My name is A., I am 6 years old, I live in Wadi Fukin

“Cosa avete fatto oggi a scuola?”

“Lezione di inglese!”

“E cosa hai imparato?”

“My name is A., I am 6 years old, I live in Wadi Fukin.”

Wadi1

Si nasconde tra le braccia della mamma, A., la prima volta che lo incontro. Si lascia andare solo qualche minuto dopo, quando gli propongo di giocare con la palla.

“Torni domani?” mi chiede ogni volta che devo andare via.

“Torni domani?” mi chiedono suo padre e suo nonno, ogni volta che finiamo di contare i sacchi riempiti durante la giornata di lavoro.

Wadi2Vista vallata, Wadi Fukin

 

 

A. e la sua famiglia vivono a Wadi Fukin, un piccolo villaggio a 8 chilometri a sud est di Betlemme, i cui abitanti, circa 1.200 persone, si dedicano principalmente al settore agricolo ed in piccola parte all’allevamento. Questo verde lembo di terra si va però via via restringendo a causa dei continui insediamenti dei coloni israeliani.

“Vogliono fare di Wadi Fukin un’isola circondata da colonie”, afferma Karim.

Guardandosi intorno è difficile smentire le sue parole; la vallata – Wadi in arabo – si presenta accerchiata da insediamenti illegali che incombono sugli uliveti e sulle abitazioni palestinesi: Beitar Ilit (45.000 abitanti), Kedar Ilit, Tzur Hadassa (lungo la Linea Verde) e Japho (punto di inizio dell’appropriazione di altri territori per connettere le colonie a quella di Gush Etzion). I restanti lati sono costituiti da cantieri per la costruzione del muro e della zona industriale.

 

wadi3Colonia di Beitar Ilit

Gli abitanti di Wadi Fukin hanno smesso di vivere liberamente la loro vita dalla Nakba del 1948, anno in cui il villaggio fu oggetto di molteplici attacchi da parte di Haganah, gruppo paramilitare sionista. Il villaggio venne distrutto pochi anni dopo dalle forze militari israeliane, costringendo i suoi abitanti a trovare rifugio in Giordania o nel campo profughi di Dheisheh, a Betlemme.

Dei 12.000 dunam di terreno (circa 1.200 ettari) di proprietà palestinese, 9.000 furono occupati dallo Stato israeliano per la costruzione di colonie. Durante l’esilio i contadini continuarono clandestinamente a recarsi a Wadi Fukin per innaffiare e curare le loro piante, rischiando ogni giorno la vita: 11 contadini furono uccisi in quel periodo.

Nel 1972 è stato concesso ai rifugiati il ritorno alle proprie terre, che ad oggi corrispondono a un territorio tra area B (sotto controllo misto) e area C (sotto controllo israeliano).

Il controllo israeliano si traduce in:

Distruzione di acri di terreno coltivabile
Distruzione di pozzi e abitazioni
Sradicamento di olivi e mandorli
Incursioni agli abitanti nelle loro case
Attacchi ai contadini nelle loro terre
Controllo dell’accesso all’acqua
Utilizzo di diserbante nei campi palestinesi
Tutto questo non ferma gli abitanti di Wadi Fukin, che nonostante le difficoltà quotidiane continuano a resistere e a lottare per il diritto di vivere nelle proprie case e coltivare le proprie terre.

La famiglia di A. ne è un esempio: il nonno e il padre, a ogni raccolta, si armano di teli e sacchi e iniziano a lavorare.

“Non avete paura che i coloni vi attacchino mentre siete in raccolta?”, chiedo loro.

“Questa è la nostra terra. E’ la terra dei miei nonni e dei miei bisnonni. Sarà la terra di mio figlio. Non permetteremo mai a nessuno di portarcela via”, risponde Mohammed.

A. sorride mentre gli lancio le olive. Le raccoglie e le pone nel secchio, poi scappa a nascondersi dietro un albero, aspettando il momento giusto per prendersi la rivincita.

Non sa, A., che il suo sorriso è la rivincita stessa contro chi quegli occhi pieni di vita vorrebbe spegnere, ma la cui luce è troppo forte per essere offuscata.


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