La missione di Ládio Veron | Aldo Zanchetta 

Grazie a “La terra degli uomini rossi“, il bel film di Marco Bechis, la persecuzione genocida cui sono sottoposti i Guarani-Kaiowà del Brasile è stata conosciuta e ha toccato il cuore del grande pubblico italiano. Non tutti sanno però che appena cinque anni dopo, nel dicembre 2013, Ambrosio  Vilhava, il protagonista del film, è stato accoltellato e ucciso. Gli assassini sono noti, i mandanti e le loro protezioni istituzionali pure. Ora il governo della nuova destra del “presidente” Temer ha intenzione di ridurre dal 13 al 2,6% del territorio nazionale le terre teoricamente assegnate alle 240 popolazioni indigene che resistono nel paese, circa 900mila persone. Intanto, per la prima volta nella storia, truppe Usa partecipano a un’esercitazione militare nell’Amazzonia brasiliana. Quanto la persecuzione dei Guarani-kaiowá sia ancora viva e cruenta racconta questo articolo di Aldo Zanchetta, che ha ospitato a Lucca Ládio Veron Cavalheiro, il cacique del villaggio guarani-kaiowá di Tekoha Takuara  scelto dalla sua gente, il ramo più vessato del grande popolo Guarani, per una “missione” europea che pareva quasi impossibile. I suoi esiti dipenderanno dalla determinazione che la rete di solidarietà in Europa saprà mettere in campo

foto: www.socioambiental.org

Da quando si hanno notizie di loro
i guarani cercano la
“terra senza peccato”
dove è possibile vivere felici …

Il 24 marzo scorso Ládio Veron Cavalheiro, cacique del villaggio guarani-kaiowá di Tekoha Takuara, è a Salonicco, in Grecia, il secondo dei sette paesi della sua missione europea decisa dalla Ati Guaçu, la Grande Assemblea generale di questo popolo, una sub-etnia della grande famiglia dei Guarani. Il viaggio è stato organizzato in gran segreto, in collaborazione con varie organizzazioni europee all’uopo coinvolte. pistoleros dei fazendeiros, mai sazi di terre altrui, lo stanno cercando per ucciderlo, come già nel 2003 avevano ucciso il caciqueMarcos, suo padre, di fronte alla famiglia. Così Ládio, il cui nome indigeno è Avã Taperendi, ha dovuto vivere in clandestinità i mesi della preparazione della missione in Europa, di cui è stata data notizia solo quando era ormai in volo verso l’Europa.

Nell’apprendere la notizia, tuttavia, la reazione dei fazendeiros brasiliani del Mato Grosso do Sul non si è fatta attendere. E’ a Salonicco che a Ládio è giunta la raggelante notizia: lo stesso giorno del suo arrivo in Grecia due elicotteri hanno sorvolato a lungo il villaggio dove vive la sua famiglia, prima di far scendere a terra uomini mascherati e armati che hanno affidato a una giovane indigena incontrata le precise minacce del compimento di una strage da trasmettere agli abitanti. Takuara, come la maggioranza delle aldee (villaggi, ndr) kaiowá, è molto distante dai centri di comunicazione e le notizie pervenute, frammentarie e vaghe, fanno temere il peggio. Passeranno 24 lunghe ore prima che ne giungano di più precise. Gli elicotteri sono stati identificati come appartenenti all’esercito, che ha giustificato l’azione come una ordinaria “esercitazione”. Ma così non è, perché le esercitazioni militari non sono ammesse per legge nei territori indigeni, se non comunicate in anticipo e ben motivate. Difficile non leggere il fatto come una risposta dei fazendeiros alla notizia del viaggio di Ládio: le complicità sono nel cuore stesso dello Stato.

Ladio Veron

Perché il viaggio in Europa

Gli obiettivi, già comunicati durante la preparazione ai partner europei, vengono ribaditi in una improvvisata conferenza stampa di Ládio, subito dopo aver chiarito il preoccupante episodio. “Sono in Europa come portavoce eletto nella Aty Guasu (Grande Assemblea Guarani-Kaiowá) nel febbraio di quest’anno. La mia missione è rappresentare il Popolo Guarani Kaiowá per:
• Denunciare l’indegna situazione alla quale siamo sottoposti ormai da decenni, in funzione del crescente potere dell’agroindustria e della partecipazione di quei gruppi capitalisti all’attivazione di politiche dello Stato nocive per l’ambiente e nemiche del popolo Guarani-Kaiowá, così come dei popoli indigeni in generale;
• Denunciare il progetto di privatizzazione dell’Acquifero Guarani e le sue terribili conseguenze;
• Consolidare una rete di sostegno internazionale capace di rafforzare la nostra resistenza.”

C’è però anche un obiettivo “tecnico” molto concreto: la creazione di una rete di comunicazione via radio fra le comunità, distanti fra loro anche centinaia di chilometri, e renderle così meno vulnerabili alle aggressioni.

La mossa dello Stato brasiliano

Nel Congresso, a Brasilia, i rappresentanti dei latifondisti occupano molti scranni (la cosiddetta bancada ruralista conta 207 deputati su 594, distribuiti nei vari partiti) ed è lì che il governo Temer – in carica dopo il golpe giudiziario che ha esautorato la presidente eletta Dilma Roussef – ha presentato una proposta di emendamento della Costituzione del 1978. E se i governi precedenti erano stati largamente inadempienti verso gli impegni in essa contenuti, quello attuale propone addirittura una drastica riduzione – dal 13 al 2,6% del territorio nazionale – delle terre teoricamente assegnate alle 240 tribù esistenti nel paese, circa 900mila persone in totale. Nel caso dei kaiowá, questi occupano meno dello 0,2% del territorio del Mato Grosso do Sul, dove vive la maggioranza dei suoi circa 30mila componenti. Inoltre l’attuale governo sta riducendo le postazioni della FUNAI, la Fondazione Nazionale dell’Indio, l’organismo governativo preposto alle politiche riguardanti i popoli indigeni.
La “demarcazione”, cioè la definizione dei confini delle terre indigene, è il grande problema di questi popoli. Avere i propri territori “demarcati” significa sentirsi più sicuri, poter lottare per una educazione differenziata, per organizzare la propria partecipazione politica, garantire proprie politiche per la salute, l’abitazione e l’alimentazione. In sintesi, mantenere la propria identità. Doveva essere realizzata entro 5 anni dall’entrata in vigore della Costituzione e invece la “demarcazione” arranca tuttora con oltre tre decenni di ritardo.

Foto Survival/Radio Popolare

Per questo il 25 dello scorso aprile oltre tremila indigeni delle varie etnie hanno manifestato a Brasilia di fronte al Congresso. Portavano centinaia di bare, simbolo di un lento genocidio, e reclamavano la restituzione delle loro terre.

Foto Radio Popolare

I riflessi degli interessi economici si proiettano anche in Europa, dato che l’Unione Europea è il principale importatore di merci brasiliane e finanzia vari progetti di aiuto nel paese. Ce n’è uno, per un valore annuo di 701.187 euro, destinato proprio ai kaiowá, riconosciuti come l’etnia indigena più vessata del paese. Due buone ragioni per aumentare le (attualmente molto deboli) pressioni sul governo brasiliano. Secondo i dati del CIMI, si è passati dai 221 casi di violazione dei territori indigeni del 2014 ai 725 del 2015, anno in cui in tutto il paese gli indigeni uccisi sono stati 137. Sempre due anni fa, contro le comunità kaiowá si sono registati almeno 10 attacchi di paramilitari (i pistoleros) e 36 uccisioni, oltre a varie altre forme di violenza “minore”, fra le quali lo stupro. Quasi tutte le aggressioni hanno avuto per oggetto l’estensione illegale dei territori destinati alla monocoltura della soia, attività che comporta l’avvelenamento delle acque causato dal diserbante glifosato, oltre alla distruzione di foreste da trasformare in terra coltivabile.

http://www.fian.org

Allora decretate una volta per tutte la nostra estinzione!

Il profondo legame dei popoli indigeni con la Madre Terra è alla base del crescente numero di suicidi che si verifica nelle comunità indigene aggredite e cacciate dai loro territori. E’ in aumento soprattutto fra i giovani. Fra i guarani-kaiowá, dotati di una profonda spiritualità e di un forte legame col territorio, i suicidi sono particolarmente frequenti: ben 45 nel 2015, quasi uno a settimana.Così, dopo aver ricevuto la notizia che la Giustizia Federale aveva decretato l’espulsione dal suo territorio, una comunità del Municipio di Iguatemi, composta da 170 persone, 50 uomini, 50 donne e 70 bambine/i, ha mandato una lettera: “Chiediamo al Governo e alla Giustizia Federale che non emetta l’ordine di espulsione. Piuttosto decreti la nostra morte collettiva e la nostra sepoltura in questo luogo. Chiediamo, una volta per tutte, di decretare la nostra estinzione/decimazione totale. Mandate i trattori per scavare una grande fossa per seppellire qui i nostri corpi. Questa è la nostra richiesta ai giudici federali.”

foto: facebook Cronica de la tierra sin mal

Una volta cacciati con la forza dai loro territori, i kaiowá,“uomini della foresta”, non se ne allontanano, perché hanno nel cuore la speranza di tornarvi un giorno e perciò si accampano sui bordi della strada più prossima, sotto ripari di lona preta, la plastica nera riciclata che da noi serve per i sacchi dell’immondizia,. E lì stanno, a volte per anni, sognando di trovare un giorno la tierra sin mal, quella dei loro miti.

Avvenne una notte di Natale, quando un leader del popolo guaraní-kaiowá cercò di rientrare nelle terre da cui erano stati espulsi da alcuni giorni. Voleva raccogliere alcune verdure nel suo orto per dar da mangiare alla famiglia e questo disse al pistolero che custodiva l’entrata dell’azienda agricola e che non esitò a ucciderlo a fucilate nel momento in cui varcò la soglia. Il leader indigeno era accompagnato da suo figlio, che non poté più dormire terrorizzato dal ricordo. Attese 15 giorni prima di impiccarsi a un albero. Aveva solo 12 anni.” da Brasil: Guaraní, el pueblo que muere sin sus tierras
“L’organizzazione di difesa dei diritti indigeni, Survival International, descrive così questa sofferenza nel libro Somos Uno: “Il più giovane dei guarani brasiliani che si sono suicidati aveva solo nove anni. Negli ultimi cento anni, il suo popolo, uno dei primi a entrare in contatto con gli stranieri, ha perso praticamente la totalità della sua terra. Oggi, vivono ammucchiati circondati da enormi piantagioni di canna da zucchero, mentre altri si accampano sotto ripari di plastica nera in piccole fosse polverose ai lati delle strade”

L’acquifero Gurani. Il diavolo, le pentole e i coperchi

Fra i tre obiettivi del viaggio di Ládio è citata la difesa del Sistema Acquifero Guarani (SAG), il secondo bacino acquifero più grande del mondo che occupa un’area di 1.195.700 kmq (70% su territorio brasiliano, 19% su quello argentino e il restante 11% paraguaiano e uruguaiano). La sua capacità di rifornimento annuo sarebbe sufficiente per 360 milioni di persone, avendo una capacità di ricarica fra 160 e 250 Km3 annui. Secondo le Nazioni Unite, potrebbe soddisfare fra il 14 e il 21% della domanda mondiale dell’acqua prevista per l’industria nel 2025. Proprio in questi giorni, il governo brasiliano ha parlato della sua possibile privatizzazione. Ricordo che al tempo della presidenza di Bush padre, si parlò di come grandi estensioni di questo territorio entrassero a far parte del suo patrimonio … Dal canto suo, già da quel tempo il Pentagono ha completato la mappatura dettagliata dell’acquifero e ha istallato una base militare dal lato paraguaiano. Ma un’altra minaccia ne sovrasta l’integrità: il progressivo inquinamento da pesticidi, dovuto alla più estesa coltivazione di soia del mondo concentrata proprio nella regione. Una coltivazione che ha causato anche l’alterazione della falda acquifera, ragione delle disastrose inondazioni degli ultimi mesi in tutta la regione che però hanno devastato pure la soia. Sarà vero che il diavolo insegna a far le pentole ma non i coperchi?

Iguaçu: le grandi acque

Il richiamo di Ládio all’acquifero Guarani mi porta alla memoria un ormai lontano contatto con una piccola tribù di guarani – 150 persone circa, fra vecchi, adulti e bambini – cui la ricchezza di acque del territorio non aveva portato fortuna. Nel 1997 intrapresi con un amico un tortuoso giro di circa 10mila kilometri zigzagando attraverso l’America latina (ancora mi ostino a sperare che un giorno sarà chiamata indio-latina) per incontrare alcuni concittadini lucchesi missionari o cooperanti. La prima tappa fu proprio Foz do Iguaçu, ovvero “sbocco (Foz) delle grandi acque (Iguaçu)”, località famosa per il tumultuoso spettacolo naturale originato da 275 cascate che si snodano lungo circa sette kilometri rovesciando da un salto di oltre 60 metri circa 1.700 metri cubici di acqua al secondo. Lì, ai margini della favela di Boa Esperança (ironia dei nomi), all’epoca viveva Fratel Arturo Paoli, piccolo fratello della Congregazione di Charles de Foucauld.

La straordinaria ricchezza di acque e la favorevole configurazione geologica della regione aveva fatto sì che negli anni ottanta del secolo scorso, poco distante da Foz, venisse costruita la grande centrale idroelettrica di Itaipù, allora la più grande del mondo per energia elettrica prodotta, col suo lago artificiale di 1400 kmq di superficie. Un vero prodigio tecnico, ma con un rovescio della medaglia drammatico: interi villaggi scomparsi, 8.500 famiglie cacciate, 700 kmq di foresta pluviale inondati, migliaia di specie animali scomparse per sempre, 145 persone morte durante i lavori.

Fratel Arturo era un po’ un parafulmine per le situazioni umane più drammatiche. Con gli aiuti degli amici italiani aveva creato, fra l’altro, due fattorie modello con alcune mucche che ogni mattina fornivano il latte per i più piccoli della favela. Una tribù guarani, composta da circa 150 persone, sloggiata dalle acque del nuovo grande lago, vagava da anni nella zona alla ricerca di un insediamento che il governo non aveva provveduto a fornire né a loro né a molti altri. Ovunque la tribù si fermasse, poco dopo veniva cacciata. Fratel Arturo si manteneva informato sui loro spostamenti per potere inviare loro, di tanto in tanto, qualche aiuto. Sostenne per anni gli studi in città di due giovani indicati dalla tribù, che rientravano nelle vacanze e per tornare definitivamente al servizio della comunità dopo il diploma. Noleggiammo un fuoristrada, lo caricammo di viveri e andammo con Paoli alla ricerca della tribù, che infine rintracciammo.

Nella mia mente tecnocratizzata di ingegnere cominciavo allora a comprendere il volto disumano delle grandi opere e il privilegio dello studio come servizio alla collettività e non come pista di lancio per il successo individuale. Quel consistente nucleo di vecchi, adulti e bambini, fortemente uniti nella lotta per la sopravvivenza, fu per me un esempio finalmente concreto, e commovente, di cosa sia una comunità. Anni dopo, da un funzionario del CIMI, venni a sapere che ancora vagavano alla ricerca di un territorio. L’indio non vuole un territorio, ha bisogno del suo territorio, quello dove è nato, che custodisce le tombe degli antenati, dei luoghi a lui sacri, delle foreste che a lui parlano, di cui conosce ogni mistero, del quale è parte integrale. Per questo Ládio è venuto in Europa, cercando fratelli che aiutino il suo popolo a mantenerne almeno una parte, una parte sufficiente per far vivere il corpo e lo spirito.

Ladio Veron, Survival

Per finire

Nella mia casa sulle colline lucchesi, sicura e confortevole, smisuratamente lontana dalla sua aldea e dalle sue foreste, ho ascoltato dalla viva voce di Ládio, Avã Taperendi, la cruciale e tragica congiuntura in cui i kaiowá vivono. La posta in gioco nella missione da lui ricevuta era la vita, la sua e quella dei suoi cari, quella della sua gente, che ha riposto in lui la speranza. Mentre parlava, ho scrutato a lungo il suo volto. Cosa deve provare, mi chiedevo, un uomo consapevole che la vita del suo popolo è ora nelle sue mani? Cosa penserà davvero di questa sua missione fra gente fino a ieri sconosciuta e lontana? Quanti amici troverà, mi chiedevo, e quanto essi sapranno rispondere, da persona a persona, alla sua drammatica chiamata alla fratellanza?

Chi pensa di potersi unire in qualche modo alle azioni che si stanno intraprendendo, può iscriversi alla mailing list [email protected] contattando [email protected]

Chi volesse conoscere di più la situazione del popolo guarani-kaiow, può guardare il film La terra degli uomini rossi, nel quale il regista argentino Marco Bechis ha narrato (2008) con sensibilità e in modo non convenzionale una vicenda vera del popolo kaiowá. Il protagonista del film, Ambrosio, è stato assassinato nel 2013. Qui trovate la versione italiana su you tube.

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