Bando alle atomiche: l’impegno delle Nazioni unite, assente l’Italia

Angelo Baracca

Non è certo possibile sintetizzare i momenti salienti di una settimana di lavori della storica conferenza indetta dall’Onu per negoziare la messa al bando delle armi nucleari, aperti lunedì scorso dalla Presidente della Conferenza, l’Ambasciatore Elyane Whyte della Costa Rica.
Emozionante è stato l’intervento della hibakusha (sopravvissuta di Hiroshima) Setsuko Thurlow, “nessun essere umano dovrebbe mai sperimentare la disumanità e le indicibili sofferenze delle armi nucleari”.

Grande risonanza a livello internazionale ha avuto la lettera di papa Francesco, “L’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida sia un imperativo morale e umanitario… Desidero incoraggiarvi a lavorare con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari”.

Oltre 3.000 scienziati (tra cui i Nobel per la fisica Hawkings e Higgs) hanno scritto una lettera in cui si sottolinea che “Come scienziati abbiamo una responsabilità specifica, visto che sono stati degli scienziati a inventarle e a scoprire che i loro effetti erano molto più orribili di quanto si pensasse all’inizio. Singole esplosioni possono cancellare intere città, le radiazioni possono contaminare intere regioni e un impulso elettromagnetico di alta quota può mandare in tilt le reti elettriche e i dispositivi elettronici di un continente. Il rischio più terribile è un inverno nucleare, in cui gli incendi e i fumi di un migliaio di esplosioni potrebbero oscurare l’atmosfera al punto da scatenare una mini era glaciale con conseguenze apocalittiche e la potenziale possibilità di uccidere la maggior parte degli abitanti della Terra”.

Questi negoziati erano stati indetti il 23 dicembre scorso da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, presentata da un nucleo di sei nazioni (Austria, Brasile, Irlanda, Messico, Nigeria e Sudafrica), che ottenne il voto favorevole di 113 paesi. Gli Stati nucleari si erano opposti radicalmente a questo processo, una lettera circolare degli Stati uniti il 17 ottobre 2016 aveva “fortemente incoraggiato” gli alleati a “votare No a qualunque votazione del comitato dell’Onu per la messa al bando delle armi nucleari”. L’ambasciatore statunitense all’Onu con i rappresentanti di Francia e Regno Unito hanno tenuto una conferenza stampa in contemporanea con la seduta inaugurale: “Il divieto immediato è incompatibile con l’approccio progressivo al disarmo nucleare previsto dall’articolo VI del Trattato di non-proliferazione (Tnp)”, ha detto la rappresentanza permanente della Francia.

Il fatto è che l’Articolo VI del Tnp del 1970 impegnava espressamente gli stati firmatari a negoziare strumenti legali per arrivare al disarmo nucleare e generale, ma in quasi 50 anni gli stati nucleari non hanno mai ottemperato a questo impegno: al contrario, stanno portando avanti programmi per i prossimi decenni per centinaia di miliardi per ammodernarle e renderle più micidiali. L’amministrazione Trump progetta un rafforzamento dell’arsenale Usa, e il rischio di guerra nucleare è il più alto dagli anni Cinquanta. È quindi chiaro che un nuovo trattato che metta al bando le armi nucleari non indebolirà assolutamente il Tnp, ma lo rafforzerà per realizzare le sue finalità.

Questa sessione, a cui hanno partecipato 132 paesi, ha registrato una sostanziale e insperata convergenza di posizioni. Un fatto innovativo è stata la partecipazione attiva della società civile (organizzata in Ican, che coalizza le reti storiche del pacifismo e della nonviolenza), che concretizza la speranza di una democrazia internazionale. In maggio verrà redatta una prima bozza di trattato, che verrà discussa nella seconda sessione di luglio. Vi sono in sostanza due tendenze, un trattato che enunci dei principi (e che ovviamente raccoglierebbe maggiori consensi), o che condanni il possesso, lo sviluppo, l’uso e la minaccia delle armi nucleari nonché l’ausilio ad altri paesi per questo fine, che entri a far parte del diritto internazionale, come chiede Ican, sia collegato ad una più complessa architettura di disarmo.

L’Italia non ha partecipato ai lavori, ma dovremo esercitare la massima pressione sul governo perché partecipi alla prossima sessione.


il manifesto, 


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