Il cambiamento climatico non provoca sorpresa, ma ‘ri-conoscimento’…

Elena Camino

Quando il tema del cambiamento climatico appare […] in una qualche pubblicazione, si tratta quasi sempre di saggistica. La rara e fugace comparsa di questo argomento in narrativa è sufficiente a relegare un romanzo o un racconto nel campo della fantascienza.

Che cosa è in gioco in questa resistenza? Un fallimento immaginativo e culturale che sta al cuore della crisi climatica?

Un occultamento della realtà nell’arte e nella letteratura contemporanee tale che «questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità»?


Queste frasi sono tratte dalla scheda di presentazione di un saggio dello scrittore indiano Amitav Ghosh, ben noto al pubblico italiano grazie alla traduzione di alcuni straordinari romanzi ‘epici’ che narrano la nascita dell’India moderna, quali “Mare di papaveri”, “Il fiume dell’oppio”, “Diluvio di fuoco”. “La grande cecità” si riferisce all’incapacità – secondo Ghosh – a riconoscere il cambiamento epocale in atto con l’aumento della temperatura dell’atmosfera terrestre, e di conseguenza a farne oggetto di narrazione.

L’Autore è presente a Torino in questi giorni, in occasione del Salone del libro, in cui incontrerà il pubblico in un paio di occasioni.

Il libro è molto complesso, e di tale complessità poco si coglie nei commenti generali presenti sul retro di copertina, che ne sottolineano “la leggerezza e l’agilità della scrittura”, o la “riflessione acuta, provocatoria e originalissima” : nelle tre parti in cui è articolato tocca una varietà di tematiche che rendono difficile farne – non solo una recensione – ma anche un semplice riassunto. E’ un libro che merita di essere letto e riletto, tanti sono gli spunti di riflessione, i collegamenti illuminanti, gli squarci storici che offre.

Le tre parti in cui è strutturato il libro sono a) Storie, b) Storia, c) Politica. Proverò a segnalare gli elementi che mi hanno colpito maggiormente nelle tre parti, da cui spero che emerga il nucleo concettuale di ciascuna di esse.

Storie

Questa parte introduttiva – pur tra le continue digressioni – può essere intesa come l’insieme di frammenti di descrizioni di eventi catastrofici: nel 1850 il fiume Padma devia dal suo corso; nel 1978 un ciclone si abbatte su Delhi; nel 2012 il ciclone Sandy provoca disastri; prima, nel 2004, uno tsunami colpisce le coste dell’Oceano Indiano. E nella storia della città di Mumbay (un tempo Bombay) si succedono eventi catastrofici, dal 1618 al 1738, poi il 1783, il 1854, il 2005, fino al 2015.

Le storie che Ghosh ci presenta sono quasi impercettibilmente interconnesse dalla loro comune “improbabilità”: una caratteristica che secondo l’Autore rende difficile raccontare oggi, in forma di romanzo, il fenomeno del cambiamento climatico in atto. Il romanzo moderno privilegia le storie individuali rispetto a quelle collettive, e gli eventi ‘normali’ rispetto a quelli straordinari, soprattutto se catastrofici. Se li si racconta, vengono inseriti nella categoria del magico o del surreale. Questa tesi, introdotta nella prima parte del saggio, viene poi ripresa e articolata nelle parti successive.

L’improbabilità degli eventi si connette, secondo Ghosh, al senso di spaesamento (uncanny) provocato dal cambiamento climatico in atto. Non si tratta di ‘sorpresa’, quanto di ‘riconoscimento’: questi eventi richiamano gli umani alla consapevolezza di non essere mai soli: “siamo sempre stati circondati da una molteplicità di creature che condividono con noi capacità che consideravamo precipuamente nostre: volontà, pensiero e coscienza” (pag. 38). Lo spaesante dell’ambiente è dunque diverso dal perturbante del soprannaturale, perché dimostra che “forze non-non umane sono in grado di influire direttamente sul pensiero umano” (pag. 38). Non solo: esse sono “un misterioso prodotto delle nostre stesse mani, che ora torna a minacciarci, in forme e fogge impensabili” (pag. 40).

Tuttavia – commenta l’Autore dopo aver accennato a vari eventi ‘improbabili’ – una caratteristica di questo ‘perturbante’ è la cecità di chi, pur ripetutamente avvisato, ha trascurato di tener conto delle esperienze delle generazioni passate. Riferendosi alla crescente abitudine delle comunità umane di stabilirsi in prossimità dell’acqua (di fiumi e mari), Ghosh si chiede “Com’è potuto accadere? Viene da chiederselo anche pensando alla costa intorno a Fukushima, in Giappone, dove nel Medioevo erano state collocate lungo il litorale delle tavolette di pietra per mettere in guardia dagli tsunami; alle generazioni future veniva detto senza mezzi termini: <<non costruite le vostre case al di sotto di questo punto>>!” (pag. 64).

Ghosh attribuisce una certa responsabilità a un atteggiamento mentale che si è sviluppato cercando le soluzioni “suddividendo i problemi in questioni specifiche di portata sempre più ridotta” (pag. 65): un modo di pensare che rende impensabile l’interconnessione di Gaia, cioè la profonda, intima interdipendenza tra umani e non-umani (creature ed eventi) che sono la manifestazione del nostro pianeta.

Insomma, si è elaborato un modo di pensare che non è adeguato a questa era del surriscaldamento climatico; che ha portato – nella letteratura – a creare un confine tra fantascienza (di cui fa parte oggi la ‘climate fiction’ o ‘fantaecologia’) e letteratura tradizionale, ad approfondire l’abisso tra Natura e Cultura, e a spazzar via quel tipo di narrazione in cui la collettività era una presenza centrale. Il romanzo contemporaneo si è concentrato sempre più sulla psiche individuale, mentre l’<<aggregato di uomini >> (pag. 89) arretrava nell’immaginario sia culturale sia narrativo. Così oggi – sostiene Ghosh – proprio quando si è capito che il cambiamento climatico è un problema collettivo, “l’umanità si trova alla mercé di una cultura dominante che ha estromesso l’idea di collettività dalla politica, dall’economia e anche dalla letteratura”. (pag.91).

Secondo l’Autore, una possibilità per portare nella forma – romanzo il problema del cambiamento climatico, e aiutare così la società a prendere atto di questo evento planetario, è quello di superare l’abituale logocentrismo, e formulare pensieri con modalità non linguistiche, per esempio attraverso forme, o immagini, orientandoci a verso ciò che non può essere “pensato” in parole. Se la resistenza che il cambiamento climatico oppone alla letteratura si manifesta nella sua resistenza al linguaggio stesso – afferma Ghosh a conclusione della prima parte del suo saggio – “l’atto stesso di leggere subirà una mutazione, com’è già avvenuto molte volte in passato” (pag. 95).

Storia

Nella seconda parte Amitav Ghosh si fa più chiaramente riconoscere per le sue doti di straordinario narratore di grandi eventi che hanno caratterizzato la storia del continente asiatico. Partendo dalla considerazione che capitalismo e impero sono due facce della stessa medaglia, egli mette in evidenza la centralità dell’Asia nella crisi climatica. Da un lato, perché i cambiamenti del clima causeranno un enorme numero di vittime, sia per la densità di popolazione che ci vive, sia per la vulnerabilità già presente: basso livello sul mare di molti dei territori, processi di desertificazione e salinizzazione già in atto. Dall’altro, perché l’Asia è stata sede di un processo di industrializzazione rapidissimo, che ha accelerato il processo di cambiamento climatico già in atto e ne è diventata una protagonista.

Qui l’Autore ci offre una ricostruzione del vasto processo di modernizzazione del mondo, dandoci degli indizi sui motivi per cui l’Asia ha avviato tardivamente la fase di industrializzazione: non si è trattato – come sostiene la narrativa dominante di radice occidentale – di pigrizia e inerzia da parte degli asiatici, ma del risultato di sistematiche iniziative volte a ostacolarne lo sviluppo. Carbone e petrolio erano noti e utilizzati in Asia fin dall’antichità, ma “le economie emergenti in Occidente avevano bisogno che al resto del mondo fosse impedito, con la forza se necessario, di sviluppare proprio sistemi energetici basati sullo sfruttamento del carbone” (pag. 130). E nel periodo in cui stava nascendo la tecnologia del vapore, le maggiori potenze europee avevano già stabilito una forte presenza militare e politica in Asia: da quel momento in poi le tecnologie ad alta intensità di carbonio sono state usate per rafforzare il potere occidentale. “In altre parole, le emissioni di carbonio furono fin dall’inizio strettamente correlate al potere. […] Il commercio e l’industria del sistema capitalista non possono fiorire senza il sostegno del potere militare e politico” (pag. 132).

Ghosh mette poi in luce alcuni paradossi nella storia della crescente produzione di CO2: è evidente che la tardiva industrializzazione dell’Asia ha ritardato l’avvento della crisi climatica. Ma oltre al fattore esterno causato dall’imperialismo occidentale, all’inizio del ‘900 fu presente anche un importante fattore di resistenza intellettuale interno all’India stessa: fra le più note affermazioni di Gandhi riguardo al capitalismo industriale ci sono le celebri righe scritte nel 1928: “Dio non voglia che l’India debba mai abbracciare l’industrializzazione alla maniera dell’Occidente. Se un’intera nazione di trecento milioni di persone dovesse intraprendere un simile sfruttamento delle risorse, il mondo ne resterebbe spogliato, come da un’invasione di cavallette”.

Anche in Cina l’industrializzazione e il consumismo incontrarono forti resistenze all’interno delle tradizioni taoista, confuciana e buddhista. A questo proposito Ghosh cita le parole di un ministro dell’istruzione, Zhang Shizhao (1881-1973): “Quando la quantità di risorse finite viene valutata sulla base di appetiti illimitati, c’è da aspettarsi che tale disponibilità venga meno nel giro di poco” (pag. 136). Ed era di origine birmana lo statista U Thant, segretario generale delle Nazioni Unite dal 1962 al 1971, che in più occasioni ebbe a sottolineare l’insostenibilità della crescita economica illimitata.

Dunque, nel mondo orientale un numero significativo di persone ha compreso, molto prima che fossero disponibili dati concreti, che la civiltà occidentale era soggetta a limiti di crescita, e sarebbe collassata se fosse stata adottata dalla maggioranza della popolazione nel mondo. Ma ormai il cambiamento climatico è un processo di natura planetaria: forse per questo Ghosh conclude la seconda parte del suo saggio chiamando in causa all’umanità intera: “Sebbene diversi gruppi di persone vi abbiano contribuito in modo estremamente diversificato, in ultima analisi il surriscaldamento globale è il è il prodotto della totalità delle azioni umane nel corso del tempo”(pag. 138).

La politica

L’Autore inizia questa parte chiamando in causa il concetto di libertà, centrale non solo per la politica contemporanea, ma anche per le scienze umane, le arti e la letteratura, e osserva che questa concezione di libertà è caratterizzata dal distacco dalla Natura. Arte e letteratura esprimono una radicale presa di distanza dal non-umano in favore dell’umano, dal figurativo in favore dell’astratto. La modernità – sostiene Ghosh – si è espressa in tutti i campi come uno sforzo, da un lato, di trascendere i vincoli materiali (per esempio nell’architettura dei grattacieli, o nella costruzione di grandi dighe); dall’altro, nell’esplorare nuove regioni della mente e dell’interiorità, per esempio con lo sviluppo dell’arte astratta e formale in sostituzione di quella figurativa e iconografica. Ma ora che le trasformazioni globali del pianeta hanno reso evidente la nostra dipendenza dai sistemi naturali, come possiamo ripensare l’idea di libertà?

Chiamando in causa intellettuali, artisti e letterati (quindi anche se stesso) si chiede se – al di là della loro difesa della libertà – essi non saranno ricordati “per la loro connivenza con la Grande Cecità” (pag. 151).

La crescente egemonia della lingua inglese, che nel periodo della decolonizzazione favorì lo sviluppo di una internalizzazione della letteratura, ha accompagnato – quasi paradossalmente – la crescita della produzione di CO2. Voler essere ‘avanti’, e celebrare e mitizzare questa impresa, è stata una delle caratteristiche più forti della modernità, e questo ha contribuito a rafforzare l’idea di un tempo lineare e irreversibile, alimentato da continue progressioni grazie alle innovazioni scientifiche, con una spinta incessante che rende continuamente obsolete le conquiste precedenti.

La paura dell’”arretratezza” ha spinto artisti e scrittori a cercare di ‘stare al passo’, perdendo consapevolezza “dell’arcaica voce i cui brontolii, un tempo così familiari, non venivano più ascoltati: la voce della terra e della sua atmosfera”(pag. 154).

Vien da pensare – aggiunge Ghosh – che il medesimo processo che ha avviato la devastante spirale delle emissioni di carbonio abbia anche […] indotto gli artisti , gli scrittori e i poeti di quel periodo a volgersi con foga in direzioni che impedivano loro di vedere proprio ciò su cui credevano di fissare lo sguardo, ovvero quel che c’era ‘en avant’: l’avvenire” (pag. 155).

Sul versante della politica le crescenti mobilitazioni – evidenti un po’ in tutto il mondo e favorite dallo sviluppo dei network – non riguardano il cambiamento climatico, ma una serie di questioni connesse all’identità: religione, casta, appartenenza etnica, genere, lingua… La politica non riguarda più il bene comune, ma la ricerca di autenticità personale: una questione individuale. Questo modo di pensare influenza la narrativa, che viene rimodellata in termini di confessione, di testimonianza di una esperienza personale autentica e perde il suo ruolo, che è quello di figurarsi il mondo non com’è ma come potrebbe essere: di immaginare cioè altre possibilità.

Ma la crisi climatica “ci sfida proprio a immaginare altre forme di esistenza umana, perché se c’è una cosa che il surriscaldamento globale ha perfettamente chiarito è che pensare al mondo solo così com’è equivale a un suicidio collettivo” (pag. 159).

Ghosh è convinto che lo spostamento di interesse della politica dalla sfera pubblica a quella privata sia una delle cause della dissociazione tra la sfera della performance politica e l’ambito della governance: manifestazioni a cui hanno partecipato milioni di persone per esprimere il loro dissenso dalla guerra non hanno minimamente influenzato le decisioni di chi stava al potere. Si tratta di una trasformazione della realtà politica che Ghosh attribuisce almeno in parte al dominio del petrolio nell’economia globale: il petrolio è stato straordinariamente efficace – a suo parere – nel togliere le leve del potere dalle mani del popolo.

La crescente attenzione alla sfera personale di cui siamo testimoni in questi ultimi anni crea una distorsione nei modi di vedere e affrontare la crisi climatica, che è vista sempre più come una questione morale individuale, invece di essere affrontata – come sarebbe necessario – con un’azione collettiva. In effetti “la scala del cambiamento climatico è tale che le scelte individuali non faranno alcuna differenza se non saranno prese e applicate decisioni collettive” (pag. 164).

Nelle ultime pagine di questa terza parte del suo saggio l’autore svolge una breve comparazione tra due documenti pubblicati di recente, entrambi in grado di influenzare significativamente il mondo reale: il testo dell’Accordo di Parigi (COP 21) e l’enciclica “Laudato si” di Papa Francesco. Entrambi dedicano ampie riflessioni al problema climatico, ma con prospettive molto diverse: mentre gli accordi di Parigi esprimono una grande fede nella tecnologia, e presentano le situazioni di povertà come condizioni da alleviare, l’enciclica esprime uno sforzo di comprensione sulle cause del cambiamento climatico, e quando parla di povertà la associa sempre all’idea di giustizia. Insomma, mentre politici e tecnici sono alla ricerca un po’ ingenua di una soluzione tecnologia che ha del magico, il papa suggerisce pragmaticamente di mettere in luce le cause profonde, e operare su di esse.

Riprendendo infine un tema su cui si è soffermato in più occasioni, Ghosh sottolinea ancora una volta la responsabilità di artisti e scrittori per non aver saputo offrire al pubblico delle narrative nuove, in grado di sollecitare l’esplorazione di nuovi modi di vivere e di pensare. E il suo augurio è che le prossime generazioni siano in grado di guardare il mondo con maggiore lungimiranza, e di uscire dall’isolamento in cui si erano rinchiuse le generazioni precedenti, che avevano perso la capacità di sentirsi parte della Natura e imparentati con tutte le creature non-umane.

In conclusione, il saggio di Amitav Ghosh offre numerosi spunti di riflessione storica e politica, prospettive culturali inconsuete per i lettori occidentali, indizi utili per vincere la ‘cecità’ che caratterizza questo momento della storia umana. La lettura – a tratti impegnativa ma stimolante – è corredata da una ricca bibliografia, che offre molte opportunità di approfondimento.


Segnaliamo altresì una recensione del libro pubblicata venerdì 19 maggio sul Manifesto: http://ilmanifesto.it/la-grande-cecita-del-surriscaldamento/

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