Europa e Unione Europea: un dispositivo, una gabbia, e la possibilità della trasformazione
Il confronto pubblico sull’Europa, la sua identità e le sue culture, la storia e la memoria dei popoli d’Europa, e l’Unione Europea, la costruzione politico-istituzionale che si è, sin dall’inizio, dotata di meccanismi di funzionamento e di interazione politico-economici e politico-militari, è, oggi più di ieri, letteralmente soffocato dalla spessa coltre, da un lato, della retorica, dall’altro, della propaganda. L’Europa, nel suo dispositivo saliente, l’Unione Europea sembra avere imboccato, in modo pressoché irreversibile, la strada dell’integrazione, e tuttavia continua a trovarsi, persistentemente, davanti ad un bivio: arroccarsi come una «fortezza dell’opulenza», una versione riveduta e corretta dello «splendido isolamento», fino a trasformare le sue città in luoghi dell’esclusione e della separazione tra “abbondanza” e “rarefazione”; o determinare l’apertura, inedita, a un capitolo nuovo della geopolitica, che superi le vecchie separazioni tra luoghi e città e ridefinisca uno spazio di inter-connessioni e di reciproche aperture tra popoli e culture d’Europa.
Anche quando parliamo di dispositivo, con riferimento alla Unione Europea, non abbiamo, ipso facto, “chiuso” la questione: non si tratta, per sua natura, di un dispositivo inamovibile, perché, appunto, è frutto di un processo storico e sociale, con le sue contraddizioni e le sue accelerazioni, e si sviluppa in parallelo con la dinamica dei rapporti di forza, tra le classi all’interno di ciascun Paese europeo, e tra configurazioni statuali delle singole formazioni economico-sociali, in termini di rapporti di forza tra Stati, singoli mercati nazionali, rispettive borghesie nazionali. Sviluppando, su questa falsariga, il punto di partenza: la Fortezza Europa e l’Europa dei Muri, l’ordoliberismo e le tecnocrazie, sono come le facce di un medesimo poliedro; e questo poliedro cristallizza la realtà odierna dell’Unione Europea, sulla quale diversi attori hanno impresso il proprio marchio, che è stata sin qui codificata nei Trattati, ma che non è data una volta per tutte.
Molte delle crisi che attraversano l’Unione Europea e sfigurano il volto dell’Europa sono manifestazioni di questa matrice: la crisi dei rapporti ad Oriente, specie tra l’Unione Monetaria e la Grecia e tra l’Unione Europea e la Turchia, ma anche, più recentemente, nell’ostilità contro la Russia, che tracima persino, a più riprese, in vera e propria «russofobia» o «slavofobia» e nella stupefacente inerzia sullo scenario vicino-orientale, non una sola parola che sia tale rispetto alla escalation e al massacro delle forze israeliane contro il popolo palestinese, ha a che vedere con questo “bivio” e allude al modo con cui lo si individua e lo si riconosce, ci si mette in condizione di affrontarlo e superarlo. Focalizzare un punto di orizzonte strategico, riconoscere le diversità e le contraddizioni, costruire le relazioni adeguate e le misure necessarie per affrontarle e superarle, dotarsi degli strumenti per attraversarle e trasformarle, sono tutte parole del lessico della politica. Ecco: “questa” Europa ha abbandonato la centralità della politica come misura dell’agire.
Situarsi in un contesto, orientare l’asse. Di questo vi sarebbe bisogno: un contesto di relazioni utili al miglioramento della qualità della vita e al progresso economico e sociale; un asse di orientamento necessario a “rompere la gabbia” e “costruire apertura” al mondo. È lo schema di una Europa, traducibile nella realtà, capace di costruire rapporti paritari a Ovest, a Est, a Sud; orientata al Mediterraneo e non all’Atlantico; ricostruita a partire dai bisogni sociali e non dalla valorizzazione finanziaria, su un modello sociale fondato su lavoro e welfare, inclusione e cooperazione, e non sulle logiche del capitale e della frontiera. Far dialogare le sponde, a partire dal Mediterraneo: un rapporto che si caratterizzi per la vocazione al dialogo tra le culture, per ritrovare le ragioni della convivenza nel reciproco riconoscimento delle identità sociali e culturali. Il tema dell’identità, in questo scenario, è sempre problematico. La stessa identità mediterranea è caratterizzata degli apporti che l’hanno plasmata nel corso di una storia millenaria. Non avrebbe senso azzerarla per raggiungere una unità storicamente improponibile; occorre lavorare, piuttosto, perché tale patrimonio di diversità risulti nuovamente produttivo di civiltà e non di conflitti.
Assumendo una prospettiva inter-nazionale e multi-nazionale. La politica, quando costruisce futuro, è sempre un ponte tra generazioni: trasferisce ideali e aspirazioni; rilegge e riconfigura le istanze e i bisogni; innesca lotte e rivendicazioni, per la trasformazione; rigenera i rapporti sociali, e la memoria collettiva.
01.07.2018 – Pressenza
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