Calcio, mitra e indifferenza | Interventi Civili di Pace Palestina


Interventi civili di pace in Palestina …il primo report da RACCOGLIENDOLAPACE, sito web di reporting del progetto “Interventi Civili di Pace in Palestina” del Centro Studi Sereno Regis in partenariato con:

Un ponte per…, Assopace Palestina, Popular Struggle Coordination Commitee, IPRI – RETE CCP, SCI-Italia con il sostegno del Tavolo degli Interventi Civili di Pace



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Habib e Islam sono due bambini palestinesi che come tanti loro coetanei, dopo la scuola, passano i pomeriggi a giocare a pallone per le vie della loro città.

Nel nostro primo giorno in Palestina, dopo aver curiosato nel robivecchi di Ahmed, quarantenne naif con più storie da raccontare che oggetti da vendere, non resistiamo al richiamo della palla sgonfia di Habib e Islam e ci uniamo a loro.pal-003

Italia e Palestina, squadre miste. Porta unica. Tra un dribbling e l’altro, con Islam che non smette di dare indicazioni tattiche e Habib che continua ad aggiustarsi la palla con le mani, sempre più bambini si uniscono alla partita.

Siamo a Gerusalemme, ma potremmo essere tra i vicoli di Napoli o tra le vie di Rio de Janeiro. Porte blindate, telecamere e grate che sovrastano le scivolose stradine in pietra della città vecchia stridono con il fascino di questa città millenaria.

A un tratto, proprio da una porta blindata al lato del campo contraddistinta da una stella di David, esce una numerosa famiglia di coloni israeliani, composta da anziani, donne e bambini. L’ultimo a uscire è un giovane sui trent’anni che porta un mitra a tracolla.

Il gioco si sposta su quel lato della via e uno dei bambini della famiglia corre verso la palla per unirsi alla partita. Un attimo prima che colpisca il pallone, il colono armato afferra il bambino da sotto le braccia, lo solleva e lo porta via, facendogli dare un calcio nell’aria. Grazie al provvidenziale intervento del “difensore”, la palla sfila sul fondo. pal-001

Restiamo tutti un po’ stupiti dall’accaduto, mentre non notiamo alcuna sorpresa sul volto dei bambini palestinesi. La partita prosegue con Yussuf che si butta in scivolata per salvare un gol a porta vuota e con qualche danno non grave alla mercanzia di Ahmed che, sorseggiando il suo karkadè, non sembra affatto infastidito.

Dopo pochi minuti, da un’altra porta blindata a fianco della precedente, esce un’altra famiglia di coloni. Questa volta, curiosi di osservare la loro reazione, facciamo sfilare intenzionalmente la palla verso i tre bambini della famiglia, poco più grandi del bambino che aveva cercato di unirsi a noi. È risaputo che la nazionale israeliana di calcio non sia tra le più blasonate, ma questo sport è molto popolare anche qui, soprattutto tra i bambini.   Ci illudevamo che la scena alla quale avevamo assistito pochi minuti prima fosse stata un’eccezione, la lezione giornaliera di razzismo impartita da un colono al proprio figlio.    Ci illudevamo che ogni bambino del mondo, alla vista di un pallone che rotola nella sua direzione, pensasse la stessa cosa: dargli un calcio senza pensarci.

Ma i tre bambini israeliani non hanno più bisogno di lezioni. Quando la palla li raggiunge sembrano non vederla. Non un calcio, non uno sguardo, non una parola. Uno dopo l’altro i tre bambini, che si erano messi in fila a fianco delle loro famiglie, fanno un piccolo passo a destra per evitare la palla e si incamminano per la via occupata dai loro padri, guardando altrove.

In Palestina anche un pallone sgonfio ha una carta di identità.

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