Il caso Diciotti: ricette e concetti ottocenteschi, nel mondo globale del terzo millennio

Angela Dogliotti

Manifestando con le Donne in nero, sabato scorso, ad Alba, si percepiva bene il clima che si respira di questi tempi.

Di fronte ai cartelloni che chiedevano al governo lo sbarco dei migranti della Diciotti, diversi passanti scuotevano il capo e qualcuno ci diceva: “Perché non ve li prendete a casa vostra”?

Quasi rispondendo a questa provocazione, che riecheggia la posizione più volte espressa nel passato dallo stesso attuale Ministro dell’Interno, la CEI ha deciso di intervenire, sbloccando la situazione. Da alcuni giornali questo gesto è stato letto come un sostegno al governo. A me pare, piuttosto, una decisione che risponde da un lato ad una esigenza umanitaria e doverosa di soccorso nei confronti di persone inermi trattenute per giorni in condizioni disumane, mentre, dall’altro è un gesto che ha costretto Salvini a fare un passo indietro rispetto alla linea dura della non autorizzazione allo sbarco.

Come si fa a dire no a qualcuno che si assume la responsabilità di rispondere alla richiesta di soccorso di queste persone?

In realtà, è proprio questa “linea dura” il punto debole. Essa infatti, per rincorrere il consenso e la popolarità di una parte degli elettori, frustrati e colpiti dagli effetti della crisi economico-sociale, sta portando il paese nel cul-de-sac delle chiusura sovraniste e populiste, che creano isolamento internazionale e non riescono a dipanare la complessità dei problemi, confidando nella possibilità remota che la situazione si risolva alzando muri, mettendo barriere, difendendo i “confini”.

Ricette e concetti ottocenteschi, nel mondo globale del terzo millennio.

Ma come si può pensare che, di fronte a problemi difficili e complessi come il riscaldamento globale e le crescenti tensioni internazionali, ciascun paese sia in grado di fare da sé, di mettere in campo misure capaci di difendere i più deboli, di garantire livelli di democrazia e di welfare in modo giusto e sostenibile per tutti?

Come non vedere che un problema epocale come quello dello spostamento forzato di milioni di esseri umani, giovani che fuggono per non essere coinvolti in conflitti armati, donne e bambini che cercano rifugio da guerre e dagli effetti devastanti dei cambiamenti climatici già in atto, dalla povertà e dalla distruzione del loro ambiente di vita, non potrà essere arginato che da un cambiamento radicale di prospettiva, che rimetta in discussione dalle fondamenta un sistema iniquo e insostenibile anche per gli stessi paesi che lo hanno creato?

Certo la crisi economica, frutto di questo modello di sviluppo che dilapida risorse e alimenta disuguaglianze, ha inciso profondamente anche da noi, facendo crescere povertà e frustrazioni, rabbia e disperazione. E’ facile, perciò, individuare dei capri espiatori sui quali scaricare il rancore per questa situazione di impoverimento e degrado: i migranti che “ci prendono il lavoro”, o i “burocrati europei” che ci tolgono la sovranità… ma non è con una guerra tra poveri che si risolvono i problemi, né con la pericolosa crescita di una cultura nazionalista e “muscolare”, di stampo a volte squadristico, come quella che si esprime in atti squallidi e intimidatori come il recente attacco alla sede nazionale del Movimento Nonviolento di Verona o negli episodi di razzismo sempre più tollerati.

Come rispondere concretamente alle paure e al disorientamento, alle ferite nella carne e nell’anima di chi chiede una vita più vivibile, di chi non ha speranze di futuro e cerca di difendere ciò che teme di perdere? Come far sentire che l’origine dei problemi è la stessa , per gli ultimi di ogni periferia, di qua e di là dal mare?

Bisogna trovare delle risposte. I proclami non bastano più. Come costruire esempi concreti di alternative praticabili, capaci di pensare e mettere in atto dal basso e a partire da sé percorsi che aprano prospettive di speranza e di solidarietà nuove, all’altezza delle sfide del nostro tempo?

Il gesto concreto di aprire le porte ai migranti della Diciotti mi pare vada in questa direzione. Come possiamo sostenerlo? Come attivare le risorse e le energie di tante persone disponibili e impegnate nel necessario cambiamento nel segno dell’equità, della sostenibilità, della nonviolenza?

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