Israele si avvia verso una soluzione?

Johan Galtung

Questa rubrica ha raccomandato una soluzione 1-2-6-20: 1 Palestina interamente riconosciuta da Israele; una soluzione a 2-stati con confini conformi alla legge internazionale; in una comunità medio-orientale di Israele e vicini Arabi di 6-stati, in una comunità di più o meno 20 stati, anche questa comprendente i loro vicini.

La soluzione a 2-stati potrebbe essere una confederazione con cantoni israeliani in Cisgiordania e cantoni palestinesi nell’Israele di Nord-Ovest.

Quanto sopra è ben accetto a Palestina, Lega Araba e Iran. Non a Israele. Netanyahu vuole espansione, confini sicuri e riconoscimento internazionale. Impossibile. Con l’aiuto di Trump si espande ulteriormente, uscendo dall’UNESCO, sfidando le Nazioni Unite.

Salvo che Netanyahu e Trump non saranno presenti per sempre. Entrambi soffrono di autismo; clinicamente Trump, che pretende lealtà assoluta. Non una sola parola di critica sulla loro politica di America Prima di Tutto! Israele Prima di Tutto! Guardando il mondo dalle loro bolle, ciò che manca è la reciprocità, il contrario dell’autismo; che accoglie l’Altro, non solo affronta l’Altro. Dialogo.

Pure, il confronto con la realtà è allarmante. Trump non sta creando una grande America bensì un’America isolata. Netanyahu sta ricreando non un Israele dei patriarchi (Genesi 15:18) ma un Israele inattuabile.

I terroristi israeliani hanno conquistato e colonizzato. Tuttavia sia chiaro: Israele è uno stato in cui non vige l’apartheid bensì un sistema di “cittadini di prima classe vs cittadini di seconda classe”. E non è neppure uno stato razzista; ci sono Ebrei e Arabi di tutte le razze. E’ lo stato di un “popolo eletto per una terra promessa”, che rivendica un mandato divino; ignaro della razionalità post-Illuminismo dei nostri tempi.

Il primo punto non realizzabile è una minoranza araba che diventa maggioranza araba nell’Israele di Netanyahu, inteso come “stato ebraico solo per Ebrei”. Per ottenere questo, si dovrebbero espellere gli Arabi oppure si dovrebbe separare quel territorio per formare un più piccolo Israele, il che comporterebbe sanzioni più pesanti di quanto Israele possa reggere. Gli USA possono fermare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ma non tutte le sanzioni diplomatiche bilaterali.

Il secondo punto non realizzabile è più profondo. Il concetto sionista – di un buon secolo fa – di uno stato per una nazione soltanto non è praticabile.

Oggigiorno la gente si muove dentro e fuori di qualsiasi cosa, Israele compreso. Per di più, gli stati in quanto tali stanno decentralizzando, danno la precedenza ad autonomie locali dal basso e regionalizzazione, globalizzazione, dall’alto.

Esiste uno zoccolo duro in Israele che si è votato non solo alla Genesi 15:18 ma anche al bellicoso Deuteronomio 20:10-20 e al modello geopolitico a quattro livelli di Isaia 2:1-4. E alla memoria della brigata ebraica forte di 5.000 uomini che ha eroicamente combattuto la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. [i]

Sebbene ci siano anche Israeliani più accomodanti. Molti di costoro, negli USA, costituiscono una componente del conflitto tra Israeliani ed Ebrei della diaspora, che si sta inasprendo. Specialmente donne, data la scelta dell’Ebraismo Ortodosso per Israele; con le donne considerate cittadine di seconda classe, come si può constatare al Muro del Pianto.

E ci sono territori israeliani disabitati: il Nord-Ovest, da dove vennero allontanati 780.000 Palestinesi, il vasto Sud.

In più, al di sotto e al di sopra di tutto questo, il passato, presente e futuro colmo della resistenza palestinese, le Intifada, per riprendersi la loro terra. Ancora disposta (con il PNC – Consiglio Nazionale Palestinese) a coesistere con l’Israele del 4 Giugno 1967. Netanyahu, aiutato da Trump, aumenta l’espansione, come i Palestinesi aumentano la resistenza. Lotta che non avrà mai fine, rendendo Israele un molto attuabile campo di battaglia in un paese inattuabile.

Detto tutto questo, come si arriva a un Israele post-Netanyahu razionale?

Andando indietro nel tempo, alle radici delle tre religioni abramitiche, l’elemento che perdura, ma non il solo, è una così grande attitudine per la guerra a livello mondiale.

L’Ebraismo e l’Islam hanno in comune il monoteismo, un buon punto di partenza.

Il Cristianesimo ha in comune con l’Islam il singolarismo-universalismo, un pessimo punto di partenza, che esclude reciprocamente, con tregue precarie; ora domina l’uno, ora l’altro; qui domina l’uno, là domina l’altro.

E l’Ebraismo condivide con il Cristianesimo una visione della geopolitica gerarchica e piramidale, un’altro pessimo punto di partenza, che dà origine a un giudeo-cristianesimo che legittima l’eccezionalismo e la bellicosità degli USA.

Ma il punto qui è il rapporto Ebraismo-Islam.

In principio esso ammette che i Giudei vivano secondo la loro consuetudine, con gente del Libro, credenti nel kitab, dappertutto nei territori musulmani. Compreso quel territorio che gli Ebrei riconoscono come la loro Terra Santa, una buona parte del Medio Oriente. Quindi, perché essere così discreti e stabilirsi soltanto su quel pezzettino di terra chiamato Israele? Perché non affidare l’Israele del 4 Giugno 1967 allo zoccolo duro sionista, già presente là, liberando il resto del mondo da loro?

E inoltre, perché meramente contraccambiare la tolleranza dei Musulmani per i Giudei, vivendo vicini a loro, due religioni monoteistiche fondate su divine rivelazioni? Come fecero loro per molti secoli sotto una dinastia musulmana dopo l’altra, gli Omayyadi, gli Abbàsidi, i Fatimidi, gli Ottomani – fino a che i Sionisti inculcarono in Asia Occidentale l’idea europea di nazione-stato.

Questo richiederebbe molto dialogo e molte abili negoziazioni. In primo luogo, può essere che gli Ebrei siano tenuti a inghiottire l’amara pillola di doversi scusare per i tentativi che fecero nel far sembrare come se loro fossero stati cacciati dai paesi arabi-musulmani, occultando il fatto che avevano beneficiato di una tradizione antica, risalente al Profeta, che si fondava, come egli fece, sui loro Profeti.

Tale linea ha poche possibilità di successo nell’odierna realtà politica, così come quella realtà ha poche possibilità di diventare praticabile. E’ proprio per questo motivo che è necessaria, anzi indispensabile, una visione alternativa. Questa è l’impresa numero uno.

Si potrebbe andare un passo oltre: ci sono dei Cristiani in quella regione. Un tempo i tre popoli festeggiavano insieme un’Età dell’Oro di lunga durata; non esiste legge per cui le età dell’oro debbano verificarsi solo nella Spagna meridionale. E’ ancora più plausibile che avvengano nella Terra Santa, con Gerusalemme al centro e con degli spazi sacri a disposizione degli aderenti alle tre religioni, ovviamente non sotto il “sovrano controllo” israeliano.

E momenti sacri per ciascuno, che devono essere rispettati dagli altri.

Il mondo vuole messaggi di pace da queste grandi, antiche fedi, non guerra perpetua. Questi messaggi potrebbero venire da Gerusalemme, mettendo in evidenza le tradizioni di solidarietà e tolleranza piuttosto che il contrario: le fedi abramitiche, che rinnegano la speranza del genere umano nella pace.

Il mondo è in attesa. E’ tempo che accada, ora.


NOTA

[i]. Vedi Howard Blum: Ihr Leben in unserer Hand. Die Geschichte der Jüdischen Brigade im Zweiten Weltkrieg (München: Econ), “Le loro vite nelle nostre mani. La storia della Brigata Ebraica nella seconda guerra mondiale”.


#493 | Johan Galtung – 7 Agosto 2017

Traduzione di Franco Lovisolo per il Centro Studi Sereno Regis

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