Un ruolo per ex-combattenti nella riconciliazione post-conflittuale | Pauline Moore

Che ruolo possono avere degli ex-combattenti nel dirigere procedimenti riconciliatorii nella scia di conflitti violenti? Nonostante la centralità degli ex-combattenti nel disarmo, nei programmi di smobilitazione e reintegrazione (DDR), pochi programmi sfruttano adeguatamente in modo esplicito le esperienze di ex-combattenti per progredire nella riconciliazione. E mentre molte iniziative tentano di reintegrare ex-membri di gruppi armati nella società, cioè fra comunità di civili, prestano però poca attenzione a promuovere legami fra individui un tempo situati su versanti opposti del fronte. Eppure, in molti contesti post-guerra civile, è quanto mai probabile che combattenti di versanti opposti si trovino riuniti nelle proprie città o villaggi di residenza. Ciò può essere particolarmente vero in guerre che richiedono la partecipazione di segmenti significativi di popolazione, e contrappongono vicino a vicino.

Sono rimasta colpita da questa questione durante una recente ricerca sul campo in Bosnia-Herzegovina, dove ho intervistato ex-combattenti dell’Esercito di Bosnia-Herzegovina (ABiH) per un progetto di ricerca in corso. La prossimità del combattimento durante la guerra di Bosnia – in senso geografico come pure sociale – impose una gran pressione sui combattenti, che perlopiù entravano in guerra imbracciando le armi nei luoghi dove vivevano e lavoravano da anni, essenzialmente a difesa di casa e famiglia. Il che vuol dire che i serbi/croati/musulmani bosniaci fino allora convissuti da compagni di scuola, amici e vicini, si arruolarono in gruppi armati messi insieme frettolosamente, avversari gli uni degli altri. Ho chiesto a veterani di guerra dell’ABiH come i rapporti sociali prebellici con serbi e croati bosniaci avessero influito sulle dinamiche belliche, ricevendo risposte interessanti.

Specificamente, i legami prebellici ebbero l’effetto di intensificare la ricerca di contatti amichevoli con combattenti sugli altri versanti. Per esempio, un soldato dell’ABiH addetto radio comunicava con un amico entrato nell’Esercito Serbo-Bosniaco, essendo in grado di accertare il suo benessere. Altri, prossimi al fronte socializzavano, ascoltavano musica o si scambiavano sigarette e alimenti con combattenti di forze opposte. Questi casi di scambi e stuzzichii bonari organizzati in base ai legami prebellici ebbero l’effetto, per quanto modesto, di smorzare l’intensità della violenza al livello micro, facendo risaltare l’influsso positivo dei legami sociali durante la guerra.

Ciò non vuol dire che le connessioni personali cambiassero il corso della guerra a livello macro di qualunque genere, specialmente in quanto i comandanti avevano previsto le implicazioni potenzialmente avverse di forti legami sociali prebellici, etnicamente trasversali. Di fatto, i singoli corpi militari comprendevano ufficiali del morale responsabili di riformulare il discorso valido in guerra sull’esistenza di un “nemico interno” per superare attaccamenti su base locale ai rapporti sociali ante-guerra.

Dato il contesto polarizzante contemporaneo attorno alla guerra di Bosnia, sono rimasta sorpresa dal grado cui gli intervistati insistevano sull’importanza di legami ante-guerra con combattenti avversari. Oggi, i politici in Bosnia fan presto a usare le cerimonie di commemorazione delle vittime opportunisticamente per ravvivare fervori nazionalistici, al punto che i memoriali di guerra diventano sovente barriere al ricucire e ristabilire i rapporti ante-guerra. Eppure le narrazioni divisive degli esponenti politici non parevano in sintonia con quanto sentivo da tanti veterani cui parlavo. Ho trovato qualche conferma delle mie impressioni iniziali nel lavoro di un’organizzazione in particolare, e mi sono intrattenuta con due suoi membri.

Il Center for Nonviolent Action (CNA) a Sarajevo e Belgrado opera per favorire la pace e la riconciliazione nei Balcani promovendo la nonviolenza e il dialogo fra i veterani di guerra. L’attivista Adnan Hasanbegovi? dice che gli ex-combattenti della guerra di Bosnia oggi sono spesso percepiti come eroi, il che gli fornisce un certo livello di credibilità fra il resto della popolazione e mette in risalto il loro potenziale come leader negli sforzi di riconciliazione post-conflittuale. E rende anche il loro messaggio anti-guerra immune agli attacchi dei nazionalisti che cercano di glorificare un passato violento.

Per adempiere alla propria missione, il CNA organizza sessioni formative per la trasformazione nonviolenta dei conflitti che riuniscono veterani di guerra degli stati ex-jugoslavi. Essi lavorano collettivamente a trattare il passato per “promuovere l’immagine di ex-combattenti come costruttori di pace”. Una componente importante di tale missione consiste nella visita a memoriali di guerra da parte di gruppi misti di veterani, dove essi possono partecipare direttamente alla riconciliazione. La decisione di partecipare non è facile da prendere, ma accettando di farlo i veterani di guerra fanno il primo passo nel contribuire ad adempiere una promessa di pace nel proprio paese a beneficio delle future generazioni.

Il CNA sta mettendo in atto incursioni importanti nella sfida alle narrazioni divisive sulla guerra, incoraggiando i veterani a diffondere un messaggio anti-guerra che onora tutti gli uccisi nel conflitto armato di Bosnia. Le conversazioni che ho avuto con veterani riguardo alle loro esperienze indicano che il modello di promozione dei legami nell’ambito di questo specifico gruppo sociale può risultare promettente in modo speciale. Molti veterani sono probabilmente pronti per un dialogo aperto focalizzato sulla formazione di ricordi collettivi della guerra. Effettivamente, Hasanbegovi? è ottimista sul futuro della Bosnia, e speranzoso che la gente si dedicherà via via di più a trattare il proprio passato da una prospettiva comune. Lavorare con ex-combattenti per diffondere un ricordo equilibrato ed inclusivo della guerra sarà probabilmente critico per tale procedimento. Ed è verosimile che la promessa del modello CNA si estenda ben aldilà della Bosnia, a società post-conflittuali per il mondo che facciano spazio ai veterani di guerra nei propri sforzi di riconciliazione.

 

Pauline Moore è laureanda in scienze umane alla Josef Korbel School of International Studies e ricercatrice al Centro Sié-Chéou Kang per la Sicurezza e la Diplomazia Internazionale.

October 31, 2017 | Pauline Moore* per Denver Dialogues
Titolo originale: A Role for Ex-Combatants in Post-Conflict Reconciliation
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

1 commento
  1. mario fadda
    mario fadda dice:

    è un problema che i nostri vecchi vissero nel '45, perchè molti di quelli che furono costretti dalla violenza bellica a imbracciare il fucile, seppero posarlo per ricostruire
    bisogna saper affrontare il problema causato da quelle minoranze che non abbandonano la logica dello scontro e che trascinano la parte più inerte, ma numerosa, verso forme di sostegno ideologiche o di comodo (come fu per il fronte socialcomunista da un lato e per maggioranza silenziosa e quadripartito dall'altro)
    mi rendo conto che sto semplificando in maniera un pò brutale: me ne scuso, ma ho ricordi infantili di un '48 elettorale con invasione di manifesti "vota garibaldi" e manifestini caricaturali dove la faccia di garibaldi, se capovolta, rivelava i baffoni di stalin!
    ex-combattenti, obiettori di coscienza, costruttori di pace: è un bellissimo percorso!

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