Oslo: proposta di pace o pausa fino alla “completa vittoria” d’Israele? | Walid Salem

Un breve inquadramento teorico

Luglio 2018 – 25 anni dopo, guardando alla Dichiarazione dei Principii (Accordo di Oslo) del 1993, si dovrebbe badarne ai risultati anziché alle intenzioni dei dirigenti del tempo.

Si possono citare tre approcci analitici:

  • 1°: Qualcuno assumerà una prospettivabasata sui protagonisti valutando Oslo, focalizzandosi sulla concisione e sulle sincere intenzioni di Arafat e Rabin, firmatari dell’Accordo. Lo sapzio disponibile qui non permette un’indagine esauriente di tale approccio.
  • 2°: Andrebbe oltre proponendo un approccio strutturale riguardante le strutture create dal processo di Oslo e le loro eventuali prospettive future. Qui gli attori sono ritenuti parte delle strutture che ne dettano gli atti.

3°: ove si considerano i ruoli degli attori nella cornice dei rapporti interattivi con le strutture socio-politiche ed economiche – ciò che il sociologo britannico Anthony Giddens chiama “strutturazione”. Il che comprende il cambiamento degli attori nel corso della storia, e l’influenza su di essi, e le loro prospettive, politiche ed azioni, a loro volta influenti sulle strutture. Qui con la complessità aggiuntiva della percezione locale, regionale e internazionale/transnazionale delle strutture (compresi ruoli e influenze degli attori non-statuali localmente ed oltre).

Quanto segue è pertanto un’indagine esauriente del modus operandi degli attori nel corso della storia badando alle continuità e alle rotture avvenute riguardo ai componenti analitici ed altri come le differenze al livello micro(come le influenze personali, gli avvenimenti specifici.. etc), o al livello macro(come le guerre e i mutamenti cruciali), o ancora al livello meso(inclusive delle influenze della società, comunità, e degli elettorati), e infine al livello mega(avvenimenti cruciali che portano a mutamenti radicali, localmente e globalmente, quali il crollo dell’URSS a inizio anni 1990 e la guerra all’Iraq nel 2003).

Questi elementi appaiono fornire piste per una completa revisione dell’accordo di Oslo. Questo spazio permette tuttavia una breve rassegna dei risultati locali, regionali e globali 25 anni dopo.

L’attuale narrazione israeliana e le proposte verso i palestinesi

Localmente e rispetto ai palestinesi, Israele nel suo 70° anno sembra essere tornado ai primi tempi del sionismo, combinato con tutta la sua aggressività e il suo eccezionalismo che non lascia spazio ad altri. Per loro è questione di tempo perché Israele abbia un milione di ebrei che abitino in Cisgiordania come presentato nell’opuscolo del Consiglio di Yisha edito nel marzo 2013 alla vigilia della visita del presidente USA in Israele.

Territorialmente, gli esempi comprendono anche l’appello del [partito] Habayt Hayihudi e parti del Likud ed altri partiti della coalizione [di governo] per l’annessione dell’Area C ad Israele, oppure per annettere e concedere identità israeliana ai palestinesi cisgiordani (Moshe Arens, presidente Robi Rivlin, e la giornalista del Jerusalem Post Caroline Glick, che ha scritto un libro su tale opzione). O per l’annessione mantenendo i palestinesi come “residenti” anziché conceder loro la cittadinanza (proposta del Consiglio di Yisha del 2013 reperibile sul loro sito web). O per annettere le parti maggiori della Cisgiordania dando i residui a grosse famiglie palestinesi per la gestione in ogni città cisgiordana (proposta del professor Mordechai Kedar). O per evacuare la popolazione palestinese cisgiordana in Giordania e altri luoghi, come proposto dal partito Zehut guidato da Moshe Feiglin nella sua piattaforma, reperibile anch’essa nel sito del partito. E’ significativo che questi tipi di proposte siano spuntati come funghi dall’insediamento dell’amministrazione USA guidata dal presidente Donald Trump all’inizio del 2017.

Senza citare altre proposte, si può dire che l’elemento comune a tutte è che si tratta non della terra di Palestina bensì della terra d’Israele da tremila anni di storia. I gentili (gli arabi e I palestinesi), secondo questa narrazione, la occuparono per un po’, ma fu poi “liberata” nella Guerra del 1967 e gli “occupanti palestinesi” hanno due opzioni dopo essere stati sconfitti: la prima è continuare a vivere in “Eretz Israel” adeguandosi all’egemonia israeliana e alle leggi israeliane, o andarsene dal paese con un taglio netto o con la forza qualora decidano di resister. Questo è uno degli elementi comuni presente per esempio nella piattaforma del partito Zehut, nel Canale Sette degli articoli dei coloni, e nel sito web del Consiglio di Yisha.

Altro elemento comune è l’esclusione di Gaza; per alcuni che sia lo Stato di Palestina, o un territorio autonomo, con o senza parti aggiuntive del Sinai.

Terzo elemento comune è la premessa a queste proposte: i palestinesi sono già sconfitti, e le tematiche di Gerusalemme, dei profughi, e dell’espansione delle colonie sono già sottratti al tavolo negoziale col sostegno americano. Col risultato – si suppone – che è arrivato il momento di liquidare la questione palestinese. Di concerto, il “Middle East Forum” stanziato negli USA e guidato da Daniel Pipes ha istituito il “Comitato supremo per la Vittoria Israeliana” nel luglio 2017 per operare per una piena sconfitta dei palestinesi e una piena vittoria d’Israele. Il Comitato è guidato dal parlamentare Oded Folder del Partito Habayt Hayihudi e comprende 26 parlamentari come Yehuda Glick e Avraham Neguise (entrambi del Likud). In aprile dello stesso anno sempre questo Forum ha istituito l’ “Alto Comitato Parlamentare per la Vittoria d’Israele” negli Stati Uniti con a capo I parlamentari [USA] Ron De Santis e Bill Johnson, mirante a convincere l’amministrazione USA a lasciar perdere i prezzi per la pace e le alternative, per adottare invece  un approccio che aiuti Israele a sconfiggere pienamente i palestinesi e a riscattare la Cisgiordania e Gerusalemme-est alla completa appartenenza israeliana. L’istituzione di tale comitato dapprima negli USA e poi in Israele pone di chi sia più estremista – il sionismo o quegli estremisti negli USA – e di chi finanzi chi fra loro.  Nel sito web di Daniel Pipes ci sono scenari apocalittici per conseguire la piena vittoria israeliana, come tagliare le forniture d’acqua e d’elettricità,seppellire I martiri palestinesi in luoghi sconosciuti, ricavare la compensazione per I danni arrecati dalle azioni dei martiri dal gettito fiscale che Israele esige per lo Stato di Palestina, e altri “perfidi” metodi affini.

Proposte d’espansione israeliana alla Giordania e all’Arabia Saudita

Se è l’ora della “piena vittoria” israeliana, Israele deve allora pensare, secondo la nuova mainstream, ad attuare piani espansivi regionali; fra i quali, discussi in questi giorni, ci sono quelli in Giordania e quelli in Arabia Saudita, magari in forma lieve sotto forma di progetti economici, come quello ferroviario proposto dall’attuale ministro dei Trasporti Yisrael Katz sulla scia di un’idea analoga esposta da Theodor Herzl nel 1886. Al contrario dei progetti di Shimon Peres degli anni 1990 miranti alla pace e alla prosperità economica al fine di creare un nuovo Medio Oriente, i nuovi progetti mirano a normalizzare i rapporti con i paesi arabi pur senza far pace con i palestinesi, e attuando del tutto l’iniziativa di Pace Araba ritirandosi da tutti i territori arabi occupati, comprese le Alture del Golan. Ci sono al contrario altre versioni duredi espansione con tanto di guerre e cambiamenti di [altrui] regime.

Riguardo alla Giordania, i piani israeliani non sono nuovi. Nel 1922 Winston Churchill quale ministro britannico delle Colonie decise di separare la Giordania dalla Palestina, conducendo infine all’indipendenza della Giordania nel 1946. D’altro canto, i progetti espansionistici sionisti verso la Giordania continuarono nella tendenza sionista laburista fino agli accordi di Oslo, e nel caso dei

Revisionisti di Jabotinsky e della destra che ne seguì fino ad oggi. I laburisti miravano a una Giordania come stato palestinese alternative, e poi (dopo la guerra del 1967) come curatore dei temi di vita quotidiana civile dei palestinesi. Ebbero luogo frattanto negoziati (perlopiù indiretti) con la Giordania per il cosiddetto “compromesso territoriale” riguardo ai territori occupati nel 1967.

In quanto ai Revisionisti, il Likud continuò a parlare della Giordania come Stato Palestinese fino a metà degli anni 1990 come riportato nel libro di Benjamin Netanyahu del 1995 “Un posto fra le nazioni”, dove Netanyahu asserisce che non c’è un popolo palestinese, e auspica una cittadinanza giordana per loro. Si può sostenere peraltro che la negazione da parte Likud della presenza di un popolo palestinese sia ben salda tuttora. Per esempio Tzipi Hotovili il novembre scorso ha detto che i palestinesi non hanno diritti su Gerusalem né al ritorno, e che l’espansione delle colonie israeliane continuerà, e che la Valle del Giordano sarà mantenuta in mano ad Israele. Questi tipi di affermazioni non lasciano spazio ai palestinesi in casa loro, né altra opzione che far valere il loro diritto all’autodeterminazione altrove.

Oltre al Likud il partito Zehut richiede che la giordania sia lo Stato Palestinese succitato, ma  con appelli più “sofisticati” per rimuovere il regime Giordano e sostituirlo con un nuovo governante ( alcuni citano perfino il nome di Mudar Zahran – un giornalista che vive in Gran Bretagna, condannato in precedenza alla carcerazione in Giordania).

Queste specie di idee sono in crescita fra gli insediati coloniali e I loro sostenitori. Uno di questi è un ex-procuratore, Ted Belman, che scrive sul sito di Channel Seven e redige un diario elettronico chiamato “Israpundit”. A fine 2017 tenne una conferenza a Gerusalemme col titolo di “L’opzione giordana: la soluzione definitiva”, in cui presentò idee per rovesciare il regime Giordano per il suo rifiuto di trasformare la Giordania in uno Stato Palestinese, nonché un piano per l’evacuazione di 415.000 famiglie dalla Cisgiordania e il loro trasferimento in Giordania. Alla conferenza partecipò anche il prof. Mordechai Nitzan che parlò della continua inimicizia giordana verso Israele, a sentir lui, e il dr. Edy Cohen e il dr. Geoffrey Clarfield che attaccarono in modo veemente il regime Giordano, asserendo inoltre che crea problem a Israele riguardo a quel che si chiama il “Monte del Tempio” e a Hebron.

Ci sono tuttavia altri piani d’espansione in Arabia Saudita, la cui parte storica è presentata dal dr. Jasem Younis Al Hariri nel suo libro del 2013 su “Le politiche d’Israele verso il Consiglio Cooperativo degli Stati del Golfo dopo la fine della Guerra fredda”. Però il nuovo dell’argomento è in un libro chiamato “Ritorno alla Mecca” di Avi Lipkin che ha lavorato in precedenza nell’ufficio del Portavoce dell’Esercito Israeliano e poi come uomo d’affari e conferenziere prevalentemente in chiese e sinagoghe degli Stati Uniti e d’Europa. Lipkin, che abita nell’insediamento di Kedar, è in procinto di registrare un nuovo partito per le prossime elezioni, chiamato “Il Partito del Blocco Biblico Giudeo-Cristiano”. Il partito promuove l’unità del popolo della Bibbia /ebrei e cristiani) affinché operino insieme per sostenere “Eretz Israel” e per el’espansione nella regione. Riguardo all’Arabia Saudita egli nel suo libro parla di “Jabal Alloz” (La Montagna delle Leggi, la definisce) come luogo storico di residenza degli ebrei dopo la fuga dall’Egitto. Aggiunge che non sarà Israele ad occupare l’Arabia Saudita, ma le minacce dell’ISIS, dell’Iran, e degli Huthi in Yemen obbligheranno il regime saudita a chiedere l’intervento salvatore d’Israele.

Queste sono solo parti di altri piani che Israele ha preparato per la regione. Riguardo all’Egitto, per esempio, un libro del 2017 scritto dal dr. Awatef Abdel Rahman rivelava “l’incursione sionista in Egitto dal 1917”.

In conclusione, questi piani mostrano chiaramente che Israele pensa e si comporta sulla base di aver già quasi terminato il proprio compito in Palestina con la sua trasformazione in “Terra d’Israele” e avendo posto termine alla resistenza palestinese effettiva. Per loro si tratta di una questione di tempo per la creazione di una Maggioranza Ebraica in Palestina, nonché per l’espansione nei paesi arabi [circostanti] in termini territoriali ed economici, utilizzando anche la pretesa minaccia iraniana verso tali paesi per sospingerli a cooperare con Israele.

Questi piani sono condannati al fallimento. Da un lato Israele non ha capacità demografica tale da creare una maggioranza ebraica in Cisgiordania (eccetto che con una terza espulsione palestinese). C’è anche il crescente divario con gli ebrei USA e la loro riluttanza ad emigrare anch’essi in Israele. E prima ancora la resistenza palestinese è tuttora un fattore influente e potrebbe intensificarsi nel prossimo future come pure la resistenza che potrebbe emergere dalla regione in base ai cambiamenti potenziali che vi possono accadere.

 

 

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