L’ultimo viaggio | Recensione di Cinzia Picchioni


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Irène CohenJanca, Maurizio A.C. Quarello, L’ultimo viaggio, orecchio acerbo, Roma 2015, pp. 70, € 16,90, grande formato, copertina rigida, illustrato a colori

«A colori» non è esatto, dovrei scrivere «a color poiché uno è il colore che scorre in tutto il bellissimo libro illustrato: il marrone-grigio-sepia. Azzecatissimo, visto l’argomento, ed elegantissimo anche, visto l’argomento. No, non è un errore, è una ripetizione voluta. Perché la vicenda è «triste» (e allora non ci sono colori sgargianti a raccontarla), ma il tutto – protagonista, bambini, disegni, «corteo» finale in una grande pagina doppia che si apre, caratteri tipografici, copertina, grafica – è elegante e molto, molto dignitoso. E vero, anche.

Tramite disegni meravigliosi e molto «cinematografici», seguiamo la autentica vicenda del dottor Korczak, medico, pedagogo, scrittore polacco che scelse di farsi deportare al campo di sterminio di Treblinka (benché avesse avuto la possibilità di non farlo) per accompagnare – e morire con loro – i bambini orfani ospiti del suo orfanotrofio, nel ghetto di Varsavia. L’«ultimo viaggio» del titolo è appunto quello: il 5 agosto del 1942, «faceva molto caldo» narra il libro, i tedeschi deportano 192 bambini e 10 adulti, tra cui il dottor Korczak. «Dicono che giunse un messaggero con un biglietto che offriva al dottor Korczak la libertà e che lui si rifiutò di abbandonare i bambini. I vagoni li portarono tutti al campo di Treblinka, a nord di Varsavia. Era l’ultimo viaggio». Questa ultima citazione dal libro sta scritta in una delle due «ali» di carta che contengono il grande disegno, quello della deportazione.

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I tedeschi non vogliono che i bambini ebrei diventino grandi, leggiamo poche pagine prima, una frase molto triste che però viene riscattata poche pagine dopo, dove un’altra frase, questa volta detta dal dottor Korczak, ci riconsegna un po’ di speranza: Non ci è concesso di lasciare il mondo così come è. Ecco, il dottor Korczak ha messo in pratica quella frase, col suo trentennale impegno come medico pediatra e come pedagogista. Dalle sue intuizioni nacque un’esperienza che proseguì anche all’interno del Ghetto di Varsavia: «La sua impronta, insieme a quelle dei suoi bambini, resta, indelebile, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata dall’Onu a New York il 20 novembre 1989». E proprio alcune impronte, precedute da una gabbietta aperta e vuota, chiudono l’intero libro, «uscendo» dalle pagine, verso l’esterno. Come a dire che dopo aver letto il libro, averne ammirato i bellissimi disegni, essersi commossi leggendo la triste storia, si può (si deve?) proseguire su quel cammino.

«Siamo stati assassinati e non abbiamo avuto sepoltura. […]
Non siamo diventati alberi e non abbiamo potuto portare i frutti che avremmo dovuto portare.
Ma […] il vecchio dottor Korzcak ha fatto progredire la causa dei bambini.
I Diritti dei bambini riconosciuti in tutto il mondo
sono […] i frutti che non abbiamo potuto portare».

Il regista Andrzej Wajda nel 1990 ha tratto un film dalla vicenda, intitolato Dottor Korczak.

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