Trascendere le regressioni nell’ordine mondiale | Richard Falk

Non molto tempo fa ho riletto un meraviglioso saggio scritto dal mio amico Marc Nerfin oltre 35 anni fa, pubblicato con l’enigmatico titolo “Né principe né mercante – cittadino: introduzione al Terzo Sistema, 1981”. La posizione essenziale presa da Nerfin è che né lo stato sovrano né l’ordine economico sono orientati a un future umano e sostenibile, benché entrambi tali nodi di potere restino necessari per l’organizzazione della vita [umana] sul pianeta. Per Nerfin ciò che solo può produrre una politica emancipatrice è l’ulteriore mobilitazione di quel che definisce, come segue, ‘il terzo sistema’:

“In contrasto con i poteri governativo ed economico — del Principe e del Mercante — c’è un potere immediato e autonomo, talora evidente, talaltra latente: quello della gente. Alcuni ne sviluppano consapevolezza, si associano e agiscono con altri, divenendo così davvero cittadini. Essi e le loro associazioni, quando non cerchino il potere governativo o quello economico, costituiscono il Terzo Sistema”.

E’ suggestive che Nerfin definisca un cittadino per quel che qualcuno fa, agendo singolarmente o in gruppo, anziché per uno status formale conferito da un decreto dello stato. Nerfin osserva inoltre che far parte del Terzo Sistema comporta rinunciare a qualunque ambizione d’esercitare un potere statale o di partecipare all’ordine economico globale. In alter parole, la cittadinanza implica autonomia d’azione e d’aspirazione, ma non si reduce all’ideologia dell’individualismo liberale che sospinge i diritti umani internazionali in direzioni attinenti alla civiltà occidentale, il che ne indebolisce le pretese universaliste.

Quest’orientamento ha definiti collegamenti ideatorii con il movimento dei commoner, concettualizzato negli scritti di David Bollier [si veda per esempio A Short Introduction to the life of the Commons (2014) (Pensare come un Commoner: breve introduzione alla vita delle Comunanze – ndt] che prevede un positivo futuro umano sulla base di azioni congiunte di singoli, gruppi e comunità che cercano vite e sostentamenti indipendenti dallo stato o del mercato, puntando a una impennata d’imprese cooperative secondo tali linee in tutto il mondo. Analogamente, la mia valutazione della globalizzazione neoliberista è negativa in quanto ‘globalizzazione-dall’alto’ e ripone la sua speranza nella potenziale mobilitazione transnazionale dei movimenti nello spirito di una globalizzazione altra ossia ‘dal basso’. E’ una prospettiva che insiste anche che è la creatività della gente, non i progetti dello stato e del mercato, che possiede un potenziale emancipatore date le nostre circostanze storiche. [V. Predatory Globalization: A Critique (1999)]

Nerfin fa anche rilevare apologeticamente che la cittadinanza è alla radice un’esperienza di partecipazione prettamente occidentale nel plasmare la vita collettiva, e che alter civiltà debbano avere pienamente le proprie modalità di affermare la partecipazione come base di un’esperienza di appartenenza positiva a una collettività umana più ampia. A parte queste sottigliezze, l’affermazione centrale è che solo i popoli del mondo, agendo spontaneamente e risolutamente, possano conseguire le specie di trasformazioni da cui dipendono la sopravvivenza umana e la  sostenibilità ecologica. E’ questa chiarificazione di Nerfin che stablisce affinità illuminanti con l’opera e gli impegni etici di Bollier, Johan Galtung, Robert Cox, Stephen Gill e molti altri pensatori che si sono liberati dalle percezioni con paraocchi delle tematiche globali e dell’ordine mondiale quali esposte dalla mainstream ‘realista’, cioè da coloro senza contatto con la realtà, propriamente e umanamente concepita.

In modi piuttosto profondi, quanto ha scritto Nerfin oltre 35 anni fa è più rilevante per la nostra attuale situazione che quando fu scritto. A quel tempo, benché il mondo fosse certamente minacciato dalla Guerra Fredda, implicante un minaccioso confronto nucleare, forme predatorie di espansione capitalista imperturbata dalla persistenza di miseria di massa o dal sanguinoso interventismo che accompagnò le guerre d’epilogo dell’era coloniale, allora c’erano fonti di promessa normativa, rispetto al lugubre presente, non ultime fra le quali erano il crollo del colonialismo europeo e la liberazione di centinaia di milioni di persone in precedenza prigionieri nel sud globale.

Gli Stati Uniti offrirono una leadership parzialmente benevola negli affari mondiali, che pur fastidiosamente militarista, era ancora reattiva al bisogno condiviso di diplomazia multilaterale e legislazione globale, nonché incline al sostegno dell’ONU per quanto consapevole dei propri limiti, cioè che non sfidasse le manovre geopolitiche occidentali. Analogamente, il capitalismo, ancora bisognoso di conseguire vantaggi morali nella sua rivalità con il socialismo, creò sistemi di protezione sociale per molta parte della propria popolazione, che pur lungi dall’essere adeguata, introduceva comunque una certa misura di empatia nella vita da cane-mangia-cane della società capitalista.

Quando consideriamo il presente, la situazione dei principi e dei mercanti pare deprimente al confronto. Gli Stati Uniti esibiscono uno stile di conduzione autoritario, demagogico e plutocratico, che ripudia il multilateralismo anche nelle più impegnative sfide globali. Senza neppur cercare di offrire riassicurazioni, Trump si batte per una sovranità scevra di leggi sfrontatamente dedita alla massimizzazione della propria ricchezza e influenza nazionale, sostenuta dall’intensificazione degli investimenti governativi esplicitamente progettati per produrre una strapotente dominazione militare con potenziale globale che duri per sempre. Tale buia visione è stata esposta sfrontatamente da Donald Trump nel suo recente discorso all’Assemblea Generale ONU, che ha fortunatamente provocato ben più risate derisorie che applausi, sebbene sarebbero forse state più  appropriate lacrime. Insieme alla geopolitica regressiva di Trump c’è il lancio simultaneo di guerre commerciali protezioniste e una deregulation del settore privato che incoraggia il saccheggio del pianeta, l’ulteriore smantellamento delle strutture di protezione sociale nazionali, e intanto un atteggiamento negazionista o repulsivo rispetto alle gravi sfide multiple incombenti del riscaldamento globale, della lotta genocida, del massiccio spostamento umano, e delle crescenti sacche di estrema povertà.

Tuttavia non si tratta solo di quest’abbraccio populista americano a quanto pare un’agenda pre-fascista a livello interno e una disastrosa ritirata dall’impegno a livello internazionale, bensì di tendenze strutturali lungo linee nazionali distinte eppure globalmente convergenti. Quasi ogni grande paese è assediato da una leadership ultra-nazionalista di destra che mobilita la propria base di sostegno trovando capri espiatori entro i propri confini per account for frustrazione e la rabbia di massa, e favorisce muri per esibire una volontà politica escludente che incarna un insensibile rigetto dei migranti in fuga da combattimenti, dall’indigenza, dalla disperazione, chiaro segno di una umanità fratturata. Questo schema globale manifesta squilibri strutturali che hanno portato a livelli rabbiosi di disuguaglianza che risulta in stagnazione o peggio per la moltitudine, mentre sparge ricchezza senza precedenti su minuscule élite economiche, spesso corrotte e  criminalizzate.

Mentre Nerfin poté investire le sue speranze nella creatività e nel potenziale visionario di gente organizzata per un cambiamento sostanziale, noi abbiamo ora motivi per temere che la manipolazione delle passioni democratiche per amor d’ordine e rivalsa renderà ancor peggiore un sistema penosamente inadeguato di ordine mondiale. Le recenti elezioni brasiliane sono indicative di ciò che dobbiamo temere e contrastare: un candidato demagogico non qualificato, Jair Bolsonaro, noto per le sue espressioni di odio verso le minoranze e promesse fatte nella campagna di drenare violentemente i pantani del governo dei suoi elementi corrotti, trionfa provvisoriamente sui social-democratici tradizionali e perfino su conservatori orientati al mercato.

A tal riguardo, dobbiamo discutere se e come le energie del Terzo Sistema, il far comunanza e la globalizzazione dal basso, possa essere rivolto verso obiettivi emancipatori secondo modalità con attrattiva di massa, oppure dobbiamo guardare altrove per far fronte alle urgenti sfide di questo momento bioetico in cui la società globale organizzata pare distolta da tali urgenti priorità politiche come il cambiamento climatico, il genocidio, e il nuclearismo.

Per essere onesti, le prospettive di Nerfin and Bollier non si aspettano che le cittadinanze mainstream manipolate dai media procurino le energie emancipatrici richieste. Fanno più affidamento sull’accelerazione del distacco di persone e gruppi da questi sistemi organizzativi centrali dello stato e del mercato, trovando spazio libero per immaginare e attuare alternative in ambienti locali indifferenti o perfino ostili alle codificazioni convenzionali di nazionalità, etnicità, e religione. Forse tali comunità esplorative sono I crogioli di trasformazioni di civiltà che introdurranno una civiltà planetaria guidata dagli interessi umani quando si tratti di un’agenda globale, e da una governance locale riguardo alla vita quotidiana delle comunità. Se anche è così, le crisi dell’ordine mondiale che minacciano di catastrofe il futuro umano e non-umano pongono emergenze che non possono dipendere dai lunghi ritmi temporali della trasformazione assiale, di secoli, avendo di fronte ora sfide che bisogna gestire efficacemente entro decenni.

Nerfin riconosceva che mentre l’emancipazione [era] è un impresa del Terzo Sistema, l’organizzazione delle complessità globali richiede[va] ancora un’azione responsabile del principe e del mercante. In proposito non c’è alternative all’imperativo di rovesciare il banco al populismo di destra e al capitalismo predatorio se l specie umana deve trovare il tempo, lo spazio e le energie immaginative per compiere la visione e il potenziale dell’umanesimo ecologico, l’unico ethos che possa costruire speranze credibili per l’ulteriore dispiegamento del ventunesimo secolo.

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Richard Falk è membro della Rete TRANSCEND, studioso di relazioni internazionali, professore emerito di diritto internazionale alla Princeton University, autore, coautore o redattore di 40 libri, e conferenziere e attivista in affair mondiali. Nel 2008, the United Nations Human Rights Council (UNHRC) ha nominato Falk per sei anni United Nations Special Rapporteur su “la situazione dei diritti umani nei territori Palestinesi occupati dal 1967”. Dal 2002 vive a Santa Barbara, California, e insegna al campus locale di Studi Globali e Internazionali dell’University of California, e dal 2005 presiede il consiglio d’amministrazione della Nuclear Age Peace Foundation. Il suo libro più recente è Achieving Human Rights (2009) [Conseguire I diritti umani].

 

TMS#558 – Richard Falk

Titolo originale: Transcending World Order Regressions

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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