Come un albero di ulivo | Interventi Civili di Pace in Palestina


Interventi civili di pace in Palestina …il quarto report da RACCOGLIENDOLAPACE, sito web di reporting del progetto “Interventi Civili di Pace in Palestina” del Centro Studi Sereno Regis in partenariato con:

Un ponte per…, Assopace Palestina, Popular Struggle Coordination Commitee, IPRI – RETE CCP, SCI-Italia con il sostegno del Tavolo degli Interventi Civili di Pace


La sveglia suona poco dopo l’alba, quando c’è tempo ci si gode il privilegio di un buon caffè italiano che per noi è più prezioso dell’oro e poi via,verso gli uliveti.

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Dopo qualche ora il sole è già alto nel cielo e brucia sulla pelle, già sporca dalla polvere che ricopre le olive. Si fatica un po’, ma è un lavoro soddisfacente e l’ambiente sereno e amichevole. Il paesaggio mi è familiare, questi alberi potrebbero essere gli ulivi secolari della mia terra, che ho sempre davanti agli occhi da quando ero bambina e che il mio sguardo cerca invano quando sono lontana da casa, nella città in cui studio.

Ma qui c’è anche qualcos’altro all’orizzonte, enormi e invadenti le colonie illegali si impongono alla nostra vista. Provocano una sensazione di oppressione, sono veramente dovunque e stridono con il paesaggio naturale. Si percepisce che sono una presenza esterna, sono circondate dal muro di “protezione” che le separa dai villaggi palestinesi a cui è stata sottratta la terra per la loro costruzione.

Questa settimana siamo a Bil’in ed oggi durante la raccolta potevamo sentire il rumore dei lavori della continua espansione dell’enorme e bruttissimo mostro che è attaccato al villaggio.  Circa dieci anni fa i palestinesi del villaggio hanno visto le proprie terre sottratte per la prima volta, i loro alberi tagliati, le loro vite stravolte per far posto ad un insediamento per gente che viene da altri paesi, da altri mondi.

E penso agli occhi lucidi di mio nonno quando uno dei suoi ulivi venne tagliato, penso ai contadini qui, poi penso che non è giusto, che in un mondo normale questo non potrebbe accadere.

Ma chi stabilisce cosa è giusto e cosa è sbagliato? Di solito, purtroppo, il più forte. E se qualcuno può venire nel tuo villaggio a tagliare i tuoi alberi e rubare la tua terra, evidentemente quel qualcuno è il più forte. Qui il più forte si chiama Israele.

Fortunatamente, però, la giustizia non equivale alla legge del più forte ed il suo concetto è molto più elaborato. Giustizia,ad esempio, è quella che chiede un popolo che si trova sotto una delle occupazioni più lunghe della storia, senza smettere di resistere e dal quale tutti noi abbiamo grandi lezioni di vita da imparare. Ma a proposito di resistenza, oggi è venerdì, il giorno delle proteste, e questo villaggio è da sempre in prima linea nella resistenza non violenta; abbiamo conosciuto tutti i suoi leaders e visto i video dell’inizio di questa lotta, tutta la gente che vi prendeva parte, tutta la creatività delle azioni non violente contro l’occupazione. Verso le tredici smettiamo di raccogliere per prendere parte alla manifestazione. Ci copriamo il viso come meglio possiamo – meglio non farsi fotografare dai soldati- e scendiamo verso il muro dell’apartheid. OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Io resto lontana, ho visto tante manifestazioni ed ammetto di avere paura perché la violenza dell’esercito israeliano è grande ed incontrollabile: bandiere palestinesi contro lacrimogeni, pietre contro proiettili. Ma oggi, invece, niente accade. Pochissima gente partecipa, l’azione dura pochi minuti e si conclude con i soldati che escono dall’insediamento per inseguire due ragazzi palestinesi che erano saliti sul muro ed erano riusciti a tagliare una parte di recinzione.

Un senso di tristezza mi pervade, a distanza di pochi mesi ho notato la grande differenza in quello che accade il venerdì, la scarsissima partecipazione è un pessimo segnale. Le colonie crescono, ma le proteste diminuiscono. Mi domando cosa sia cambiato. Forse la gente è stanca degli arresti e dei proiettili, del sangue versato e delle vite spezzate, forse non ha più fiducia, forse c’è bisogno di una nuova strategia.  Non esiste una risposta certa, sappiamo solo che questo è un periodo veramente buio per la Palestina.  Ma l’azione è finita e torniamo al nostro lavoro. Zeitun, olive: simbolo di questa terra tormentata.

Mi viene in mente un passaggio del libro “La pulizia etnica della Palestina” , in cui Ilan Pappe parla di alcuni larici che gli israeliani avevano piantato su un terreno dopo aver distrutto gli ulivi; ad un certo punto il larice si spacca a metà: un nuovo albero di ulivo sta crescendo nel suo tronco. La natura si ribella alle imposizioni esterne, la terra si riappropria dei suoi figli.

Come un ulivo che cresce in silenzio e di nascosto è la speranza dei palestinesi: emergerà in tutta la sua forza rompendo il larice dell’occupazione.


Originale in: http://raccogliendolapace.wordpress.com/2016/10/17/come-un-albero-di-ulivo/


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