Israele vuole cambiare del tutto le regole del gioco. Col sostegno incondizionato dell’amministrazione Trump, Tel Aviv vede un’occasione d’oro per ridefinire quel che ha costituito per decenni il fondamento legale e politico per il cosiddetto ‘conflitto israelo-palestinese’.
Se la politica estera del presidente USA Donald Trump è stata finora erratica e imprevedibile, la ‘visione’ della sua amministrazione d’Israele e Palestina è invece sistematica e costante. Questa coerenza sembra essere parte di una visione più ampia mirata a liberare il ‘conflitto’ dai confini del diritto internazionale e addirittura del vecchio ‘processo di pace’ sponsorizzato dagli USA.
Infatti, la nuova strategia ha finora preso di mira lo status di Gerusalemme-est come città palestinese occupata, e il diritto al ritornoper i profughi palestinesi; mirando a creare una nuova realtà in cui Israele raggiunge i propri obiettivi strategici mentre i diritti dei palestinesi vengono ridotti a meri problemi umanitari.
Senza sorpresa, Israele e gli USA utilizzano la divisione fra le fazioni palestinesi, Fatah e Hamas, a proprio vantaggio. Fatah domina l’Autorità Palestinese (PA) a Ramallah mentre Hamas controlla Gaza assediata.
Si tratta seriamente di uno scenario bastone-e-carota. Per anni Fatah ha ricevuto numerosi extra da Washington mentre Hamas sussisteva in isolamento sotto assedio permanente e un protratto stato di guerra. Pare che ora l’amministrazione Trump – sotto gli auspici del genero e consigliere capo del presidente, Jared Kushner – stia invertendo i ruoli.
La ragione per cui la PA non è più la dirigenza palestinese ‘moderata’ del passato nella solita agenda autogratificante di Washington è che Mahmoud Abbas ha deciso di boicottare Washington in risposta al suo riconoscimento dell’intera Gerusalemme come capitale d’Israele. Certo, la remissività di Abbas è stata constatata a lungo in passato, ma sotto la nuova amministrazione USA si pretende completo ‘rispetto’, ossia totale obbedienza.
Hamas, bloccata a Gaza fra confine chiusi in ogni direzione, ha contatti indiretti con Israele tramite la mediazione egiziana e qatariota. Contatti finora risultati in una tregua breve, mentre si tratta ancora per una tregua a lungo termine.
L’ultimo sviluppo su tale fronte è stato la visita di Kushner, accompagnato dall’inviato per il Medio Oriente, Jason Greenblatt, in Qatar il 22 agosto, dove Gaza è stata il principale tema in agenda.
Allora, perché Gaza, finora così isolata (perfino dalla stessa PA), è diventata improvvisamente la porta utilizzata dai massimi dirigenti USA, israeliani e regionali per riattivare la diplomazia mediorientale?
Ironicamente, il soffocamento di Gaza è particolarmente intenso in questo periodo. L’intera Striscia di Gaza sta sprofondando sempre più nella sua imperversante crisi umanitaria, e agosto ne è uno dei mesi più estenuanti. Una serie di tagli ad aiuti finanziari USA ha colpito proprio l’infrastruttura socio-economica che permetteva a Gaza di tirare avanti, nonostante l’estrema povertà e il persistente blocco economico. Il 31 agosto, la rivista Foreign Policyha riferitoche l’amministrazione USA sta negando tutti i fondi all’agenzia ONU per i profughi palestinesi, UNRWA – che ha già subito tagli massicci USA da gennaio, sicché il futuro dell’organizzazione è in grave pericolo. La preoccupante notizia è arrivata solo una settimana dopo un altro annuncio, della decisione USA di tagliare quasi ogni aiuto stanziato per i palestinesi quest’anno – $200 milioni, perlopiù spesi in progetti di sviluppo in Cisgiordania e in aiuti umanitari a Gaza.
Perché quindi gli USA vorrebbero fabbricare una considerevole crisi umanitaria a Gaza – così comoda per il governo di destra di Benjamin Netanyahu – mentre, simultaneamente, s’impegna in discussioni sul bisogno urgente di por fine alla sventura umanitaria di Gaza? La risposta sta nel bisogno USA di manipolare l’aiuto ai palestinesi per estorcergli concessioni politiche a favore d’ Israele.
Già mesi prima dell’inizio dei colloqui indiretti fra Israele e Hamas sponsorizzati dall’Egitto, c’è stato un inequivocabile mutamento nell’atteggiamento israeliano e USA riguardo al future di Gaza: il 31 gennaio scorso, Israele presentò a una conferenza d’alto livello a Bruxelles ‘piani d’assistenza umanitaria’ per Gaza a un costo preventivato di 1 miliardo di dollari, focalizzati principalmente su distillazione d’acqua, elettricità, infrastrutture per il gas, e l’ammodernamento della zona industriale congiunta al varco di Erez fra Gaza e Israele. Essenzialmente, il piano israeliano è ora al centro della discussione sulla proposta tregua a lungo termine. All’incontro partecipò Greenblatt, insieme a Kushner incaricato di attuare la vaga vision di Trump, impropriamente chiamata ‘l’accordo del secolo’. Due mesi dopo, Kushner ospitòalti dirigenti di 19 paesi per discutere la crisi umanitaria a Gaza.
C’è un filo comune fra tutte queste attività.
Da quando gli USA hanno deciso di sfidare il diritto internazionale trasferendo la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme lo scorso dicembre, sono in cerca di una nuova strategia che circonvenga la PA a Ramallah, il cui presidente, Abbas, ha poco con cui negoziare, basandosi il suo apparato politico perlopiù basato sul ‘coordinamento della sicurezza’ con Israele, sulla convalida politica USA e le sue erogazioni finanziarie. Hamas ha un capitale politico relativamente maggiore – avendo agito con meno dipendenza dal campo israelo-USA-occidentale. Ma anni di assedio incessante, interrotto solo da massicci e letali attacchi bellici israeliani, hanno spinto Gaza in una crisi umanitaria permanente. Una tregua temporanea fra Israele e i gruppi palestinesi a guida Hamas di Gaza è in attodal 15 agosto, una tregua di lungo terminesi sta ancora negoziando. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, che cita funzionari israeliani, la tregua compenderebbe un’ampia cessazione d’ostilità, con l’apertura di tutti i varchi confinari, l’espansione della zona di pesca ammessa al largo della costa di Gaza, e la rimessa in sesto delle infrastrutture economiche disastrate di Gaza – fra altre clausole.
Contemporaneamente, I dirigenti palestinesi a Ramallah stanno rodendosi il fegato. Il ‘negoziatore capo’, Saeb Erekat, ha accusato Hamas di cercare di “distruggere il progetto nazionale palestinese” negoziando un accordo separato con Israele. L’ironia è che l’Organizzazione di Liberazione della Palesina (PLO) dominata da Fatah e la PA non fanno altro da oltre 25 anni.
Tuttavia, sganciare il future di Gaza dal destino di tutti I palestinesi può effettivamente condure a pericolose conseguenze.
A prescindere dal raggiungimento di una tregua permanente fra Israele e le fazioni di Gaza a guida Hamas, la triste verità è che, qualunque grandiosa illusione sia agitata al momento da Washington e Tel Aviv, è quasi del tutto basata sullo sfruttare le divisioni palestinesi, delle quali la colpa intera è da addebitare alla dirigenza palestinese.
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Ramzy Baroud è un giornalista, autore e redattore di Palestine Chronicle. Si è laureato in Studi Palestinesi all’Università di Exeter e scrive sul Medio Oriente da oltre 20 anni. Baroud è Studioso non-residente all’Orfalea Center for Global and International Studies, Università della California – Santa Barbara. Fra i suoi libri: Searching Jenin, The Second Palestinian Intifada,e My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story. Il suo ultimo libro èThe last Earth: a Palestinian story (Pluto Press, London, 2018).
Il suo sito web:www.ramzybaroud.net. Email: [email protected]
Ramzy Baroud | Politics for the People – TRANSCEND Media Service | 5 Sep 2018
Titolo originale: What Lies Beneath: The US-Israeli Plot to ‘Save’ Gaza
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis
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