Cinema | La casa sul mare

Enrico Peyretti

“Shukran”, grazie!

La casa sul mare, di Robert Guédiguian, 2017

La casa è costruita sulla roccia, come quella della parabola evangelica, e si affaccia sul mare in un balcone bello, originale. Il mare, la cosa più antica che noi possiamo vedere, dopo le stelle, è lì davanti, segno di continuità tra le generazioni che si succedono, e respiro incessante della terra.

Nel film c’è la vita di due fratelli e una sorella famosa, riuniti dalla malattia del padre. Cioè c’è il tempo, col male e il bene, col dolore, la malattia, la morte, l’amore. C’è il sole, abbondante, e la tempesta. Passa sempre un treno, lassù sul ponte, e non si accorge di quel che avviene quaggiù. C’è il dolore inguarito, la colpa imperdonata, c’è l’idea delusa che disprezza il presente smarrito, c’è il bisogno e la realtà dell’amore, ora fragile e incerto, ora coraggioso, ora forte fino al morire insieme.

Nella casa, cioè nella vita, quando la storia sembra già finita, arrivano, appunto dal mare, tre bambini profughi, naufraghi, orfani, che riaprono la casa alla vita, alla cura. Sono due fratellini e una sorella un po’ più grande. Il contrasto è con la durezza burocratica del militare – che pure è di pelle nera – verso i profughi, preventivamente sospettati di terrorismo. I piccoli dapprima sono spaventati e muti. Non c’è lingua comune. Poi si trova la parola araba shukran, grazie! Anche il vecchio rinchiuso nella paralisi dell’incoscienza, volta il capo all’eco delle voci nuove, squillanti, dei tre bambini, insieme a quelle dei tre fratelli adulti.

Scrive Marzia Gandolfi, nella sua recensione, che Guédiguian descrive la forza pervasiva dell’incontro con la tradizione dell’umanesimo moderno, con i poveri di Victor Hugo, con l’umano in noi. E dice che Guédiguian è un artista che non smette di richiamarci alla bontà. Èvero. Parla della Francia, della dimenticata fraternité, o parla di tutti noi? La bellezza del luogo, disabitato, commercializzato, deturpato dal cattivo gusto, suggerisce, nella storia di rinascita che il regista ci racconta, la permanenza del fondo di bene che tutto sostiene, che sopporta eppure giudica i colpi del male e della bruttura. Questa è l’idea, dice Joseph, che ci trattiene sull’orlo del baratro.

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