzione o la ricollocazione a meno che ci fosse in carica un governo di loro gradimento.

In aggiunta allo sforzo di legittimare l’assunzione di poteri U.S. ci fu uno sforzo molteplice sui media sociali per demonizzare la Siria e i suoi dirigenti, una campagna intesa a zittire e demoralizzare qualunque opposizione. Molti validi attivisti di comunità, che sapevano poco della Siria, ci cascarono. Perfino quelli che resistevano al messaggio di guerra U.S. assorbirono un profondo sospetto sulle forze combattenti in difesa della Siria come stato laico, dallo sforzo concertato di farla a pezzi.

Qual è il ruolo della Turchia e dei curdi?

Il giorno prima dell’annuncio di Trump del 18 dicembre sul ritiro di truppe U.S. dalla Siria, ci fu un incontro a Ginevra sul futuro della Siria, che escludeva gli U.S. e i paesi imperialisti dell’UE, e includeva invece i ministri degli esteri di Russia, Iran e, sorprendentemente, Turchia; tre paesi contrari, per ragioni e interessi diversi, al ruolo non sollecitato e estremamente distruttivo U.S. in Siria. A tale conferenza, secondo il quotidiano The Guardian, i tre si sono impegnati a procedure con “un processo politico efficace e durevole a guida e regia siriana e facilitato dall’ONU”. (18 dicembre)

La Turchia, un membro particolarmente strategico dell’alleanza militare NATO a comando U.S., è stata aspramente contraria all’utilizzo U.S. delle forze curde YPG in Siria; è da decenni impegnata in una guerra contro le aspirazioni nazionali della popolazione curda oppressa di 15 milioni in Turchia, dove i curdi costituiscono quasi un quinto della popolazione.

La minoranza molto più piccola in Siria, di un milione e mezzo, ha deciso di approfittare del vuoto creato dal governo centrale siriano indebolito per istituire un’agognata patria curda come area autonoma, senza peraltro chiedere il rovesciamento del governo siriano né per la cacciata del presidente Assad. L’organizzazione politica ombrello dei curdi siriani, SGF, ha avuto incontri con il governo siriano a Damasco, dove il presidente Assad ha messo in chiaro che il governo accoglieva le “porte aperte” e la discussione con i curdi, ma che tutti gli occupanti stranieri, compresi U.S. e Turchia, devono [prima] lasciare il paese. La delegazione curda ha fatto capire che il suo scopo è un accordo politico per salvaguardare la propria autonomia. Il governo centrale siriano, impegnato in una lotta per salvare l’intero paese, non era contrario all’autonomia curda. Il futuro status federato dei curdi è stato lasciato aperto. (tinyurl.com/ycrvng9b)

Nel maggio 2017 Washington, ansiosa di creare uno staterello compiacente o asservito nella zona nordest della Siria ricca di petrolio, ha armato le forze YPG nel tentativo di creare un esercito dipendente dagli U.S.  Con le forze di al-Qaeda e ISIS da un lato e serrati bombardamenti U.S. dall’altro, le milizie curde YPG erano costrette a un’alleanza con gli U.S.

Il regime turco si mostrò apprensivo che le armi U.S. fornite ai curdi irakeni con la mira U.S. di mantenere diviso l’Iraq, e le armi U.S. fornite ai curdi siriani con la mira U.S. di mantenere divisa la Siria, raggiungessero con facilità i curdi più numerosi e più oppressi in Turchia.

L’attuale cruccio dei media U.S. che il ritiro annunciato da Trump significhi che la presenza militare U.S. non “protegga” più i curdi in Siria è in malafede. L’obbiettivo U.S. è stato da sempre stabilire la propria base nella regione e mantenere tutte le altre forze divise e in contesa.

Adesso la partecipazione della Turchia con la Russia e l’Iran alla recente conferenza, e la crescente possibilità che la Turchia rompa con la NATO — magari perfino un confronto militare fra forze turche e U.S.  — ha colto Washington in un groviglio di propria fattura.

Russia, Iran o — ?  Qual è il prossimo paese?

L’assistenza russa e iraniana alla Siria ha carattere difensivo.  Se gli U.S. dovessero riuscire a rovesciare il governo in Siria — come han fatto in Iraq e in Libia — certamente Russia e Iran, che resistono entrambi alla dominazione U.S., sembrerebbero i probabili prossimi bersagli U.S.

Anche il movimento antibellico deve restare vigile. Le forze U.S. sono ancora ammassate sul terreno del Vicino Oriente, nelle basi dei droni in vari paesi africani, nei convogli navali al largo delle coste della Cina e dell’Estremo Oriente. Ci sono quindi truppe, portaerei, sottomarini nucleari e droni U.S. nelle immediate vicinanze della Siria, in cerca di una nuova occasione o una provocazione architettata.

Come ha fatto il Pentagono in Iraq, ci sono molti modi per ribattezzare le truppe U.S. in Siria e varare una nuova iniziativa imperialista.

Le forze antibelliche e progressiste devono mantenere una chiara e coerente richiesta di rimpatriare tutte le truppe e i consulenti [militari], chiudere le basi, e por fine a tutte le occupazioni e sanzioni.

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Sara Flounders è stata due volte in Siria con delegazioni di solidarietà durante la guerra US contro quel paese. E’ co-direttrice dell’International Action Center e collabora al coordinamento di United National Antiwar Coalition, Hands Off Syria Campaign, e Coalition Against US Foreign Military Bases.

 

31 Dec 2018 | Sara Flounders | Workers World – TRANSCEND Media Service

Titolo originale: What’s Behind U.S. Troop Withdrawals Announced for Syria and Afghanistan?

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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