Creare anticorpi per il pregiudizio: il ruolo della peer education

Eleonora Ceccaldi

Il Centro Studi Sereno Regis ha avviato un progetto dal titolo “Fuori dalla rete dell’odio: ricerca, educazione, media attivismo”, il cui obiettivo è contrastare la normalizzazione dei discorsi d’odio online. Tra gli strumenti del progetto vi è la formazione degli adolescenti a un approccio sensibile ai diritti umani, che li aiuti a costruire “anticorpi” alla violenza sul web.

Secondo la definizione del No Hate Speech Movement del Consiglio d’Europa, con hate speech si indicano “tutte le forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di odio basate sull’intolleranza”. Le espressioni di odio, ed il loro diffondersi, hanno spesso radice e terreno fertile nel pregiudizio su una particolare categoria, inteso come giudizio a priori, conoscenza presunta in assenza di un reale incontro. Date queste premesse, è chiaro come una formazione che si propone di contrastare l’odio (compreso quello virtuale) non possa che focalizzarsi sull’ abbattimento dei pregiudizi e degli stereotipi.

La formazione prevista dal progetto si basa sull’ educazione peer to peer e coinvolge ragazzi di età compresa tra 16 e 18 anni, che, guidati dai volontari del progetto, impareranno a progettare e gestire incontri di educazione non formale rivolti a loro compagni di scuola più giovani. Poiché finalizzata a rendere i social network (nei quali i giovani sono molto coinvolti) un terreno poco fertile per l’hate speech, la formazione dei peer si è concentrata sull’ abbattimento dei pregiudizi.

Facendo un passo indietro alle caratteristiche del pregiudizio, si identificano tre punti chiave:

  1. il pregiudizio riconduce una persona alla categoria a cui si ritiene essa appartenga, trascurando la dimensione individuale

  2. il pregiudizio spesso si basa su una scarsa empatia verso coloro a cui è riferito

  3. il pregiudizio si basa su informazioni scientificamente scorrette e/o inesatte.

Gli anticorpi al pregiudizio vanno pertanto costruiti partendo dalla sua natura: va riportata l’attenzione al singolo, all’individualità e alla specificità di ognuno, tentando di comprendere l’altro nella sua storia e nel suo vissuto e basando i propri giudizi su informazioni corrette e verificabili, piuttosto che su un mero “sentito dire”.

Partendo da questa premessa, il percorso di peer education si basa sul fornire agli studenti gli strumenti per abbattere il pregiudizio nei suoi tre pilastri: la capacità di andare oltre la categoria, attraverso lo strumento del contatto, lo sviluppo di un maggiore senso di empatia, l’attenzione nella scelta delle fonti di informazione.

I tre punti saranno introdotti in modo generale per essere poi esemplificati da un’attività tra quelle svolte con i partecipanti al progetto.

Contrastare il pregiudizio con il contatto

Il pregiudizio trova terreno fertile nel suo riferirsi ad un gruppo, tralasciando la dimensione individuale. Si parla così degli stranieri, dei rom, dei musulmani, non di persone specifiche. Un buon antidoto al pregiudizio è il riportare l’attenzione alla dimensione della persona, invitando a riflettere che, giudicando una categoria, giudichiamo persone reali, non entità astratte.

biblioteca-viventeUna buona pratica di contatto è l’organizzazione di “biblioteche viventi”, occasioni in cui i partecipanti possono “sfogliare” una persona (un volontario adeguatamente formato) come fosse un libro, “leggendo” cosa significa appartenere ad una determinata categoria, che il volontario acconsente a rappresentare.

Diverse organizzazioni si occupano di Biblioteche Viventi; tuttavia sono uno strumento poco utilizzabile per attività nelle classi, motivo per cui questo tema non sarà approfondito.

Esistono però altre modalità di contatto che possono essere efficaci in percorsi di prevenzione del pregiudizio, tra cui la testimonianza. Con “testimonianza” si intende un incontro tra la classe ed una persona che si identifica come rappresentante di un determinato gruppo spesso oggetto di stereotipi e pregiudizi, che porta alla classe la sua esperienza, con l’obiettivo di sostituire un’immagine astratta (ad esempio: gli omosessuali) con una persona reale (Matteo, 25 anni, studente di Giurisprudenza con la passione per il Cinema ed i capelli sempre spettinati).

Contrastare il pregiudizio con l’empatia

In psicologia, con il termine empatia si intende la capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. Ridurre una persona alla sua categoria (e, più precisamente, ad un’immagine stereotipata di essa) rende molto più difficile empatizzare. Un percorso formativo che si propone di contrastare il pregiudizio può e deve passare anche attraverso l’empatia. Il pregiudizio si basa sulla distinzione tra un noi e un loro; l’empatia è in grado di dissolvere questa distinzione. Mettersi nei panni dell’altro permette di percepirlo come persona, di immaginare se stessi nella sua situazione, di porsi in un’ottica meno giudicante.

Non è semplice, né sempre possibile, mettersi nei panni degli altri. Tuttavia è possibile organizzare attività che richiedono di immaginarsi una vita diversa dalla propria, come i Giochi di Ruolo.

L’attività denominata Bafa-bafa, contenuta nel manuale del progetto Bricks contro l’Hate Speech Online (http://www.bricks-project.eu) si propone di “dare un assaggio” dell’esperienza della migrazione, e può essere un ottimo strumento per aiutare il gruppo a mettersi nei panni dello “straniero”. In breve, l’attività è così strutturata: una volta divisi i partecipanti in due gruppi, chiamati nazione Alfa e nazione Beta, si istruisce ciascun gruppo sulle caratteristiche della propria nazione-regole sociali, lingua ufficiale, usi e costumi, ciò che è ritenuto socialmente accettabile e ciò che è condannato-, mentre quelle dell’ altra nazione dovranno essere mantenute segrete . Successivamente si dà ai partecipanti la possibilità di visitare l’altra nazione (cioè di migrare). Il facilitatore che conduce il gioco permetterà inizialmente ad solo un partecipante per volta di visitare l’altra nazione. Il viaggiatore si troverà quindi in un luogo dove (come stabilito dalle regole spiegate ad inizio attività che, come sappiamo, sono segrete per l’altra squadra) la lingua parlata è diversa dalla sua, vi sono usi e costumi diversi e vigono regole sociali differenti. Solo successivamente sarà data ad altri viaggiatori la possibilità di raggiungere il connazionale espatriato. Durante il gioco, il facilitatore darà la possibilità ai viaggiatori di tornare a casa, ma sono in alcuni momenti (ad esempio se deciderà di aprire le frontiere) e solo se essi risponderanno ad alcuni requisiti (come avere una certa somma di denaro a disposizione).

Una volta concluso il gioco di ruolo, i partecipanti, guidati dal facilitatore, saranno invitati a riflettere sull’esperienza appena conclusa, su quale emozioni hanno provato trovandosi in mezzo ad “estranei” che faticavano a comprendere e dai quali era difficile farsi capire. Inoltre, il facilitatore dovrà dirigere l’attenzione verso le dinamiche che si saranno instaurate durante l’attività, evidenziando analogie con quelle che si verificano nella vita quotidiana. Ad esempio, i viaggiatori tendevano ad isolarsi? Quando vi erano più viaggiatori provenienti dalla stessa nazione, tendevano a interagire solo con i loro connazionali? Che effetto ha avuto, sui partecipanti, trovare le frontiere chiuse?

Contrastare il pregiudizio attraverso un’informazione corretta

La cattiva informazione, inaccurata nel migliore dei casi e volutamente falsa e mistificatrice nel peggiore, guadagna sempre più spazio sul web grazie alla grande libertà che la struttura stessa della rete permette. Inoltre le nuove generazioni, cosiddette “native digitali”, trascorrono molto tempo su Internet e spesso lo assumono come principale fonte informativa, sull’onda del mito secondo cui quotidiani e televisione trasmettono una conoscenza manipolata e schiava di governi e poteri forti, mentre su Internet si trova l’informazione libera e veritiera. Sono molti i soggetti che approfittano dell’ingenuità degli utenti e delle libertà offerte dalla rete per creare veri e propri canali da cui diffondono notizie false o assemblate in modo da creare narrazioni fuorvianti. In questo modo, oltre ad ottenere profitti grazie ai click, riescono ad influenzare una parte dell’opinione pubblica, confermando stereotipi e pregiudizi esistenti o creandone di nuovi.

Diventa sempre più urgente un’opera di educazione e alfabetizzazione digitale seria, che insegni ai giovani – e meno giovani – a navigare in rete con consapevolezza e senso critico, dotati di strumenti utili a muoversi nel mare di contenuti e stimoli senza cadere in facili trappole. Sarebbe impossibile fornire una lista completa di tutti i siti che diffondono bufale o fanno un’informazione imprecisa, faziosa o pseudo-scientifica, ma è possibile fornire ai giovani alcuni strumenti guida per orientarsi tra i contenuti che si incontrano quotidianamente anche solo scorrendo la propria bacheca Facebook o Twitter.

Esistono, ad esempio, siti che forniscono elenchi simili, seppur parziali, o che controbattono alle notizie false con informazioni attendibili. Importante anche imparare, con una buona dose di allenamento, a fidarsi solo di notizie che riportano una fonte, e a riconoscere a colpo d’occhio una fonte attendibile da una mediocre.

http://www.butac.it/

http://www.chiedileprove.it/story/29

http://www.facebook.com/scienziatisquilibrati/?fref=ts

http://www.wired.it/scienza/medicina/2017/01/03/burioni-scienza-facebook-intervista/

Ma, seguendo la logica per cui se si dà un pesce ad un uomo egli mangerà una volta ma se gli si insegna a pescare egli si nutrirà per tutta la vita, è importante che la formazione tratti quello che si può, in generale, definire metodo scientifico. Non si tratta tanto di indicare (o di aiutare a riconoscere) cosa sia vero e cosa sia falso; anche le verità scientifiche più accreditate potranno un giorno essere disconfermate. Non si tratta quindi di insegnare a riconoscere cosa è vero, ma cosa è valido (in questo momento storico e secondo le conoscenze scientifiche attuali). Una bufala, così come una pseudoscienza, non enuncia necessariamente il falso, ma enuncia un vero non dimostrabile sul quale, dunque, è poco corretto fare affidamento.

chiedi le proveLe bufale (che siano a sfondo scientifico o meno) hanno alcuni ingredienti fondamentali, dal fatto di presentare contenuti pubblicati da nessuna rivista scientifica alla pretesa di enunciare verità universali, dall’utilizzo di termini generici e non scientifici alla confusione tra correlazione e causalità. Proprio la loro natura “a puzzle” rende le bufale un argomento facilmente affrontabile attraverso giochi e attività.

La rappresentazione schematica del progetto “Chiedi le prove” mostra come la logica alla base del progetto si presti ad essere utilizzata per attività di gioco nelle classi, ad esempio creando una sorta di percorso durante il quale si chiede ai ragazzi di simulare la condivisione di una notizia, passando attraverso gli step indicati nella figura.

In generale, la già menzionata composizione a puzzle della “bufala perfetta” rende possibile progettare giochi che aiutino ad evidenziarne gli elementi principali, con lo scopo di imparare a riconoscere questo tipo di comunicazione anche a casa, ad attività terminata.

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