Riflessione su Kofi Annan: possiamo amare quel che siamo senza odiare quell che non siamo? | Akbar Ahmed e Brian Forst

Kofi Annan verrà ricordato a lungo per il suo celebre, seppur talora controverso mandato come Segretario Generale ONU dal 1997 al 2006, e per aver conseguito il Premio Nobel per la Pace  nel 2001. Sarà ricordato altrettanto per la sua rispettabilità, ponderazione, eloquenza, franchezza disarmante, impegno al servizio, e umiltà. E anche per l’aver vissuto questi suoi attributi profondamente radicati anche di fronte ad estrema avversità, per raggiungere obiettivi umanitari in precedenza impossibili.

Gli atti più controversi di Annan durante la sua permanenza come segretario generale furono la sua netta opposizione all’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003—un “peccato” per il quale è stato da tempo vendicato—e la sua riluttanza ad essere più aggressivo nel trattare disastri umanitari, specialmente in Rwanda. Riluttanza comprensibile, peraltro: il segretario generale ONU non è comandante in capo di una nazione sovrana. Tuttavia, Annan diresse un’espansione senza precedenti del ruolo di peacekeepingdell’ONU con il dispiegamento di 75.000 soldati in 19 missioni.

Le Nazioni Unite possono essere un’organizzazione intrinsecamente ingovernabile, dato il suo vasto bacino associative e la profondità e ampiezza dei conflitti e dilemma internazionali che ha affrontato dalla sua creazione nel 1945. Annan riuscì nondimeno a riformare la sua burocrazia e lanciare iniziative che fecero molto per il progresso della missione ONU, compresa la sua creazione del Global Compact[Patto, ndt] ONU nel 2000, che indusse aziende di tutto il mondo ad adottare politiche sostenibill e socialmente responsabili, ed iniziative per combattere l’HIV con la creazione del Fondo Globale [apposito] nel 2002. Portò l’ONU dalla torre d’avorio alle persone in carne ed ossa a terra. Non è un caso che sia stato il primo segretario generale ad essere eletto fra le fila del personale ONU, avendoci lavorato fin dal 1962.

Nonostante questi doni e successi notevoli, temiamo che la sostanza e la forza del suo messaggio centrale potrebbe perdersi nell’oblio: che le persone riflessive possono operare per fare la differenza [anche] in circostanze difficili e con prospettive di probabile insuccesso. Nel 1995, nella scia della crisi etnica in Bosnia, Annan osservò: “In retrospettiva annoteremo tutti come abbiamo reagito all’intensificarsi degli orrori dei quattro anni scorsi. E così facendo, ci sono domande cui ciascuno di noi dovrà rispondere. Che cosa ho fatto io? Avrei potuto fare di più? E ciò avrebbe potuto fare una differenza? Ho lasciato che il mio pregiudizio, la mia indifferenza e la mia paura soverchiassero la mia ragione? E come reagirei la prossima volta?”

Nel 2005 abbiamo avuto la fortuna di far sì che Annan contribuisse con un saggio a un libro (After Terror) progettato per contrastare un forte e pericoloso messaggio stimolato dall’attacco dell’11 settembre [2001]: che il mondo era impegnato in uno scontro esistenziale fra l’Occidente e l’Islam. Egli inviò un chiaro messaggio: Le civiltà e le culture sono “organismi in flusso costante”; possiamo contribuire a plasmarle in primo luogo riconoscendo che “possiamo amare quello che siamo senza odiare quello che non siamo”, e poi impegnandoci in un dialogo “di parole e atti” fra le culture, assicurandoci che tale dialogo “distingua le bugie dai fatti, e la propaganda da una sana analisi” in modo da “scoprire le vere rimostranze al nocciolo del conflitto”. Messaggio accompagnato da una riflessione non meno pertinente oggi di quanto lo fosse quando la scrisse tredici anni fa:

L’intolleranza al mondo è tanto diffusa quanto perniciosa. Ma la nostra sfida non è solo diagnosticare la malattia, Dobbiamo curarla. Non possiamo accantonare la discriminazione come un aspetto inevitabile della natura umana. Come alla gente si può insegnare a odiare, così può imparare a trattare gli altri con dignità e rispetto. Né possiamo accettare l’intolleranza come un prevedibile sottoprodotto di povertà, ingiustizia, o capacità governativa sciatta. E’ decisamente in nostro potere cambiare tali condizioni. Né possiamo permetterci d’ignorare una retorica incendiaria per via che le parole possono fare poco male effettivo. Una retorica ostile è quanto mai sovente il precursore ad atti ostili, e gli atti ostili hanno modo d’intensificarsi diventando violenza, conflitto, e peggio. Tutti noi dobbiamo partecipare a questa battaglia.

Egli concluse con la sua visione della civiltà globale per il nuovo millennio:

Accanto alla ricca varietà di civiltà, culture, e gruppi al mondo, c’è anche, credo, una civiltà globale che siamo chiamati a difendere e promuovere inoltrandoci in un nuovo secolo. E’ una civiltà definita dalla sua insistenza sui diritti umani e le libertà universali, la sua tolleranza per il dissenso, e dal credere nel diritto delle persone ovunque di poter esprimere un parere su come sono governate. E’ una civiltà basata sulla credenza che la diversità sia qualcosa da celebrare, non da temere. In effetti, molte guerre nascono dalla paura della gente per quelli diversi da sé. Solo con il dialogo tali paure possono essere superate.

Ricordando  atti e conquiste di Kofi Annan, non dimentichiamo il suo messaggio, così profondamente eloquente per i guai con cui ci confrontiamo oggi.


Akbar Ahmed presiede la Cattedra di Studi Islamici Ibn Khalduned è professore di Relazioni Internazionali alla Scuola di Servizio Internazionale dell’American Universitya Washington, DC. Brian Forst è professore emerito di Giustizia,Diritto e Criminologia alla scuola di Affari Pubblici dell’AmericanUniversitya Washington, DC.


 August 27, 2018 | Guest post by Akbar Ahmed  and  Brian Forst | politicalviolenceataglance.org
Titolo originale: Reflecting on Kofi Annan: Can We Love What We are Without Hating What We are Not?
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

 

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