Altri 10 miliardi per le armi. La chiamano crescita | Giulio Marcon
Finanziaria. Il 22% del fondo da 46 miliardi per «assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del paese» andrà al ministero della Difesa per fare carri armati, elicotteri di combattimento e centri comandi. Una scorrettezza normativa e formale enorme contro il parlamento
Ieri, la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha iniziato a occuparsi del decreto della presidenza del consiglio che deve decidere come ripartire i 46 miliardi di un fondo di investimenti (previsti fino al 2032) che la scorsa legge di bilancio aveva stanziato per sostenere interventi in tanti ambiti: dai trasporti alla ricerca scientifica; dalla riqualificazione delle periferie alla difesa del suolo e alla lotta al dissesto idrogeologico; dall’edilizia scolastica alle bonifiche, dall’informatizzazione dell’amministrazione giudiziaria alla rimozione delle barriere architettoniche. E tanto altro ancora.
Il decreto della presidenza del consiglio riporta una tabella sulla ripartizione dei fondi tra i ministeri e dalla tabella dove scopriamo che ben 9.988.550.001 di euro (in pratica 10 miliardi, il 22% del totale) saranno destinati al Ministero della difesa. Per fare cosa? Oltre 5,3 miliardi di euro finanziaranno i programmi di costruzione e di ammodernamento dei sistemi d’arma. Per fare qualche esempio (come ha ricordato Milex, l’osservatorio italiano sulle spese militari), si va dai carri da combattimento Freccia e Centauro 2 alle famigerate fregate Fremm; dagli gli elicotteri da attacco Mangusta ai sistemi di contraerea e tanto altro ancora. Poi, tra gli altri consistenti importi destinati al Ministero della difesa, ci sono 2,6 miliardi per fare a Centocelle (un quartiere periferico di Roma) un mega centro servizi e comandi: una sorta di «Pentagono italiano» dove centralizzare funzioni e servizi di coordinamento dell’intero sistema delle Forze Armate. Singolare è che questo stanziamento viene collocato nel paragrafo dal titolo : «edilizia pubblica, compresa quella scolastica». Di «scolastico» il centro militare ha ben poco.
Ora, il fatto che come spendere un fondo di 46 miliardi per «assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del paese» (così dice la legge di bilancio) venga deciso dal governo (concedendo al parlamento di dare un misero «parere») è un’abnormità istituzionale. Che poi venga destinato ben il 22% di questo fondo al Ministero della Difesa per fare carri armati ed elicotteri di combattimento e centri comandi è una scorrettezza normativa e formale enorme contro il parlamento. Poi va ricordato che il governo Gentiloni, in questo modo, sacrifica gli investimenti civili a quelli militari. Si fanno passare per interventi a favore di «attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni», prebende all’industria militare che andrebbe riconvertita, salvando l’occupazione, a scopi civili per fare affari in Italia e in giro per il mondo.
Sul «sostegno alle esportazioni» sicuramente l’industria militare fa la sua «bella» parte, visto che vendiamo armi all’Arabia Saudita e anche al Qatar (340 milioni di euro di vendite), che è stato accusato di recente di sostenere il terrorismo islamico.
Nonostante le lamentele della ministra Pinotti e delle gerarchie militari, al ministero della Difesa arrivano sempre tanti, troppi soldi.
Ci stiamo avvicinando così ad esaudire la richiesta di Trump, che vuole portarci a spendere il 2% per il bilancio della difesa. Tra l’altro, a tutti questi soldi andrebbero aggiunti anche i 12 miliardi che ci rimane da spendere per il programma dei cacciabombardieri F35, su cui è caduto un silenzio assordante, nonostante il Pd si fosse impegnato a dimezzare la spesa.
Anche con questo decreto, arriva un altro aumento delle spese militari. Ma il paese ha bisogno di lavoro, non di carri armati.
il manifesto, 15.06.2017
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