Nuove adesioni al modello della nonviolenza | Brian Martin


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L’interesse per l’azione nonviolenta è oggi più elevato che mai prima, ed emerge – tra l’altro – nella pubblicazione di nuovi libri. Qualche decina di anni fa erano rari i buoni libri su questo tema: dopo l’autobiografia di Gandhi e pochi altri, particolarmente significativo fu il testo di Gene Sharp nel 1973: “The Politics of Nonviolent Action1.”

Vorrei presentarvi ora quattro libri – tutti pubblicati nel 2015 – che offrono importanti contributi al tema.

nepstad-1-199x300Sharon Erickson Nepstad è una autrice ben nota per il suo libro “Nonviolent Revolutions.” Il titolo di questo nuovo testo è semplicemente “Nonviolent Struggle”, e si pone l’obiettivo di diventare un libro di testo: è chiaro, ben organizzato e coinvolgente, per la presenza di aspetti analitici e di casi-studio. I riferimenti bibliografici denunciano una buona padronanza del tema, e un aspetto interessante è la proposta di usare alcune categorie nuove per organizzare i capitoli e strutturare la discussione.

Il primo capitolo passa in rassegna significati e misconcezioni del termina ‘nonviolenza’, per poi presentare i principi pragmatici della nonviolenza e riflettere sui fondamenti nonviolenti delle principali religioni.

La Nepstad cita nove tipi di azione nonviolenta, accompagnandoli con studi di casi, in modo da dare un’idea chiara della varietà di scopi e circostanze in cui si può agire.

Nel capitolo intitolato “Outcomes and consequences of nonviolent struggles,” l’Autrice offre un lucido panorama dello stato della ricerca, con i suoi limiti e qualche domanda aperta. In un capitolo successivo viene affrontato il ruolo delle forze armate nei movimenti nonviolenti che stanno cercando di produrre un cambiamento di regime: ci sono numerosi esempi riferiti alle Primavere Arabe.

Infine, la Nepstad conclude il libro con una utile discussione sul futuro della nonviolenza e della resistenza civile, mettendo in luce i numerosi campi di studio ancora da esplorare.

schock-191x300Un altro libro eccellente è ‘Civil Resistance Today’, di Kurt Schock, un Autore che aveva già scritto “Unarmed Insurrections”: si tratta di un contributo pionieristico, che mette in relazione nonviolenza e teoria dei movimenti sociali. E’ più impegnativo del precedente, ma è ricco di esempi, quindi di agevole lettura.

Shock inizia il libro con una rassegna di concetti – chiave, per cercare di rispondere alla domanda “che cosa si intende per resistenza civile?” L’Autore è particolarmente qualificato ad affrontare le misconcezioni, sulle quali aveva pubblicato un articolo che è stato ampiamente citato su I19 misconcezioni comuni. Nel passare in rassegna esempi di resistenza civile Schock utilizza una varietà di casi-studio, dai movimenti sociali – inclusi i movimenti femministi e anti-razzisti – alle manifestazioni contro i governi repressivi, fino alle campagne contro le disuguaglianze economiche.

In uno dei capitoli Schock affronta il tema del conflitto tra governi e movimenti di protesta. Le autorità possono usare la repressione: arresti, percosse, uccisioni. Ma talvolta – quando la repressione è troppo evidente – possono svilupparsi forme di maggiore resistenza: in che modo esprimerla? Per esempio passando da forme concentrate e forme più disperse, come i boicottaggi.

Civil Resistance Today” offre anche degli spunti sull’attivismo transnazionale: organizzazione, formazione, campagne. Una prospettiva internazionale è essenziale perché molte idee sono simili, e perché è possibile aiutarsi a vicenda.

In un capitolo successivo Schock parla dei meccanismi di cambiamento sociale tramite l’azione nonviolenta, utilizzando le categorie di Sharp – conversione, accommodamento, coercizione nonviolenta e disintegrazione – includendo la descrizione dei tre fattori che contribuiscono a determinare l’esito delle campagne: mobilitazione delle masse, sopravvivenza alla repressione e smantellamento dei pilastri di sostegno alle autorità.

La pubblicazione dei due libri sopra presentati suggerisce che il campo di studio della nonviolenza sta acquistando credibilità e visibilità.

vinthagen-192x300A Theory of Nonviolent Action’ Su questo tema non sono stati molti finora i contributi: dopo Richard Gregg e Gene Sharp, si può aggiungere ora il nome di Stellan Vinthagen: egli propone che l’azione nonviolenta abbia quattro dimensioni, che egli definisce (a) facilitazione del dialogo; (b) spezzare il potere, (c) realizzazione dell’utopia, (d) regolazione normativa. Attualmente le proteste nonviolente sono diventate più complesse, e secondo questo Autore è più facile analizzarle se si ricorre a queste quattro dimensioni, invece di verificare semplicemente se sono etiche ed efficaci. Vinthagen inizia con una definizione di nonviolenza che non è solo ‘senza violenza’, ma è anche ‘contro la violenza’. Sembra banale ma può essere utile per distinguere tipi diversi di azione: passeggiare o coltivare un orto sono senza violenza, ma non presentano una forma di nonviolenza attiva, come può essere organizzare dei picchetti a una esposizione di armi.

Vinthagen fa notare che le forme di nonviolenza sono correlate con le forme di violenza, che possono essere un’aggressione fisica, una situazione di sfruttamente (la violenza strutturale) o la negazione delle opportunità che permetterebbero di esprimere le proprie capacità. Riferendosi a Gandhi, l’Autore definisce la nonviolenza come un modo per raggiungere una verità. Ispirandosi poi ad Habermas, di cui riprende la classificazione delle azioni in quattro tipi, Vinthagen identifica altrettante dimensioni dell’azione nonviolenta, e illustra come ciascuna sia stata espressa nei sit-in del movimento USA per i diritti civili. Le quattro dimensioni sono:

  • la facilitazione del dialogo”, che esprime la ricerca della verità, o il superamento delle differenze, quale è stato messo in atto dai movimenti sociali, dai gruppi femministi ecc. attraverso gli sforzi per sviluppare modi rispettosi, ugualitari ed efficaci per i processi decisionali all’interno dei gruppi, e attraverso manifestazioni, proteste e boicottaggi verso altri gruppi in presenza di grossi squilibri di potere;
  • frammentare il potere”: in contrasto con la visione più diffusa, secondo la quale il potere è in mano ai decisori, Sharp aveva proposto una teoria del potere che dava molta responsabilità all’acquiescenza e alla cooperazione dei soggetti verso i dominatori. Quindi negare il consenso può diventare un modo per abbattere i potenti. Vinthagen contrappone a questa teoria una visione del potere che si rifà a Michel Foucault, secondo il quale il potere è insito nelle strutture e nelle relazioni sociali, e ciascuno è plasmato dai sistemi di potere, anche quando cerca di modificarli. Vinthagen propone il concetto di “subordinazione cooperativa” che esprime l’idea di una possibile azione cooperativa per creare l’alternativa ai sistemi di dominazione;
  • realizzazione dell’utopia” , che si riferisce al comportarsi in modo da esprimere le relazioni future desiderabili. In un conflitto in cui c’è il rischio di subire danni gli attivisti nonviolenti, invece di combattere o di fuggire, continuano la loro azione rispettosa, che idealmente è in conflitto con le aspettative degli oppositori, e confonde l’immagine usuale del nemico. Nella prospettiva di Gandhi la sofferenza caricata su di sé è una parte importante del satyagraha, ma è facile interpretarla, erroneamente, come l’assunzione di un ruolo di vittima. Vinthagen riprende il concetto, e sottolinea che un punto chiave è l’accettazione consapevole del rischio di sofferenza da parte degli attivisti. Vinthagen si rifà al sociologo Erving Goffman, che guarda il comportamento umano come un tipo di performance teatrale, in cui l’attore nonviolento recita un ruolo inaspettato, per esempio comportandosi in modo aperto e onesto ed esprimendo amicizia.
  • La “regolazione normativa.” In molti ambiti ormai si dà per scontato che la violenza sia necessaria per proteggere l’ordine e la libertà, come esemplificato da polizia, militari, progioni, fabbriche di armi, e come sostenuto dalle narrazioni dei media e dei politici. Invece di questa ‘normalizzazione’ della violenza la prospettiva della nonviolenza è quella di sviluppare un insieme alternativo di norme, che si baserebbero su realizioni sociali nonviolente. Questo approccio rimanda al programma costruttivo di Gandhi, che si propone di creare una società alternativa basata sull’equità, sulla capacità di contare su di sé e sulla solidarietà.

Nel suo libro Vinthagen trae ispirazione sia dai molti anni di esperienze come attivista, sia dalla sua straordinaria conoscenza teorica . Nonostante l’alto livello della parte teorica, la presenza di numerosi esempi rende il libro gradevole e accessibile alla lettura.

popovic-201x300Blueprint for Revolution’ Srdja Popovic e Matthew Miller hanno prodotto un libro che è ‘leggero’ su teoria e riferimenti bibliografici, ed è ricco di suggerimenti pratici, come si capisce già dal sottotitolo: “Come usare il budino di riso, gli omini della lego e altre tecniche nonviolente per galvanizzare le comunità, buttar via i dittatori, o semplicemente cambiare il mondo”.

L’introduzione all’azione nonviolenta è raccontata attraverso storie di lotte, inclusi gli incontri di Popovic con gli attivisti in Egitto e in Siria. Tra le storie ci sono anche le campagne di Gandhi, il movimento per i diritti civili in USA, movimenti nelle Filippine, in Ucraina, in Israele, in Serbia (dove Popovic è stato una figura chiave del movimento Otpor).

Riflessioni finali Questi libri dovrebbero essere sufficienti a tenere impegnata la maggior parte dei lettori, ma non esauriscono l’offerta. Altri tre titoli interessanti sono: “Nonviolent Resistance: A Philosophical Introduction,”, di Todd May;   “Humor and Nonviolent Struggle in Serbia” di Janjira Sombatpoonsiri;   “Merdeka and the Morning Star: Civil Resistance in West Papua,” di Jason MacLeod.

Riuscire a leggere tutte le buone pubblicazioni sulla nonviolenza è sempre più difficile: si tratta certamente di un buon segno. Tuttavia i temi della nonviolenza sono ancora poco trattati se confrontati con gli scritti sulle guerre, passate e presenti. E comunque ci sono ancora molte aree inesplorate da portare alla luce sulla nonviolenza, che traggono ispirazione dagli sforzi coraggiosi degli attivisti in tutto il mondo.


Note (EC)

Le recensioni di questi libri mostrano come la riflessione sulla nonviolenza si intrecci sempre più con la riflessione sulla struttura delle società, dal punto di vista filosofico e sociale. Il linguaggio della nonviolenza dunque si arricchisce e si integra con le espressioni di altri ambiti – fino a quello della comicità e dell’umorismo. La ricerca teorica si alimenta con l’azione, e a sua volta le offre opportunità di formalizzazione e generalizzazione. Sarebbe interessante che qualche editore italiano esplorasse questo nuovo campo del sapere e dell’agire, per offrire al pubblico italiano, specialmente ai giovani, nuovi spunti per trovare un senso a sé e al proprio agire in questo pianeta divenuto così difficile da vivere.

1 Politica dell’azione nonviolenta. http://www.peacelink.it/storia/a/42147.html


Titolo originale: A look at the newest additions to the nonviolence canon
Brian Martin, August 23, 2016
http://wagingnonviolence.org/feature/a-look-at-the-new-additions-to-the-nonviolence-canon/
Traduzione, sintesi e note di Elena Camino per il Centro Studi Sereno Regis

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