Teoria del conflitto e annientamento della biosfera | Robert J. Burrowes

In un recente articolo intitolato ‘Sfide per la soluzione di conflitti complessi’, ho fatto notare che la teoria sul conflitto esistente presta poca attenzione al conflitto, causa d’estinzione, fra il sovra-consumo umano in continua generazione e la biosfera finita del pianeta (con, tra l’altro, il risultato di estinzioni di specie al giorno). Ho anche affermato che questo conflitto è talvolta identificato inadeguatamente come conflitto causato dall’impulso capitalista a un’incessante crescita economica in un ambiente finito.

Vorrei spiegare l’origine psicologica di questo conflitto distruttivo della biosfera e come tale origine abbia nutrito gli aspetti incredibilmente distruttivi del capitalismo (e del socialismo, in quanto a ciò) fin dall’inizio. Vorrei inoltre spiegare che cosa si può farci. Con la premessa, tuttavia, di una breve illustrazione del motivo per cui questa particolare configurazione di conflitto sia così importante, mediante un assaggio delle recenti prove distillate in merito alla catastrofe climatica e alla distruzione della biosfera, nonché dell’urgenza di risolvere questo conflitto (pur supponendo di poter evitare una guerra nucleare nel frattempo).

In un articolo che riferiva su una recente conferenza del prof. James G. Anderson della Harvard University, la cui ricerca condusse al Protocollo di Montreal del 1987 teso a mitigare il danno da composti clorofuorocarbonici (CFC) allo strato d’ozono atmosferico, il giornalista ambientalista Robert Hunizker riassume come segue la posizione di Anderson: ‘la probabilità di persistenza di ghiaccio permanente nell’Artico dopo il  2022 è zero. Già ora ne è sparito l’80%. Il problema: senza uno scudo di ghiaccio a protezione degli idrati di metano ghiacciati in loco da millenni, l’Artico diventa un incubo al metano. Si veda ‘There Is No Time Left’ [Non resta altro tempo].

Ma se si pensa che l’espressione sia drastica, altre recenti ricerche hanno attratto l’attenzione sul fatto che l’‘allarmante perdita di insetti probabilmente sommergerà l’umanità prima che il riscaldamento globale imperversi a velocità massima…. La perdita globale d’insetti è semplicemente sbalorditiva al 75% –  90% secondo I rapporti, avviene molto più in fretta che al tasso paleoclimatico delle precedenti cinque importanti estinzioni’. Senza gli insetti a ‘scavare cunicoli, formare suolo nuovo, aerare il suolo, impollinare le colture alimentari…’ e a fornire cibo per molte specie d’uccelli, la biosfera semplicemente crolla. Si veda ‘La decimazione degli insetti ruba la scena al riscaldamento globale’.

Sicché, se siamo intenti a distruggere la biosfera terrestre, cosa che affretterà l’estinzione umana a breve termine, perché non prestiamo ben più attenzione all’origine di questo conflitto fondamentale? Per poi sviluppare una strategia ben mirata atta a superarla? La risposta a queste due domande è semplicemente questa: l’origine di questo conflitto è particolarmente sgradevole e a quanto ho potuto attentamente rilevare la gran parte delle persone non è ansiosa di concentrarcisi.

Perché dunque gli esseri umani sovraconsumano nella biosfera finita del pianeta? O, più presisamente, perché lo fanno quelli che ne hanno l’opportunià (esclusi quindi gli impoveriti in Africa, Asia, Centro/Sud-America o in qualunque altro luogo)?  Perché sono stati terrorizzati fino al punto di equiparare il consumo ad una vita signifcativa dai genitori e altri adulti che avevano già interiorizzato lo stesso “apprendimento”.   Spiego come succede.

Al momento della nascita, un bimbo è geneticamente programmato a sentire ed esprimere le proprie sensazioni in risposta agli stimoli, interni ed esterni, che registra.  Per esempio, appena sente fame, già subito dopo la nascita, segnalerà tale bisogno, di solito piangendo o strillando. Un genitore attento (o altro adulto adeguato) risponderà di solito a questo bisogno alimentando il bebé, che esprimerà soddisfazione per questo risultato, magari con un’espressione facciale, in un modo che quasi ogni genitore o adulto conscio non stenterà a riconoscere. Analogamente, se il piccolo ha freddo, un dolore o un qualunque altro stimolo, esprime il proprio bisogno relativo, probabilmente con un suono ben riconoscibile. Dato che i bebé non sanno immediatamente utilizzare un linguaggio culturale, utilizzano quello datogli dall’evoluzione [della specie]: suoni forti e vari ben udibili, che un adulto consapevole impara in fretta a interpretare.

Ovviamente, dai primi momenti post-natali e per vari mesi, un bebé prova una gamma crescente di stimoli –interni come il bisogno d’ascolto, comprensione ed affetto, ed esterni, da un pannolino bagnato a una serie di stimoli vari parentali, sociali, climatici e ambientali – e svilupperà una gamma svariata e in espansione di modalità, via via sempre più comprensive di espressioni emotive e infine con l’inizio di un linguaggio parlato, esplicativo delle proprie reazioni, anche di soddisfazione e godimento ove appropriate, a questi vari stimoli.

A un certo punto però, e certamente entro I primi 18 mesi di vita del bimbo, i genitori e gli altri adulti significativi nella vita del bimbo cominceranno a interferire regolarmente e attivamente nella sua espressione emotiva (così negandogli soddisfazione degli unici bisogni espressi) in modo da costringere il bimbo a fare come desidera il genitore/adulto. Ovviamente, ciò è essenziale se si vuole che il bimbo sia obbediente – cioè uno schiavo socialmente conforme – anziché che segua la propria volontà autonoma.

Uno dei modi in cui avviene tale negazione dell’espressione emotive sembra abbastanza benigno: s’intimoriscono i bambini che piangono per rabbia o paura perché non esprimano i loro sentimenti offrendogli cose materiali – qualcosa da mangiare o un giocattolo – per distrarli. Ma purtroppo le cose che li distraggono diventano strumenti di dipendenza. Non potendo ottenere soddisfazione per I propri bisogni emotive, il bambino impara a cercare compensazione nell’acquisire i surrogati materiali offerti dal genitore. Ma con l’espandersi interminabile di questa privazione emotiva dovuta all’ascolto, alla comprensione e all’affetto mancati affinché il bambino sviluppi la capacità di ascoltare, capire ed amare sé stesso, s’espande sempre più anche il ‘bisogno’ di acquisizioni materiali.

Tra l’altro, ciò spiega pure come mai si diriga perlopiù la violenza dichiaratamente all’ottenimento della disponibilità di risorse materiali, anziché emotive. La risorsa materiale diviene un sostituto disfunzionale e alquanto inadeguato della soddisfazione del bisogno emotivo. E, poiché la risorsa materiale non può ‘funzionare’ per il soddifacimento del bisogno emotivo, è quanto mai probabile che la persona continui a esercitare violenza diretta e/o strutturale per assumere il controllo di altre risorse materiali in un tentativo inconscio e affatto futile di soddisfare bisogni emotivi non identificati.

In essenza, nessuna somma di denaro e altri beni può sostituire l’affetto negato a un bambino che gli permetterebbe di provare ed agire secondo i propri sentimenti.

Ovviamente, chi consuma più di quanto gli serva ed eserciti una violenza diretta, o semplicemente s’approfitti di una violenza strutturale per farlo, non è mai conscio dei propri bisogni emotivi repressi in profondità, né dei modi funzionali per ottenerli soddisfatti. Sebbene, ammetto, non sia facile a farsi dato che ascolto, comprensione ed affetto non sono prontamente disponibili da altri a loro volta privati di questi bisogni. Di conseguenza, con I propri bisogni emotivi frattanto inconsciamente ‘nascosti’ a sé stessi, costoro proietteranno incessantemente i propri bisogni da soddisfare, di fatto, come materiali.

Questa è la ragione per cui i membri della famiglia Rothschild, Jeff Bezos, Bill Gates, Warren Buffett, Amancio Ortega, Mark Zuckerberg, Carlos Slim, la famiglia Walton e I fratelli Koch, nonché gli altri milionari e miliardari al mondo, cercano ricchezza materiale e sono pronti a farlo approfittando delle strutture di sfruttamento tenute in piedi dall’apparato militare USA. Sono certo ricchi in senso materiale; sono però purtroppo vacuità emotive mai state amate che non sanno ormai come amare sé stessi e gli altri.

Tragicamente, però, questo destino non è esclusivo dei ricconi del mondo pur se sono essi a illustrarlo più plasticamente. Come prima indicato, virtualmente tutti quelli che vivono in culture material[iste] hanno subito questo fato, come esplicitamente mostrato dai loro perduranti consumi eccessivi – specialmente di carne, di viaggi ad alto consumo di energie fossili e l’acquisizione di un’ incessante marea di beni – in una biosfera planetaria che da tempo segnale di averne abbastanza!

A proposito, i governi che utilizzano la violenza militare per acquisire il controllo di risorse materiali sono semplicemente composti di molti individui con questa disfunzionalità, molto comune nei paesi industrializzati che promuovono il materialismo. Sicché, le culture che inconsciamente permettono e incoraggiano questa proiezione disfunzionale (che un bisogno emotivo venga soddisfatto da una acquisizione materiale) sono i più violenti sia al loro interno sia internazionalmente. Ciò spiega anche perché i paesi industrializati (materialisti) usino la violenza militare per mantenere strutture politiche ed economiche che permettono un continuo dei paesi non-industrializzati in Africa, Asia e Centro/Sud-America.

Riassumendo, a chi abbia tutti i propri bisogni emotive soddisfatti servono solo le risorse intellettuali e le poche materiali necessarie per mantenere una tale vita appagante: qualunque cosa in più non è solo inutile, è un fardello.

Se si vuol leggere (parecchio) di più in merito, si trovano gli accessi in ‘Why Violence?’[Perché la violenza?] e ‘Fearless Psychology and Fearful Psychology: Principles and Practice’[Psicologia impavida e pavida: principi e prassi].

Allora, che possiamo fare?  Beh, io comincerei col cambiare profondamente la nostra concezione di sana genitorialità enfatizzando l’importanza di ascolto attento ai bambini – v. ‘Nisteling:The Art of Deep Listening’[L’arte dell’ascolto profondo] – e di fare ‘My Promise to Children’ [La mia promessa ai bambini].

Per quegli adulti che si sentano incapaci di tale ascolto o di mantenere la promessa nel loro vivere, raccomando di considerare un percorso di guarigione emotiva necessario col ‘Putting Feelings First’ [Dare priorità ai sentimenti].

Se ci si sente già in grado di reagire efficacemente a questo conflitto ecocida fra consumi umani e biosfera terrestre, si potrebbe ben considerare di unirsi a coloro che partecipano alla strategia quindicennale di riduzione dei consumi  e conseguimento di autoaffidamento spiegati in‘The Flame Tree Project to Save Life on Earth’[Il progetto Flame Tree(Delonix regia) per salvare la vita sulla terra] e/o considerare di usare una sana strategia nonviolenta per condurre la vostra campagna climatico-ambientale: si veda Nonviolent Campaign Strategy.

Potreste anche considerare volentieri di firmare l’impegno online‘The People’s Charter to Create a Nonviolent World’ [Lo statuto popolare per creare un mondo nonviolento].

Come ha dimostrato la semplicità materiale di Mohandas K. Gandhi: il consumo non è la vita.

Se non siete in grado di emulare Gandhi (almeno ‘in spirito’) vivendo sobriamente, è allora la vostra disfunzionalità emotiva il problema che bisogna affrontare – particolarmente la paura inconscia.

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Il dr. Robert Burrowes, è membro della Rete TRANSCEND per Pace Sviluppo Ambientecon un impegno a vita per capire e porre fine alla violenza umana. Ha condotto vaste ricerche dal 1966 nel tentative di capire perché gli esseri umani siano violenti ed è un attivista nonviolento dal 1981. E’ autore di  Why Violence?[Perché la violenza?].Websites: (Charter)  (Flame Tree Project)  (Songs of Nonviolence) (Nonviolent Campaign Strategy) (Nonviolent Defense/Liberation Strategy) (Robert J. Burrowes) (Feelings First)                           Email: [email protected]

 

TMS#536 – Robert J. Burrowes, Ph.D.

Titolo originale: Conflict Theory and Biosphere Annihilation

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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