Burin senza permesso

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In West Bank il mese di ottobre è dedicato alla raccolta di olive, cruciale per il sostentamento dell’economia palestinese che è fondata sulla produzione e distribuzione dell’olio.

Questa settimana raccogliamo a Burin, un piccolo villaggio di circa 3.000 abitanti, situato vicino alla città di Nablus. La decisione di svolgere l’attività di raccolta delle olive in questa zona deriva dal fatto che il villaggio è teatro di forti scontri e tensioni dettate dalla presenza di diverse aree militarizzate e di 3 colonie illegali che circondano il villaggio. Sono infatti frequenti gli episodi di aggressioni alle famiglie da parte dei coloni, che scagliano pietre e danneggiano gli ulivi durante l’attività di raccolta.

La funzione degli internazionali presenti nel villaggio è quindi duplice: fungono da deterrente, scoraggiando i coloni dal commettere violenze e riducendo la possibilità di potenziali arresti arbitrari dei contadini da parte dei militari nel mese di raccolta.

La situazione è aggravvata inoltre dal fatto che ad alcune famiglie del villaggio viene concesso da parte dell’ Autorità Militare Israeliana, in accordo con l’Autorità Nazionale Palestinese, un permesso di soli 10 giorni per poter accedere ai propri terreni e raccogliere quanti più chili di olive possibili. I giorni di permesso a loro disposizione non sono però sufficienti a garantire tutta la raccolta e questo rende utile l’aiuto di persone esterne.

Tuttavia, non sono rari i casi di famiglie a cui non viene concesso il permesso. Spesso questa decisione è giustificata per finte ragioni di sicurezza, ma costituisce un significativo impedimento per le famiglie nel garantirsi una solidità economica per l’anno seguente.

Davanti a questo diniego le famiglie, diventando potenzialmente più vulnerabili, scelgono di accettarlo per paura di maggiori ritorsioni e aggressioni.

Proprio per arginare questo problema, l’associazione Target di Burin investe tempo ed energie nello spronare le famiglie ad andare a raccogliere anche senza permesso, accompagnate da internazionali. Quest’ultimo gesto rappresenta oggi una delle tante forme di disobbedienza civile nonviolenta praticata da ormai molti anni da diversi movimenti presenti in Palestina.


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