Don Milani al tempo dell’Infosfera

Norberto Patrignani

Cosa farebbe don Milani oggi, al tempo dell’Infosfera?

A quel tempo, il suo messaggio più profondo – chi sa di più aiuti e sostenga chi sa di meno – aveva un grande significato, la sua scuola «ospedale da campo» rappresenta ancora oggi un esempio di impegno per gli esclusi, una via di accesso alla conoscenza altrimenti riservata alle classi privilegiate.

Ai nostri giorni di conoscenza sembrerebbe invece essercene fin troppa… ma è proprio così?

Proviamo a distinguere almeno tre livelli: i dati (le montagne di bit gestiti dalle macchine), l’informazione (segnali utili e accessibili agli umani, generati dalle macchine a partire dai bit) e la conoscenza (il livello riservato agli umani dove le storie che essi narrano e si scambiano si consolidano attraverso valori che permettono di leggere la realtà, di formarsi una coscienza e agire di conseguenza).

Oggi l’abbondanza di bit e informazione è sotto gli occhi di tutti. L’informazione è diventata, per così dire, il petrolio del XXI secolo, ma rischia di non essere più un veicolo di crescita degli umani, ma una semplice merce. Gli umani sono bombardati da dati e informazioni profilate sulle loro preferenze: il rischio di vivere ognuno in una «bolla» virtuale è evidente.

Dunque i bit e le informazioni sono diventati strumenti di attrazione per consumatori digitali. Quando vediamo attorno a noi giovani costantemente online, ormai appendici passive dei «titani del Web» che per attrarre pubblicità rinforzano le loro credenze e preferenze, creando così una vera e propria dipendenza è difficile pensare che tutto questo possa essere chiamato «conoscenza». L’Infosfera rischia di diventare invece un luogo virtuale dove innumerevoli solitudini spendono la propria vita consumando e insultando il diverso. Dunque più che cittadini digitali semplici consumatori digitali.

Nell’Infosfera, per recuperare il messaggio di don Milani, è necessario ripartire dalla ricerca della verità (oggi le prime cinque maggiori imprese del pianeta sono proprio i titani del Web: Apple, Microsoft, Google, Amazon, Facebook), dallo studio e dalla comprensione della realtà, per poi arrivare all’assunzione di responsabilità da parte di ciascuno. Riscoprire una propria deontologia è la premessa per passare all’azione, associandosi con altri umani (non solo nel mondo virtuale) allo scopo di aiutare soprattutto le nuove generazioni a crearsi una propria autonomia e un sistema di valori in grado di difenderli dal dominio, dall’eteronomia e dalla dipendenza dal mercato delle informazioni. Forse don Milani al tempo dell’Infosfera proverebbe ad agire in questa direzione per diventare «seminatori del cambiamento».

L’eretico di quel tempo –  i suoi scritti «bollati» nel 1958 dalla censura del Sant’Uffizio sono stati «liberati» solo nel 2014! – avrebbe probabilmente partecipato alla due giorni, promossa ad Assisi il 29 e 30 settembre da Articolo 21 e dalla Rivista «San Francesco», intitolata «Muri mediatici, industria dell’odio, buone pratiche per contrastarli». Il «manifesto» emerso dai lavori può rappresentare una sorta di «ecologia per l’Infosfera», quasi dei comandamenti laici della corretta informazione:

– Non scrivere degli altri quello che non vorresti fosse scritto di te.

– Non temere le rettifiche.

– Dai voce ai più deboli.

– Impara a «dare i numeri» (sostenere con argomenti le proprie posizioni).

– Le parole sono pietre, usale per costruire ponti.

– Diventa «scorta mediatica» della verità.

– Non pensare di essere il centro del mondo.

– Il Web è un bene prezioso. Sfruttalo in modo corretto.

– Connettiti con le persone.

– Porta il messaggio nelle nuove piazze digitali.

In effetti, la Rete, il Cyberspazio, Internet, il Web, l’Infosfera, sono nati come grande strumenti di accessibilità, è dunque nostro dovere cercare di mantenerli come tali, parlando sulla base di dati accertati, con l’obbligo della verità e dell’etica, provando a utilizzare la rete come strumento di pace.

Naturalmente gli strumenti di allora (gomma e matita) oggi si arricchiscono di una strumentazione digitale, senza dimenticare l’importanza della vita analogica.

L’alfabetizzazione digitale deve essere il preludio a una saggezza digitale. L’alfabetizzazione digitale (pensiero scientifico, problem solving, pensiero computazionale, coding) e la programmazione dei computer rappresentano i nuovi linguaggi con i quali prendere confidenza  proprio per non diventare soggetti passivi dell’Infosfera. A questo deve però affiancarsi anche la ricerca di una «saggezza digitale», vale a dire una cosciente gestione della propria identità digitale, un controllo adeguato dei propri dati, un giusto bilanciamento tra vita online e vita offline, per evitare così la dipendenza dalla Rete. A tutto questo possono dare un contributo i cosiddetti «ethical hackers», persone esperte di computer che mettono a disposizione della società il proprio sapere, oltre alla ricerca di una Slow Tech, cioè un’informatica progettata attorno all’umano, pulita, che minimizza l’impatto ambientale e i consumi energetici, e che tiene nella giusta considerazione le condizioni di lavoro delle persone alla catena di produzione.

In conclusione, serve una cultura adeguata al tempo digitale. E questo è compito di tutti noi, a partire dai docenti e dalle persone coinvolte nei sistemi educativi.

Cosa farebbe dunque don Milani oggi, al tempo dell’Infosfera? Un possibile esempio: a Scampia le Suore della Misericordia, in collaborazione con l’associazione Informatici Senza Frontiere, portano avanti il progetto «Il giardino dai mille colori», un percorso-laboratorio di scienze e informatica per bambini dai sei ai nove anni.


Relazione svolta al Convegno Educazione e pace, 50 anni dopo don Milani, Torino, 7 ottobre 2017

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