L’India nucleare: contraddizioni interne | Alice De Meo

Mercoledì 17 gennaio 2018 ha avuto luogo il secondo incontro indetto dal Centro Studi Sereno Regis sul tema del nucleare. La presentazione è frutto di un lavoro di tirocinio universitario di Alice De Meo, studentessa del terzo anno del corso di laurea Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa presso l’associazione ASSEFA Torino. In seguito è nata la collaborazione con l’altra Onlus torinese, Jarom. Queste tre componenti hanno in comune un luogo: l’India, che è diventata quindi la protagonista della presentazione.


La filiera nucleare in India, il modello di sviluppo civile e militare, i problemi sociali e le proteste

Perché l’India è importante

L’India è il settimo Paese al mondo per estensione geografica e il secondo più popolato al mondo con 1.335.250.000 abitanti, di conseguenza, sia le sue linee politiche, sia il suo modello di sviluppo hanno una grande importanza per tutta la popolazione mondiale.

L’India è diventata una potenza nucleare nel 1974 quando, sotto il governo di Indira Gandhi, il primo test, nel deserto del Thar (Rajastan), ha avuto successo, prendendo il nome di “Buddha sorridente”. In seguito, con lo sviluppo nucleare del Pakistan, le due nazioni si sono sfidate raggiungendo nel 1998 l’apice dei test nucleari.

Entrambe le potenze sopra citate hanno rifiutato di firmare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), approvato dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1968 ed entrato in vigore solo nel 1970. Il TNP è un accordo tra i Paesi firmatari (<<parti>>) a non condividere, non commerciare, non coinvolgere altri Paesi negli affari riguardanti il nucleare. Nonostante tale accordo sappiamo che, ad oggi, l’India, nonostante il proprio rifiuto alla sottoscrizione al trattato, è comunque coinvolta in diversi accordi con Francia1, Canada e Russia2. Da più parti è stata messa in discussione la sostenibilità economica delle centrali nucleari, di conseguenza, gli interessi derivanti da questi accordi non sono ben chiari.

Il primo step della filiera nucleare: le miniere

La filiera nucleare inizia nelle miniere di uranio. L’India non possiede grandi quantità di questa risorsa mineraria, tuttavia uno degli Stati con maggiore concentrazione è quello del Jharkhand. In questo, la popolazione è prevalentemente adivasi, abitanti originali, aborigeni. Proprio loro sono vittime di espropriazioni di terreno, sfruttamento nelle miniere e malattie derivate dalle radiazioni di uranio alle quali sono sottoposti vivendo in quell’area. Uno dei casi più noti e allarmanti è quello di Jadugoda, al sud-est dello Stato. Proprio lì nasce la prima e più grande miniera di uranio dell’India nel 1967. Le conseguenze sanitarie sulle persone sono drammatiche: oltre ad un aumento di casi di cancro, sono state registrate mutazioni genetiche, alti tassi di mortalità pre-natale, sterilità. I disagi delle persone, però, come già accennato, sono conseguenti, oltre che alle radiazioni, anche alle espropriazioni dei terreni, unico bene e fonte di guadagno per moltissimi. È proprio in quest’area che la sopracitata Onlus Jarom sviluppa il proprio progetto in una scuola del posto a prevalenza adivasi di etnia munda. Io stessa, nella mia visita in India in quanto volontaria Jarom, ho avuto modo di visitare l’orfanotrofio di Kishor Nagar, “the boys’ town”, a Ranchi, in cui vivono seicento bambini – tutti maschi, le famiglie dei quali, avendo perso le loro terre, espropriate a favore del governo o di grosse multinazionali, ed essendo spesso costrette a lavorare nelle miniere, hanno dovuto abbandonare i propri figli, relegandoli al destino di orfani.

Dalle miniere alle centrali

Una delle centrali nucleari già operative da qualche anno, e in corso di espansione, è quella di Kudankulam, in Tamil Nadu, che a oggi ha in funzione due reattori nucleari (il primo attivo commercialmente dal 2014, il secondo dal 2016) e altri due in progettazione. La popolazione locale si è fortemente battuta contro la centrale, denunciando la propria preoccupazione per il futuro. In caso di incidenti, infatti, non esiste un piano di evacuazione valido per tutti gli abitanti della zona. Questo è uno dei problemi che maggiormente affligge il Paese: data l’elevata densità di popolazione nel sub-continente indiano, la possibilità di un’evacuazione di massa in caso di incidente è a dir poco utopica. I problemi dei contadini e dei pescatori non si presentano però solo in caso di catastrofi; i pescatori lamentano una riduzione di pescosità, probabilmente dovuto al riscaldamento dell’acqua marina nei pressi della centrale, e una grave riduzione delle possibilità di movimento di persone e merci a causa della recinzione di una vasta area intorno alla centrale. Inoltre non sono disponibili dati concreti di misure di radioattività nell’intera area.

Tra le molteplici proteste che si sono succedute negli anni, quella forse più significativa è stata quella in “stile Ghandiano”, durante la quale migliaia di persone si sono seppellite nella sabbia fino al collo affermando: <<se il progetto andrà in porto, vivere o essere seppelliti sarà la stessa cosa>>. Quello di Kudankulam non è un caso isolato. Un altro esempio significativo è il caso di Tarapur, Maharastra, del quale possiamo sapere molto grazie al documentario “High Power” prodotto dal regista indiano Pradeep Indulkar nel 2014. Pradeep Indulkar è un ingegnere che ha lavorato nel Centro di Ricerca Atomica per dodici anni, prima di diventare un attivista anti-nucleare. Attualmente combatte contro il progetto nucleare di Jaitapur (di cui si parlerà più avanti). Il documentario “High Power” denuncia le sofferenze delle persone che vivono nei dintorni della centrale di Tarapur, la prima ad essere sorta sul suolo indiano (l’Unità 1 è stata costruita tra il 1964 e il 1969). Le popolazioni intorno all’area che è stata poi occupata dalla centrale sono state espropriate con la promessa di ricevere terreni e denaro a titolo di compensazione; di fatto si trovano in situazione di grande povertà: le loro fonti di sostentamento sono state sottratte, l’ambiente naturale devastato, nuove malattie stanno colpendo gli abitanti delle aree vicine all’impianto.

Le centrali in progetto

Attualmente l’India possiede 22 reattori nucleari, che producono il 3% della sua elettricità, ma il governo vuole aumentare la componente energetica fornita dal nucleare fino al 25% entro il 2050. Tra le sedi individuate salta all’occhio in questo momento, nel Maharashtra, quella di Jaitapur, nella quale dovrebbe sorgere la centrale nucleare più grande al mondo. Le proteste delle popolazioni locali continuano senza sosta nonostante le violenze governative e della polizia. Anche qui la popolazione è preoccupata per la pesca, per gli effetti delle radiazioni, per l’assenza di un piano di smaltimento a lungo termine delle scorie radioattive e per il fatto di dover abbandonare la propria casa per fare posto una centrale con una potenza di 9.900MW che occuperebbe 2400 acri di terra e causerebbe la distruzione di diversi villaggi, quali Varliwada, Niveli, Karel, Mithgavane e Madban. Oltre ai problemi di sfollamento, avverrebbe la contaminazione e, probabilmente, la distruzione di uno dei dieci hotspot di biodiversità.

Le emissioni di CO2 … e di radioattività

Molti dei sostenitori dell’energia nucleare sostengono che questa opzione sia essenziale per ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera. Tuttavia per calcolare correttamente la quantità di CO2 prodotta da fonte nucleare bisogna considerare l’intero ciclo di vita di una centrale, che include la costruzione degli edifici, la fase di operatività (manutenzione e ristrutturazioni), le operazioni di smantellamento e di decontaminazione dei reattori. Altrettanto importante è il ciclo del combustibile: approvvigionamento di minerali di uranio in miniera, estrazione dell’uranio, trattamento chimico e processo di arricchimento, trasporto alla centrale, smaltimento delle scorie. In particolare la fase finale del ciclo dell’energia nucleare impone un pesante fardello alla società, a causa delle generazione e mobilizzazione di grandi quantità di prodotti radioattivi irreversibilmente generati dall’attività umana. Ogni anno un reattore nucleare della potenza di 1 GW genera tanta radioattività quanto quella prodotta da 1000 bombe della potenza di quella lanciata su Hiroshima (che era di 15 kt) 3.

“Costruire reattori nucleari come strategia per ridurre la produzione di CO2 crea in cambio un’eredità tossica di scorie radioattive. Chi propone la soluzione dell’energia nucleare sostiene che siamo abbastanza intelligenti da immagazzinare in sicurezza scorie radioattive per un quarto di milioni di anni… in compenso siamo troppo ignoranti per riuscire a immagazzinare l’energia solare per più di una notte.”4

Relazioni tra nucleare civile e militare

Gli esperti dicono che non ci può essere alcuna potenza nucleare statunitense senza una grande industria civile atomica per sostenere i militari. Solo pochi mesi fa, ad agosto 2017, alcuni esperti americani hanno affermato che l’impresa militare nucleare USA dipende in modo cruciale dall’industria nucleare civile 5, e sono convinti che il paese perderà la sua posizione di superpotenza nucleare se non continua a sostenere la propria industria nucleare civile. Il legame tra l’industria nucleare civile e la capacità militare di mantenere elevata competenza sugli armamenti nucleari è messo in evidenza in un rapporto di esperti vicini al Pentagono, in cui si legge che il trizio, un componente essenziale delle armi nucleari, viene prodotto nei reattori delle centrali ad uso civile; lo stesso avviene per l’uranio arricchito, che viene fornito dalla filiera civile. Secondo alcune società, come la Energy Futures Initiative, c’è il rischio che Russia e Cina, che stanno costruendo centrali nucleari anche al di fuori dei loro confini, superino gli USA nella capacità di influenzare e di gestire delle minacce nucleari, se gli americani non mantengono attiva la filiera del nucleare civile in patria.

Uno studio pubblicato nel 2017 a cura del Centre for Science and Security Studies del King’s College di Londra6 prende in esame la situazione dei Programmi strategici Indiani su Nucleare e Missili. I risultati principali di questo documento affermano che – nonostante gli accordi formali – vi è ancora un elevato grado di connessione tra l’attività nel campo civile e quello militare, soprattutto nei settori che riguardano la produzione di ordigni nucleari e di missili. Sembra evidente che l’intensificarsi degli scambi commerciali nel nucleare civile abbiano permesso all’India di acquisire tecnologie e assistenza utili per il settore militare.

Nuove tensioni tra India e Pakistan?

Sviluppare un arsenale nucleare all’avanguardia non avrebbe probabilmente senso senza la presenza di qualche Paese da intimorire o contro il quale combattere. Di recente si è tornati a parlare molto dei conflitti mai risolti ma tutt’ora attivi, tra India e Pakistan. Le notizie giungono confuse e incerte, adombrate anche dalla tensione tra U.S.A. e Corea del Nord. In ogni caso, da oltre settant’anni esistono forti tensioni tra i due Stati, che potrebbero da un momento all’altro sfociare in un conflitto nucleare. Da parte sua, l’India ha sviluppato un arsenale militare avanzato, ne sono prova i missili balistici Agni e i Dassault Mirage 2000.

Il Pakistan è stato il primo Stato islamico a dotarsi di centrali nucleari: attualmente ne sono in funzione 5, e vi è una forte spinta a sviluppare il settore del nucleare civile nei prossimi decenni, soprattutto in collaborazione con la Cina. Secondo gli esperti dell’Associazione Carnegie Endowment for International Peace7 l’assistenza della Cina al programma nucleare del Pakistan negli ultimi decenni può essere stata cruciale anche nel settore militare, per aver fornito sia i piani per la costruzione, sia una quantità sufficiente di uranio arricchito da consentire la costruzione delle prime bombe.

In conclusione

In conclusione ecco che si è cercato, da parte di chi scrive, di dare le informazioni più importanti sul tema del ‘nucleare’ in India. Iniziando dalla situazione mineraria preoccupante, soprattutto per quel che riguarda lo stato del Jharkhand, si è voluto parlare del nucleare civile, di quali effetti negativi ha sulle persone, quali sono i pericoli, i danni e le reazioni della popolazione, ma anche del legame nascosto con il nucleare militare. È importante ribadire che il nucleare civile e militare sono strettamente legati, in quanto il primo alimenta il secondo. Per questo, la lotta contro il nucleare implica l’affrontare entrambi gli aspetti. Quest’anno il premio Nobel per la pace assegnato all’associazione ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) ha portato una grande speranza tra gli attivisti, che sempre di più auspicano in un cambio di direzione da parte dell’Italia, affinché anche i nostri rappresentanti firmino a favore del disarmo nucleare.

I partecipanti alla conferenza internazionale tenutasi a Basilea a settembre del 2017 affermano che i rischi e gli impatti delle armi nucleari, l’energia nucleare e le armi all’ uranio impoverito costituiscono una violazione ai diritti umani, una trasgressione della legge internazionale umanitaria e ambientale, e un crimine contro le generazioni future.”8

La presentazione ha cercato di riproporre le tappe della filiera nucleare (miniere, trasporto, centrale per uso civile, centrale per uso militare, armi, scorie) sul territorio indiano. Dopo aver spiegato l’importanza delle scelte energetiche dell’India e di un breve excursus storico, i partecipanti hanno avuto modo di conoscere alcune realtà per ogni step della filiera. Si è parlato quindi delle miniere nel Jharkhand, in particolare della più antica e grande, Jadugoda (1967), delle centrali già attive e delle proteste che vi sono state, come ad esempio a Kudankulam e a Tarapur, delle centrali in progetto (tra tutte spicca quella di Jaitapur, finanziata in parte dal governo francese), per arrivare poi ai legami con il nucleare militare e le tensioni tra l’India e il Pakistan. La presentazione però non ha voluto concludersi senza dare un po’ di speranza. Sono state presentate soluzioni come l’utilizzo di energie rinnovabili e l’abbandono delle armi per iniziare ad affrontare i conflitti in modo nonviolento. Proprio per questo il premio Nobel per la pace del 7 ottobre 2017 all’associazione ICAN (International Campaign to Abolish Nucleare Weapons) è importante e rappresenta una luce di speranza nella lotta contro le armi nucleari.

Per concludere come la presentazione, “Occhio per occhio…. E il mondo diventa cieco.” (Gandhi)


Bibliografia

  • James George, Koodankulam must be stopped: Vandana Shiva, DiaNuke.org, 2012,

http://www.dianuke.org/koodankulam-must-be-stopped-vandana-shiva/


NOTE

1 La centrale che dovrebbe sorgere a Jaitapur, Maharashtra, finanziata dalla compagnia francese AREVA.

2 La centrale di Tarapur, Maharashtra, ha ricevuto finanziamenti dalla Russia.

3 Nuclear power insights J.W.Storm van Leeuwen (http://www.stormsmith.nl/insight-items.html)

4 Arnie Gundersen, Truthout, Nuclear powe is not <<green energy>>: it is fount of atomic waste.

8 University of Basel, Human rights, future, generations and crimes in the nuclear age, Final Declaration, 2017 (http://www.events-swiss-ippnw.org/final-declaration/), Dal 14 al 17 settembre 2017 si è tenuto all’università di Basilea un congresso sui rischi del nucleare oggi e su quelli che saranno i danni per le generazioni future, organizzato da due Associazioni di medici: International Physicians for the Prevention of Nuclear War e Physicians for Social Responsibility.

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