La ‘democrazia’ sopravviverà? Come? Se? Domande ardue per tempi bui

Richard Falk

Con la dominanza di capi demagogici con approvazione o almeno acquiescenza popolare sul procedimento politico di parecchi importanti stati ‘democratici’, c’è bisogno di farsi domande sul nucleo o contenuto indispensabile della democrazia. Altri stati cercano l’imprimatur di ‘democrazia’ ma limitano drasticamente le scelte aperte alla cittadinanza o si proclamano ‘uno stato ebraico’ o ‘una repubblica islamica’, venendo considerati più precisamente una ‘tecnocrazia’ o ‘teocrazia’. L’effetto legittimante di essere una democrazia dovrebbe basarsi su qualcosa di più oggettivo che il linguaggio dell’auto-identificazione, cioè asserire che si è una democrazia perché si descrivono le proprie disposizioni di governo, né più né meno.

Democrazia procedurale e repubblicana

L’idea delle ‘libere elezioni’ è certamente un prerequisito. Non è possibile pensare a un sistema politico come democratico se non permette ai propri cittadini di scegliere senza paura o inter-ferenza fra un’ampia gamma di candidati di propria scelta, che il procedimento sia filtrato da partiti politici o da primarie o altrimenti. Ciò che si qualifica come una libera elezione si può dibattere all’infinito, ma pare sufficiente indicare che candidate in rappresentanza di significativi punti di vista societari divergenti competano per ottenere sostegno, e che i voti siano contati onestamente. Uno stato non dovrebbe necessariamente perdere le sue credenziali democratiche se squalifica candidati e partiti che neghino diritti umani essenziali a segmenti della cittadinanza o sposino agende fasciste, o se i diritti vengono un po’ ridotti durante periodi di emergenza nazionale come un periodo di guerra.

Questa dimensione di governance democratica si può discutere in relazione a istanze specifiche con riferimento ai limiti accettabili alla pratica di democrazia procedurale. Tale forma di governo è sensibile ai pericoli di abusi e corruzione del potere, invoca ‘elementi di contenimento ed equilibrio’ e la ‘separazione dei poteri’ come baluardi istituzionali di contenimento a ‘la tirannia della massa’ o al comportamento predatorio del tiranno, e si può meglio identificare come democrazia repubblicana.

Nel mondo contemporaneo, causa la tecnologia e I ‘segreti’ di governo, le restrizioni costituzionali al fare guerra da parte dei capi, seppur presenti, tendono ad essere sempre più inagibili. Senza garanzia di responsabilità nell’agenda di guerra/pace, le democrazie perdono legittimità, special-mente considerando i rischi e i pericoli dell’era nucleare. Può essere che solo l’eliminazione delle armi nucleari dagli arsenali di tutti i paesi possa restaurare una parvenza di realtà sostanziale a un concetto di democrazia procedurale o repubblicana.

Nelle sue versioni liberali, la democrazia nella sua forma repubblicana comprende quasi sempre una garanzia e una protezione giudiziaria dei diritti civili e politici, specialmente la libertà di espressione e il diritto di assemblea, ma non necessariamente, e probabilmente per nulla, i diritti sociali ed economici. In questo senso, le tensioni fra le versioni liberiste del capitalismo e la democrazia politica sono di primaria importanza in molte società ampiamente considerate ‘democratiche’.

Democrazia normativa

Acquisire un ordine politico inclusivo è essenziale un impegno sostanziale a trattare I diritti sociali ed economici basilari, benché di rado riconosciuti, il che pone questioni sulla compatibilità della democrazia reale con le forme contemporanee di capitalismo. La protezione dei diritti sociali ed economici è necessaria per soddisfare I bisogni materiali di tutte le persone sotto la giusisdizione, specialmente riguardo ad alimenti, salute, alloggio, istruzione, protezione ambientale, responsabilità verso le generazioni future. Eppure un ethos indotto dal mercato non viene sfidato in linea di principio dalla diffusa condizione di senza-tetto o dall’estrema povertà fintanto che sono disponibili per tutti varchi di opportunità.

Questa dimensione della governance democratica si realizza di rado, e la si considera meglio con riferimento a una democrazia normativa promossa da valori e inclusiva. Una società dovrebbe essere anche protetta da una dirigenza pronta alla Guerra che elude la trasparenza basandosi su pretese di segretezza e di sicurezza nazionale.

Da qualche parte fra tali estremi selezionare i capi, sostenere i diritti, ed assicurare uno standard minimo di vita che consolidi la dignità umana e permetta una società umana sono considerazioni di sicurezza interna ed esterna. Far fronte alle minacce interne ed esterne evitando isteria, paranoia, e diverse forme di repressione è una responsabiltà fondamentale di ogni stato legittimo, compresi quelli che vantano un pedigree democratico. Non c’è un’etichetta soddisfacente, ma, giacché uno stato incapace di proteggere I diritti sovrani e l’ordine politico perde il rispetto e la disciplina della propria cittadinanza, la dimensione sicuritaria può essere associate all’effettiva democrazia, poiché senza ordine politico e una capacità di gestire le minacce esterne e l’ordine interno, nessuna forma di governance può evitare il caos e la penetrazione straniera, benché valutazioni di questo tipo comportino stime soggettive delle capacità e della volontà politica.

Ci sono sempre più critiche a stati democratici che avrebbero affievolito i legami fra ciò che cercano I cittadini e ciò che fa il governo. Negli Stati Uniti, per esempio, interessi speciali gonfiano I [prezzi dei] prodotti farmaceutici ad altezze astronomiche, isolano il controllo delle armi dall’opinione pubblica a livelli assurdi, e permettono alle grosse aziende e alle banche di dare contributi illimitati per (de)formare le campagne politiche. I mercati sono in più distorti dalla corruzione di vario tipo che mina le capacità del governo di servire la gente. Questa dimensione della governance democratica si può considerare alla voce democrazia reattiva. Senza un alto grado di reattività su temi centrali di politica, un’attività di governo perderà stabilmente legittimità, specialmente se vista sottoposta ad interessi speciali.

Democrazia maggioritaria

Ci sono, è sempre più evidente, sistemi politici dove hanno luogo libere elezioni, vi partecipano demagoghi che hanno spesso prevalso in recenti elezioni, e una maggioranza dei cittadini è remissiva o sostenitrice. In tal genere d’atmosfera si sviluppano tossiche polarizzazioni vincere/ perdere, con una retorica estremista e paranoide che giustifica la repressione e demonizzazione di immigranti senza documenti, di profughi e perfino di richiedenti asilo, si propongono e costruiscono muri, si militarizzano confini, e prendon piede idee esclusiviste della comunità politica nel mercato delle idee. Un risultato è che si ignorano o si condannano i valori, le opinioni e la sicurezza dei vulnerabili o dei contrari. Si scartano notizie genuine come infondate, e viceversa, creando una dirigenza politica scevra di elementi fattuali. Questo tipo di ordine politico si può denominare democrazia maggioritaria.

Essa tende a basare le proprie pretese sulla passione e su una perversione della ‘volontà generale’ di Rousseau anziché sulla ragione e sull’evidenza, ed è sprezzante dei limiti all’esercizio del potere statale per conto della nazione, specialmente se diretto contro ‘nemici’ stranieri o nazionali. Come risultato dell’insorgere di tali forme di governance, si è affievolito il vigore della legge e specialmente il rispetto per il diritto internazionale e l’autorità dell’ONU, mentre cresce la deferenza verso il governante, insieme a pretese di permanenza indefinita in carica in cima alla piramide politica, ratificata da periodici voti d’approvazione. Capi come Putin, Xi, Trump, Erdo?an, Modi, Abe ne manifestano la tendenza, trattano i ‘cittadini’ come ‘sudditi’, così annebbiando la distinzione fra democrazia e monarchia trattando di rapporti stato/società.

Democrazia aspirativa [come aspirazione]

Per contro, preoccupazioni più umanistiche concentrano l’attenzione sulla protezione dei diritti umani, specialmente dei vulnerabili e dei poveri. L’idea di ‘democrazia avvenire’ come descritta dal compianto filosofo francese Jacques Derrida, e recenttemente sviluppata oltre da Fred Dallmayr, viene presa più sul serio. Quest’idea ha al centro a credenza che la democrazia in tutte le sue manifestazioni, seppure al meglio, resta un progetto non terminato con un potenziale normativo inevaso.

Rappresenta un appello a operare verso una democrazia inclusive basata sull’applicazione seria dello ‘spirito d’eguaglianza’ (Dallmayr) obiettivo della governance umanistica in analogia con Montesquieu. Un tale ordine politico va oltre il mantenimento del vigore della legge cercando di promuovere la giustizia entro e oltre i confini sovrani. Un tale ordine politico democratico subordinerebbe, ove necessario, gli interessi nazionai a quelli umani e globali in rapporto al cambiamento climatico, all’armamento nucleare, alle migrazioni, al controllo delle malattie, a pace e sicurezza, e alla regolamentazione dell’economia mondiale. Una democrazia del genere non esiste ancora, ma tale possibilità politica in quanto obiettivo e ideale si può definire  democrazia aspirativa.

Commenti conclusivi

Queste differenti forme di democrazia si sovrappongono e sono questioni di gradazioni, ma richiamano l’attenzione su varie e variabili caratteristiche della vita politica basate sulla proposizione condivisa che ‘il popolo’ debba considerarsi fonte dell’autorità e legittimità politica. Tuttavia tale mandato per la democrazia in quanto promanante verso l’alto dal popolo, sostitutiva di figure autoritarie date da Dio, consacrate dal rituale e rafforzate da pretese di un’aura di assolutismo divina o monarchica, è di nuovo sotto attento esame in molte società.

Molte persone informate e preoccupate (si) chiedoo se la democrazia sia tuttora il meno cattivo sistema di governance, pur sembrando in difficoltà nel proporre un’alternativa. In tale contesto, la questione che si pone per molti di noi è se la democrazia, come adesso praticata e costituita, possa essere rivitalizzzata da riforme legittimanti. Come cittadini impegnati, dobbiamo accettare questa sfida in forme sensibili alle peculiarità di tempo, luogo, dell’impresa e delle opportunità.

Causa la globalizzazione nelle sue forme manifeste, non è più ammissibile limitare le ambizioni della democrazia agli spazi nazionali. La democrazia globale è diventata, sta diventando, una faccenda d’interesse ultimativo. I temi sollevati riguardano la trasparenza, la (obbligo di) responsabilità, la partecipazione, la reattività dei procedimenti politici globali, e ovviamente come il globale debba essere connesso con il regionale e il nazionale di modo da perseguire l’obiettivo della governance umanistica globale : equa, stabile, sostenibile, pacifica, compassionevole; e soprattutto della consideratezza. Lasciamo queste preoccupazioni alla meditazione e alla discussione in altro momento.


(Global Justice in the 21st Century) – 09.04.18
Titolo originale: Will ‘Democracy’ Survive? How? Whether? Hard Questions in Dark Times

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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