L’ultima strada | Alessandro Ciquera

Caro dottor Nasser,
Questa volta mi hai preso davvero in contropiede.
Hai fatto tanta strada, dal conflitto in Siria, passando anni nel Libano dei campi profughi umilianti, per riuscire ad arrivare finalmente in Francia la scorsa estate, anche grazie al nostro lavoro insieme.
I corridoi umanitari avevano acceso una nuova speranza: a te che negli ultimi tempi avevi collezionato tanti dolori e perdite a causa della guerra e della violenza ad essa connessa: fine del tuo lavoro come veterinario, della tua casa, della vita di uno dei tuoi figli ad Al Qusayr, vostro villaggio di origine in Siria.
Hai patito sulla tua pelle la tortura nelle carceri del regime di Assad, ma nei tuoi occhi non ho mai scorto un vero rancore nei confronti dei carnefici, hai sempre cercato di impegnarti per la vita di coloro che ti circondavano.
Ora che hai lasciato questo mondo mi sento un po’ più solo, e cominciate ad essere in troppi dall’altra parte del velo.
Amici di anni o di un’ora soltanto, strappati all’esistenza, da ingiustizie cosi imponenti da fare gridare le pietre. Vorrei solo dirti dottor Nasser che è stato un onore conoscerti, discutere della tua Siria, delle speranze di un futuro diverso per i tuoi figli.
Per quanto il mio cuore provi amarezza in questo momento, so che abbiamo fatto il possibile per dare a te e ai tuoi cari protezione e accompagnamento. Hai lottato fino alla fine, per riuscire a salvare i tuoi figli uno per uno, e quando finalmente siete riusciti ad arrivare in Francia e vi siete ricongiunti con Suliman, il più grande, il grosso della difficoltà sembrava lasciato alle spalle. È proprio in questo momento finale invece che il tuo cuore ha ceduto, come se in fondo all’anima sentissi che avevi compiuto il tuo dovere di padre e marito, e potevi tornare ad essere parte del tutto.
Non so dove tu sia, ne se puoi sentire ancora il bene che ti abbiamo voluto, seppur nella nostra limitata esperienza terrena.
Sento che scrivere oramai sia diventato un vaccino contro lo sconforto, e che mettere in fila le emozioni mi aiuti a creare uno scudo, come se narrare le storie dure che incontro mi donasse una immunità dal loro potenziale distruttivo.
Ecco perché ti scrivo questa lettera Nasser, perché parlarti per una ultima volta mi aiuta ad affrontare questo senso di impotenza, lo rende meno difficile da gestire.
So che la strada che abbiamo percorso insieme non si cancella, e mantengo nel cuore la tua commozione all’aeroporto di Beirut, il giorno della vostra partenza dal Libano destinazione Parigi. Ovunque tu sia: hai vinto Nasser, hai guadagnato la tua libertà.
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