Generali Usa: la Bomba per la pace
L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci
Due giorni prima del test missilistico nord-coreano che ha fatto suonare l’allarme nucleare in tutto il mondo, è apparso sulla rivista on line Politico (12 maggio) un articolo intitolato «Perché gli Usa fanno bene a investire nelle armi nucleari». Non a firma di un opinionista, ma dei due generali che sono al comando dei tre quarti delle forze nucleari statunitensi: il capo di stato maggiore dell’Aeronautica, Dave Goldfein, e il capo del Comando aereo per l’attacco globale, Robin Rand.
Essi affermano che, «nonostante possa sembrare illogico, le armi nucleari sono uno strumento fondamentale della pace mondiale». Lo dimostra secondo loro il fatto che, da quando è iniziata l’era nucleare, non vi sono più state grandi guerre. È per questo essenziale, sostengono, che i nostri bombardieri e missili nucleari siano mantenuti in piena efficienza.
Oggi gli Stati uniti devono procedere all’upgrade delle proprie forze nucleari, poiché hanno di fronte «potenziali avversari che stanno aggressivamente modernizzando ed espandendo le loro forze nucleari e che vogliono sempre più imporsi». I generali nominano «le aperte minacce della Corea del Nord», ma è chiaro il loro riferimento implicito a Russia e Cina.
«I nostri potenziali nemici – avvertono con tono minaccioso – devono sapere che la nostra direzione nazionale prenderà sempre le dure decisioni necessarie a proteggere e assicurare la sopravvivenza del popolo americano e dei suoi alleati», ossia che è pronta a combattere la terza guerra mondiale, quella nucleare, a cui in realtà nessuno sopravviverebbe.
Rivolgono quindi una perentoria richiesta all’amministrazione Trump: «Gli Stati uniti devono mantenere l’impegno a ricapitalizzare le nostre forze nucleari».
L’impegno cui si riferiscono non è stato preso dal bellicoso Trump, ma dal Premio Nobel per la Pace Obama insignito nel 2009 per «la sua visione di un mondo libero dalle armi nucleari e il lavoro da lui svolto in tal senso». È stata l’amministrazione Obama a varare il maggiore programma di riarmo nucleare dalla fine della guerra fredda, del costo di circa 1000 miliardi di dollari, che prevede la costruzione di 12 nuovi sottomarini da attacco nucleare (ciascuno con 24 missili in grado di lanciare fin quasi 200 testate nucleari), altri 100 bombardieri strategici (ciascuno armato di circa 20 missili o bombe nucleari) e 400 missili balistici intercontinentali con base a terra (ciascuno con una potente testata nucleare).
È stata avviata allo stesso tempo con rivoluzionarie tecnologie la modernizzazione delle attuali forze nucleari che – documenta Hans Kristensen della Federazione degli scienziati americani (Bulletin of Atomic Scientists, 1 marzo 2017) – «triplica la potenza distruttiva degli esistenti missili balistici Usa», come se si stesse pianificando di avere «la capacità di combattere e vincere una guerra nucleare disarmando i nemici con un first strike di sorpresa».
Capacità che comprende anche lo «scudo anti-missili» per neutralizzare la rappresaglia nemica, tipo quello schierato dagli Usa in Europa contro la Russia e in Corea del Sud contro la Cina. Si sta di conseguenza accelerando la corsa agli armamenti nucleari.
Significativa la decisione russa di schierare nel 2018 un nuovo missile balistico intercontinentale, RS-28 Sarmat, con raggio fino a 18000 km, capace di trasportare 10-15 testate nucleari che, rientrando nell’atmosfera a velocità ipersonica (oltre 10 volte quella del suono), manovrano per sfuggire ai missili intercettori forando lo «scudo». Possiamo però dormire sonni tranquilli, fiduciosi che «le armi nucleari sono uno strumento fondamentale della pace mondiale».
il manifesto, 16.05.2017
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