Come rovesciare un tiranno (con mezzi pacifici) | Tina Rosemberg


Diversi anni fa, prima che il loro movimento fosse corrotto dalla violenza, un gruppo di giovani siriani intenzionati a far cadere il regime di Bashar al-Assad trascorse una settimana in un resort isolato fuori dai confini della Siria per partecipare a un workshop sulla rivoluzione.

120929_popovic_djinovic_580x300I formatori erano Srdja Popovic e Slobodan Djinovic – due leader di Otpor, un movimento studentesco serbo che ha giocato un ruolo chiave della destituzione di Slobodan Milosevic nel 2000. Dopo aver contribuito al successo dei movimenti per la democrazia in Georgia e in Ucraina, i due hanno fondato CANVASCenter for Applied Nonviolent Action and Strategies1 e hanno girato il mondo insegnando i metodi di Otpor ad attivisti di 46 diversi Paesi.

Il pensiero dello studioso statunitense Gene Sharp – il Clausewitz dei movimenti nonviolenti – è la base su cui questi due serbi poggiano il loro lavoro, sviluppando e perfezionando poi quelle idee con un approccio innovativo. Nel suo nuovo libro Blueprint for Revolution2 Popovic presenta le strategie di CANVAS e racconta come vengono messe in atto.

“Blueprint” (in italiano “cianografia”, “piano”, “progetto architettonico”) è un termine po’ troppo tecnico per essere divertente, ma non è affatto esagerato. Il metodo e la firma di Otpor – un pugno chiuso stilizzato – sono stati adottati in ogni parte del mondo da movimenti per la democrazia. L’opposizione in Egitto li ha usati per rovesciare Hosni Mubarak. In Libano, i serbi hanno aiutato la Rivoluzione dei Cedri a liberare il Paese dal controllo della Siria. Nelle Maldive i loro metodi sono stati centrali nella destituzione di un dittatore al potere da più di 30 anni. In molti altri Paesi le strategie messe a punto da CANVAS sono state usate per perseguire altri obiettivi politici, dalla lotta alla corruzione fino alle campagne ambientaliste.

Ho incontrato Popovic e Djinovic a Belgrado cinque anni fa e ne ho scritto in un libro3, per poi ritrovarli più tardi in una città asiatica a formare attivisti birmani per la democrazia4.

Ho vissuto sotto due dittature e ho visto decine di movimenti per la democrazia, ma questi ragazzi serbi, mi sono detta, stanno facendo qualcosa di nuovo. Con una risata Popovic smonta, una ad una, quasi tutte le idee che la maggior parte della gente ha riguardo alle lotte nonviolente. Eccone alcune:

Mito: nonviolenza è sinonimo di passività.

Falso. Una lotta nonviolenta è una campagna strategica volta a costringere un dittatore a cedere il suo potere privandolo del supporto necessario.

All’inizio del workshop con gli attivisti siriani, alcuni partecipanti sono convinti che la violenza sia l’unico modo per battere Assad. In tutti gli incontri emerge questa convinzione, anche perché alcune persone pensano che i serbi siano lì per insegnare loro a meditare e assumere espressioni di beatitudine. Popovic allora dice ad alta voce quello che molti stanno pensando, e piagnucola: “Quindi voi chiedete semplicemente ad Assad di andarsene? Per favore, signor Assad, potrebbe smetterla di essere un assassino? No, non è un granché.”

Al contrario, dice Djinovic: “Siamo qui per preparare una guerra.” La lotta nonviolenta, spiega, è una guerra – solo, si combatte con mezzi diversi dalle armi. Ma deve essere pianificata con la stessa cura di una campagna militare.

Durante la settimana i serbi insegnano ai siriani le tecniche che hanno sviluppato per rovesciare il potere. Come trasformare una manciata di attivisti in un movimento di migliaia e migliaia di persone? Come trascinare dalla vostra parte quei gruppi che ora sostengono il dittatore? Come portare avanti questa guerra in sicurezza, quando un semplice assembramento può voler dire carcere, tortura o morte? Come riuscire a far breccia nella paura della gente e convincerla a scendere in strada?

Mito: i migliori movimenti nonviolenti sono quelli che nascono e crescono spontaneamente.

Nessun generale affiderebbe una campagna militare al caso. Una guerra nonviolenta non è diversa.

Mito: la strategia principale delle lotte nonviolente consiste nel concentrare grandi masse di persone.

È un’idea diffusa, perché le grandi proteste sono come la punta di un iceberg: l’unica cosa che si vede da lontano. La cacciata di Mubarak è sembrata partire da una manifestazione spontanea che ha occupato piazza Tahrir? In realtà quell’occupazione è stata frutto di due anni di accurata pianificazione. L’opposizione egiziana ha saputo attendere di avere i numeri dalla sua parte. Le proteste di massa non sono l’inizio di un movimento, scrive Popovic, ma il suo giro d’onore.

Nelle dittature più estreme aggregare persone in marce o manifestazioni è pericoloso: quelli che ti supportano verranno arrestati o uccisi. Ma è rischioso anche per altre ragioni: una protesta che raccoglie pochi partecipanti è un vero disastro. È anche possibile che la protesta parta nel migliore dei modi, ma che poi qualcuno – magari un infiltrato – cominci a tirare pietre contro la polizia. I titoli dei giornali parleranno di questo, e una protesta finita male può distruggere un movimento.

Cosa fare allora? Si può cominciare da una strategia di dispersione con piccoli eventi diffusi, come sbattimenti di pentole coordinati, o rallentamenti del traffico dove tutti guidano a velocità ridotta. Queste tattiche servono ad allargare il supporto, fortificano il senso di fiducia della gente, e sono sufficientemente sicure. Otpor, che in due anni è cresciuto da undici a settantamila persone, ha cominciato così: tre o quattro attivisti hanno messo in scena un pezzo comico di teatro di strada che sbeffeggiava Milosevic. I passanti guardavano, sorridevano – e si univano.

Mito: la nonviolenza sarà anche moralmente superiore, ma è inutile contro un brutale tiranno.

La nonviolenza non è solo la miglior alternativa morale, ma quasi sempre anche la miglior scelta strategica. “La mia obiezione fondamentale alla violenza è che semplicemente non funziona” – scrive Popovic. La violenza è quel che a ogni dittatore riesce meglio. Se devi fare una partita con David Beckham, perché scegliere il campo da calcio? Scegli la scacchiera.

Inutile dire che il gruppo di siriani che hanno partecipato al workshop non sono riusciti ad influenzare le strategie poi adottate da altri gruppi di oppositori al regime. La violenza ha avuto la meglio – con risultati devastanti.

Proprio questo è il punto di Popovic: la violenza conduce molto spesso a risultati devastanti. Le studiose Erica Chenoweth e Maria J. Stephan hanno analizzato le campagne di numerose rivoluzioni violente e nonviolente nell’ultimo secolo (il loro libro Why Civil Resistance Works5 presenta in copertina proprio il simbolo di Otpor) e hanno trovato che la nonviolenza ha una percentuale di successo doppia rispetto alla violenza, oltre a ottenere cambiamenti che hanno più probabilità di durare nel tempo.

Relativamente poche persone si uniranno attivamente a un movimento violento: la violenza allontana molti potenziali sostenitori, che al contrario potrebbero sposare una causa nonviolenta.

Il potere di Milosevic si basava soprattutto sul supporto della fascia più anziana della popolazione; Otpor riuscì a spostare il loro appoggio provocando il regime a usare la violenza. Quando Otpor realizzò che i suoi attivisti, una volta arrestati, venivano quasi sempre rilasciati dopo poche ore, cominciò a compiere azioni con l’obiettivo di far arrestare più membri possibili. I nonni del Paese non erano per niente contenti del fatto che i loro giovani nipoti fossero in prigione, o di sentire le affermazioni isteriche del regime che accusava questi giovani studenti di spionaggio o terrorismo. Gli anziani cominciarono a passare dal lato di Otpor, diventando un pilastro del movimento. Se le accuse di violenza mosse a Otpor fossero state vere, i nonni sarebbero rimasti con Milosevic.

Mito: la politica è una cosa seria.

Secondo il filosofo della Pixar James P. Sullivan6, la risata è dieci volte più potente di un urlo. Niente è più efficace di una presa in giro per vincere la paura della gente e incrinare l’aura di un dittatore – Popovic lo chiama “laughtivism”. Lo spirito che guidava Otpor era il Monty Python’s Flying Circus, uno show televisivo che aveva accompagnato l’infanzia dei membri del movimento; per questo molte delle loro azioni erano scherzi.

Popovic scrive di una protesta ad Ankara nata dopo una reazione esagerata del governo a una coppia che si scambiava effusioni nella metropolitana. I manifestanti avrebbero potuto organizzare una marcia, ma decisero di baciarsi: cento persone, riunite nella stazione della metropolitana, che si baciano rumorosamente e vistosamente. Ora, tu sei un poliziotto, sei stato addestrato per gestire una protesta antigovernativa: ma come gestisci questo?

Mito: la gente si mobilita quando vede che i diritti umani vengono violati.

La maggior parte della gente non si preoccupa affatto dei diritti umani. Si preoccupa di avere la luce in casa, degli insegnanti a scuola, di pagare il mutuo a fine mese. Saranno quindi più propensi ad appoggiare un’opposizione che dimostra di poter garantire loro un futuro migliore.

Dedicarsi a questi bisogni quotidiani non è solo più efficace: è più sicuro. Durante il loro workshop CANVAS, i birmani sapevano che concentrarsi su obiettivi politici era troppo rischioso, così decisero di mobilitarsi per convincere l’amministrazione della città di Yangon ad occuparsi della raccolta rifiuti. Gandhi fu saggio a cominciare la sua campagna di disobbedienza civile di massa opponendosi al monopolio britannico sul sale. Harvey Milk portò avanti diverse campagne rivolte all’amministrazione della città di San Francisco, tutte fallimentari; ottenne dei risultati quando si fece promotore non dei diritti gay, ma della pulizia dei parchi cittadini dalla sporcizia dei cani. Il vantaggio di simili campagne è che hanno obiettivi a portata di mano. I movimenti crescono grazie a queste piccole vittorie.

Un’altra strategia fallimentare è raccontare quanto è brutta la vita sotto una dittatura. La gente lo sa bene – e al sentirselo ripetere reagisce con cinismo, paura, isolamento, passività. Potranno essere arrabbiati, ma non scenderanno in piazza per questo. La rabbia non è un buon catalizzatore.

Questo è stato il dilemma più complesso per Otpor. La maggior parte dei serbi volevano sbarazzarsi di Milosevic, ma a tutti sembrava una cosa quasi impossibile da ottenere, e comunque troppo pericolosa da tentare.

Otpor ha convinto la gente a scendere in strada modellando un movimento su misura. I giovani affluivano perché Otpor li faceva sentire importanti e alla moda. Avevano bella musica, belle t-shirt con il pugno. I ragazzi facevano a gara a chi collezionava più arresti. Non si sentivano più vittime passive, ma eroi coraggiosi.

Mito: nei movimenti nonviolenti c’è bisogno di leader carismatici che trascinino le folle con i loro discorsi.

Otpor non ha mai tenuto un singolo discorso in pubblico. Se le sue strategie erano pianificate fin nei minimi dettagli, gli strateghi rimanevano dietro le quinte. I portavoce cambiavano ogni due settimane, ed erano spesso ragazzine di 17 anni (“Terroristi? Noi?”).

Nei partiti tradizionali, anche quelli che si oppongono al regime, il compito del leader è tenere discorsi, mentre i seguaci ascoltano e applaudono. Ma non Otpor. Otpor sottoponeva i suoi messaggi a dei gruppi di lavoro, e programmava minuziosamente le sue azioni. A livello strategico erano tutt’altro che anarchici. A livello tattico, invece, decentralizzare era fondamentale. Otpor aveva due sole regole per i suoi membri: essere contro Milosevic e assolutamente nonviolenti. Seguendo queste due regole, chiunque poteva unirsi a Otpor e agire in qualunque modo. In questo modo gli attivisti si sentivano impegnati, utili e importanti.

Mito: la polizia, le forze di sicurezza e le imprese a favore del governo sono nemici.

Forse. Nel dubbio, è più furbo trattarle come “alleati in attesa”. Otpor non ha mai lanciato pietre o insulti alla polizia. Al contrario, gli attivisti salutavano i poliziotti e portavano fiori e biscotti fatti in casa alle stazioni di polizia. Anche gli interrogatori dopo gli arresti diventavano un’opportunità di fraternizzare e dimostrare la fedeltà del movimento all’ideale nonviolento.

Una strategia che ha dato i suoi frutti. Gli agenti sapevano che se l’opposizione avesse vinto, Otpor avrebbe garantito loro un trattamento equo. Durante gli scontri, la polizia abbandonò le barricate quando l’opposizione glielo chiese. Un dittatore, senza la certezza che i suoi ordini repressivi siano eseguiti, è un dittatore finito.

Vivevo in Cile quando l’opposizione ad Augusto Pinochet metteva in fila un errore dopo l’altro. I consigli di Otpor avrebbero potuto accorciare di parecchi anni la vita della dittatura. O se il movimento Occupy negli Stati Uniti avesse adottato queste tattiche, forse avrebbe ancora un peso rilevante.

Niente è però più tragico che pensare a cosa potrebbe essere la Siria oggi, se l’ala nonviolenta avesse prevalso nel movimento di opposizione, se fosse stata seguita quella “blueprint”.

Tina Rosenberg è vincitrice del Premio Pulitzer per il suo libro “The Haunted Land: Facing Europe’s Ghosts After Communism. È stata editrice per il Times e, più recentemente, autrice di “Join the Club: How Peer Pressure Can Transform the Worlde dell’e-book di spionaggio ambientato nella Seconda Guerra Mondiale “D for Deception”. È co-fondatrice di Solutions Journalism Network, che supporta reportage di qualità come risposta a problemi sociali.

By TINA ROSENBERG FEBRUARY 13, 2015

Titolo originale: How to Topple a Dictator (Peacefully)
http://opinionator.blogs.nytimes.com/2015/02/13/a-military-manual-for-nonviolent-war/?_r=0

Traduzione di Fabio Poletto per il Centro Studi Sereno Regis

1http://canvasopedia.org/

2http://www.blueprintforrevolution.com/

3http://jointheclub.org/

4http://foreignpolicy.com/2011/02/17/revolution-u-2/

5http://cup.columbia.edu/book/why-civil-resistance-works/9780231156820

6http://it.wikipedia.org/wiki/Monsters_%26_Co.

3 commenti
  1. Massimo Zucchetti (Sfoghi)
    Massimo Zucchetti (Sfoghi) dice:

    Sono stupefatto dal vedere ospitato su questo sito un articolo che parla dell'organizzazione OTPOR (ora CANVAS), con i due "leader" e "formatori di pace" Srdja Popovic e Slobodan Djinovic. La loro organizzazione – è dimostrato – è supportata con ingenti fondi dal governo USA per destabilizzare i governi scomodi. Si confronti appunto "l'ottimo lavoro" compiuto dai due e da OTPOR-CANVAS per il "ritorno alla democrazia" in Ucraina (cit.) e in Siria: non occorrono ulteriori commenti. Costoro sono, più che attivisti per la resistenza non-violenta, fomentatori di rivoluzioni, colpi di stato, e guerre, al soldo di potenze imperialiste. Loro principale sponsor, ultimamente, John Mc Cain. Dietro la formale attività di "formatori di pace", il loro business è lo studio di metodi per rovesciare governi scomodi agli Stati Uniti. La loro non-violenza è formale: ogni "rivoluzione non-violenta" che iniziano, termina poi in un bagno di sangue e in violenza diffusa, mentre loro sono già al sicuro, rivolti verso il prossimo obiettivo.
    Inviterei a molta cautela nell'endorsement di simili personaggi. Si veda ad esempio la storia di OTPOR-CANVAS qui: http://landdestroyer.blogspot.it/2011/02/cia-coup

    Rispondi
  2. Fabio Poletto
    Fabio Poletto dice:

    Caro Massimo Zucchetti, grazie per la segnalazione. Provvederemo a tradurre e pubblicare l'articolo di Land Destroyer, come giusto contraddittorio. Ad ogni modo, sebbene l'articolo parli di Otpor, l'attenzione da parte nostra non era sul gruppo ma genericamente sul metodo, che ci sembra condivisibile.

    Rispondi
  3. Cesare
    Cesare dice:

    Questa strategia mi piace.
    La violenza radicalizza il nemico e lo trasforma in un muro, e scontrarsi contro un muro non è piacevole.
    La nonviolenza invece umanizza, è più piacevole e partecipabile, quindi più potente.
    Nessuna sorpresa nell'apprendere che, finché un movimento è originale, inclusivo e nonviolento persino nella comunicazione, riesca a perseguire i propri obiettivi.

    Rispondi

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