Sarahah e il cyberbullismo 2.0 | Ferdinando De Blasio
La nuova app per messaggistica anonima Sarahah fa molto parlare di sé: soprattutto per gli utilizzi collaterali che cyberbulli e aspiranti tali potrebbero farne.
Cos’è il cyberbullismo?
Sai cos’è il cyberbullismo? Potremmo pensarlo come un bullismo 2.0.
È quella forma di violenza psicologica che passa attraverso i canali digitali – da facebook, a snapchat, a instagram, a quello che ti pare.
Perché il cyberbullismo è peggio del bullismo “tradizionale”?
Innanzitutto, perché non lo sostituisce, ma gli si somma.
Il bullismo esiste praticamente da sempre. Un libro interessante, “Bulli di carta”, ne ripercorre addirittura la storia all’interno della letteratura. Anche quando ero piccolo io, ovviamente, c’era. Ma prima dell’avvento di internet e dei social, quel bullismo aveva tutta una serie di “vantaggi” dal punto di vista di chi lo subiva:
- Lo sfottò era circoscritto nello spazio e nel tempo: solitamente a scuola o immediatamente dopo. Chiusa la porta di casa, perlomeno, si era liberi fino alla mattina successiva. Il bullismo sui social invece non ti molla mai, ti segue dentro casa e prosegue addirittura in assenza del bullizzato.
- Il bullo doveva guardare in faccia la sua vittima. Non è una cosa da sottovalutare: l’essere umano è programmato, almeno in linea di principio, per provare empatia. Non tutti hanno la cattiveria necessaria per fare male a qualcuno guardandolo in faccia. Con il cyberbullismo questo elemento viene meno e la cattiveria di ciascuno trova libero sfogo al riparo dello schermo di uno smartphone.
Teppisti Anonimi
Quanto al guardare in faccia la vittima, internet e la comunicazione digitale hanno ultimamente regalato ai bulli un’arma micidiale: l’anonimato.
La possibilità di mantenersi anonimi consente anche ai meno “coraggiosi” di farsi avanti. Credo che questo fenomeno sia, alla radice, lo stesso che precorre alle dinamiche di gruppo: il singolo si annulla nel gruppo che perpetra la violenza, si annichilisce e perde la propria identità.
In questo modo non è più riconoscibile, incolpabile e punibile come colpevole, soprattutto da se stesso: se non ci fosse stato Cristo a guardarli, quanti peccatori avrebbero scagliato la prima pietra?
Per questo motivo l’uscita di Sarahah, l’app per messaggi anonimi, ha fatto suonare parecchi dei miei campanelli d’allarme.
Cos’è Sarahah?
Sarahah è un’applicazione di messaggistica istantanea che garantisce il completo anonimato. Secondo l’intenzione dei creatori, che voglio ritenere quantomeno ingenua, l’applicazione serve a migliorare sé stessi attraverso feedback onesti (perché anonimi) dei propri collaboratori, amici o altro. Boom!
Sarahah è nato nel 2017 come sito, ma a seguito del grande successo riscontrato fin dagli esordi, è stato convertito in app e sdoganato su Google.
Perché Sarahah è potenzialmente la nuova frontiera del Cyberbullismo?
Garantendo il totale anonimato (gli utenti autori di commenti non sono rintracciabili neppure dall’app stessa) e la possibilità di condividere contenuti come immagini e video, Sarahah dà a ogni cyberbullo o aspirante tale tutti gli strumenti necessari per fare un buon lavoro:
- Un pubblico, anche molto vasto: gli spettatori sono essenziali nelle dinamiche di bullismo quanto il bullo e il bullizzato;
- La possibilità di seguire la vittima anche fuori dal proprio raggio di azione materiale, nello spazio e nel tempo;
- L’anonimato: cioè la potenziale e totale impunità. Inoltre, il limite dell’aggressione si amplia di molto: senza la paura di essere scoperti, ci si spinge oltre il punto in cui la paura della sanzione o punizione fungerebbe da limite (minacce e istigazione al suicidio, tanto per dirne un paio). Ma anche la diffusione di immagini e video denigratori di vittime ignare sarebbero al riparo dell’anonimato.
Che ne Sarahah di noi?
Non ci resta che aspettare per vedere se si tratta dell’ennesimo cyberfenomeno passeggero, una bolla che scoppierà tra poco insieme a tutte le nostre perplessità.
Ma potrebbe anche diventare un fenomeno radicato, soprattutto tra i più giovani, come a suo tempo Snapchat, che a sua volta fece molto discutere per “l’autodistruzione delle prove”.
Non abbiamo ancora capito che gli smartphone, e più in generale internet, sono uno strumento grandioso da mettere in mano ai nostri figli. Lo sarebbe anche un’automobile, ma non gli consentiamo di guidarne una fino ai 18 anni – e comunque non prima di aver ottenuto l’abilitazione – per la loro stessa sicurezza e quella di tutti gli altri.
Per internet non dovrebbe essere poi tanto diverso: magari sarebbe esagerato attendere i 18 anni, ma sicuramente un maggior controllo, o meglio una semplice educazione all’utilizzo delle risorse che il web offre, sarebbe davvero auspicabile.
Fonte: il drago di carta
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