Guerra, ambiente, nonviolenza

Elena Camino

«La frantumazione del sapere, la mancata percezione della complessità umana lascia spazio alla barbarie. Ma attenzione, perché alla barbarie a noi più nota, che è quella della guerra, delle torture, della fame, se ne aggiunge un’altra fatta dal calcolo, dal profitto, dalla tecnologia al servizio dell’economia.  Sono due demoni fra loro alleati, anche se si manifestano in modo differente nei vari luoghi del pianeta».

Edgar Morin, conferenza Teatro dal Verme di Milano l’11 novembre 2009

La strategia militare internazionale dell’Italia

Armarsi…

Da anni – nonostante il succedersi di governi di vario colore politico – la strategia dell’Italia in tema di ‘difesa’ è rimasta la stessa: dotarsi di armamenti sempre più costosi e pericolosi, in grado attaccare i nemici per oltre i confini nazionali.

Alcuni dati:

  • nel 2013 si approva l’ultima tranche di stanziamento per la costruzione di due nuovi sommergibili U 212 che si affiancheranno a quelli in esercizio con base a Taranto. Sono sommergibili di “ultima generazione” della classe U 212, detta anche classe Todaro1. Due battelli, come dicono in gergo, che costano quasi 1 miliardo di euro, che sommato all’altro miliardo già speso per altre 2 unità già entrate in esercizio e con base a Taranto, fanno 2 miliardi.
  • 4 maggio 2015 ROMA – L’Italia acquista i primi 8 F-35. La prima base operativa con l’F-35 sarà Amendola (Foggia), la seconda Grottaglie (Taranto), che dovrebbe ricevere il primo aereo nel 2018. Poi sarà la volta della portaerei Cavour, che riceverà il modello a decollo verticale ed infine toccherà a Ghedi (Brescia).
  • Il 4 luglio 2015 è stato varato presso lo stabilimento navale militare di Fincantieri del Muggiano (SP) il sommergibile Romeo Romei, quarta unità della classe Todaro (tipo U212A) e gemello del sommergibile Venuti varato il mese di ottobre dello scorso anno2. Il nuovo battello è dotato di un innovativo sistema d’arma, basato sul nuovo siluro pesante di produzione nazionale (Black Shark Advanced) realizzato dalla ditta WASS.
  • Novembre 2015 : il governo Renzi conferma ufficialmente e definitivamente lo stanziamento di 13 miliardi di euro per l’acquisto dei 90 cacciabombardieri F353. Il budget aggiornato al luglio 2015 per il programma F35 prevede la spesa di 12 miliardi e 356 milioni di euro, che sommati al mezzo miliardo per i lavori di predisposizione di basi dell’Aeronautica Militare e altre infrastrutture danno un totale di quasi 13 miliardi.
  • Novembre 2015. Questo è il dettaglio dei programmi militari sostenuti dal Mise: quasi un miliardo e mezzo per programmi aeronautici (cacciabombardieri Eurofighter, velivoli M346, elicotteri Hh101 per l’Aeronautica e Nh90 per Esercito e Marina), circa 900 milioni per le nuove navi da guerra della Marina (fregate Fremm, nuovi pattugliatori/lanciamissili e nuova portaelicotteri), 200 milioni per i blindati Freccia dell’Esercito e altri 100 milioni per il programma Forza Nec di digitalizzazione delle forze terrestri.4
  • 16 maggio 2016. I sommergibili che difendono l’Italia5 . I sommergibili sono parte integrante della missione Mare Sicuro, affidata dal governo alla Marina, che da tredici mesi vede 900 marinai pattugliare il Mediterraneo centrale, al largo delle coste del Nord Africa e in particolare della Libia.

e armare gli altri!

E’ notizia recente la firma di un accordo tra Italia e Kuwait, che assegna una commessa record per Finmeccanica: 28 caccia Eurofighter al Kuwait. È il più avanzato aereo da difesa multiruolo di nuova generazione oggi sul mercato.

Un miliardo di investimenti nei prossimi cinque anni e 200 nuovi posti di lavoro entro il 20176: sono questi i punti salienti dei programmi di Finmeccanica nell’area torinese annunciati stamani dall’amministratore delegato del gruppo Mauro Moretti (un personaggio ben noto al pubblico italiano7 .

Ad oggi otto nazioni8 hanno complessivamente ordinato 599 esemplari dell’Eurofighter Typhoon9, che nasce dalla collaborazione tra Italia, Regno Unito, Germania e Spagna.

L’Italia ‘ospita’ armamenti nucleari

In alcuni Paesi una parte importante del bilancio per la Difesa è speso per mantenere, rimodernare e, in alcuni casi, moltiplicare gli arsenali atomici. All’inizio del 2015 nove Stati (USA, Russia, UK, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Nord Corea) possedevano circa 15.850 armi nucleari, di cui 1.800 in stato di allerta operativa (dati SIPRI 2015).

In Italia ci sono 59 basi militari americane. È il primo avamposto statunitense in Europa per numero di bombe nucleari schierate, e il quinto al mondo per numero di installazioni militari. Sono 70 in tutto, ed è un arsenale custodito in sole due basi: 50 ad Aviano in provincia di Pordenone, 20 a Ghedi in provincia di Brescia. A rilevarlo è la Federation of American Scientist10, organizzazione fondata nel 1945 a Washington, che si occupa di analizzare i numeri legati alla presenza di armi nucleari nel mondo.

A Ghedi sono stati fotografati camion WMT della Nato, utilizzati per la manutenzione di questo tipo di bombe. E l’aeroporto è la base dei “diavoli rossi” del 6° stormo dell’Aeronautica Militare Italiana, che ha in dotazione cacciabombardieri Tornado, una tipologia di velivolo che può essere armato con bombe nucleari.

La base di Aviano è invece oggi base del 31esimo Fighter Wing dell’aviazione statunitense, che ha due squadroni che volano su F-16, anch’essi a capacità di armamento nucleare.

E’ del gennaio 2016 la notizia che «Le più piccole bombe Usa alimentano la paura nucleare»: così titolava The New York Times, riferendosi alle B61-12, le nuove bombe nucleari che gli Usa stanno per installare anche in Italia al posto delle B-61 schierate ad Aviano e Ghedi-Torre11.

Tempi di pace per preparare la guerra

Al di là della preoccupazione (o della retorica?) sulla necessità di ‘difendere la patria’, le scelte del nostro governo sono orientare ad assicurare il ‘benessere economico e la crescita’ per la società italiana.

Come si legge su un quotidiano torinese (l’area più direttamente interessata all’accordo con il Kuwait) , “è nella costruzione degli aerei, in Italia, e nell’addestramento di piloti e personale di terra (in collaborazione con l’Aeronautica militare italiana) che si concentra la quota più ampia del valore della commessa. Poi c’è la logistica e c’è l’aggiornamento delle infrastrutture aeroportuali necessario per far volare gli Eurofighter Typhoon nelle basi aeree dell’aeronautica kuwaitiana. Da aggiungere anche le sottocommesse, come per radar e contromisure elettroniche. La ricaduta in Italia è ampia, ed è un volano che coinvolgerà l’ampia filiera delle pmi dell’indotto e che darà un buon sostegno all’occupazione nel settore. Il maggiore coinvolgimento sarà per l’area di Torino, che beneficerà dell’impatto più ampio, ma gli effetti toccheranno anche Toscana, Puglia e Campania.12

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In un paese come l’Italia, che sta attraversando una grave crisi economica, la prospettiva del posto di lavoro vince ogni scrupolo morale. E la fotografia della Ministra Pinotti a colloquio con il suo collega del Kuwait suscita compiacimento e approvazione, per l’abilità diplomatica del nostro governo.

Tutte le iniziative del governo fin qui descritte sono state realizzate in tempo ‘di pace’. Riprendendo le parole di Edgan Morin – alla barbarie a noi più nota, che è quella della guerra, delle torture, della fame, se ne aggiunge un’altra fatta dal calcolo, dal profitto, dalla tecnologia al servizio dell’economia – possiamo concordare con lui nel pensare che ‘sono due demoni tra loro alleati’..

Lavoro militare e lavoro civile

Alcuni di noi, così come dubitano che la sicurezza e la difesa della patria si ottengano con l’armarsi e l’armare, sono perplessi di fronte all’affermazione che gli impieghi nel campo militare siano una scelta saggia per l’economia. Quali dati ci sono a disposizione, che ci rassicurino di ciò?

Pur essendo un tema di grande importanza economica e sociale, manca una analisi seriamente documentata, aggiornata, e facilmente accessibile al pubblico che consenta di confrontare le ricadute di investimenti sul settore militare rispetto a pari investimenti sul settore civile.

immagine 01 ambiente e guerraDai prospetti di spesa del nostro governo risulta che tutta la produzione, o coproduzione, dell’industria bellica italiana (Finmeccanica, Fincantieri, Iveco-OtoMelara, Avio, Elt, ecc.) è ritenuta dai nostri governanti il settore industriale strategico su cui puntare per la ripresa della nostra economia. Una scelta che avvantaggia un settore produttivo, quello della difesa, che conta in Italia 112 aziende, 50mila occupati e 13,3 miliardi di fatturato (dati Aiad), a fronte del comparto delle Pmi, che conta (al netto delle microimprese con meno di 10 dipendenti) 134 mila aziende con 3,9 milioni di occupati e 838 miliardi di fatturato (dati Cerved). Questa differenza di comportamento del governo nei confronti del settore militare e di quello civile è in contrasto con i dati di Robert Pollin & Heidi Garrett-Peltier (del Political Economy Research Institute University of Massachusetts, Amherst), che hanno pubblicato nel 2011 i risultati di una loro ricerca dal titolo: “Gli effetti delle scelte prioritarie di spesa (militari vs civili) sulle opportunità di impiego in USA”.13

La Tabella illustra il risultato del confronto tra due scenari alternativi: investire un miliardo di $ nel settore militare, oppure nel settore civile ( energie pulite, salute, educazione). A fronte di 11.200 posti di lavoro creati nel settore militare, si aprirebbero opportunità di lavoro per 16.800 persone nel settore delle energie alternative, oppure 17.200 posti nel settore della sanità, o addirittura 27.600 impieghi nel campo educativo. Questo vale per tutti i livelli di stipendio.

Spese militari e spese sociali. Squilibrio tra i fondi per lo sviluppo e per la difesa.

Secondo le stime dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) le spese militari negli ultimi 10 anni sono aumentate del 50%. Chi sono gli Stati che spendono di più? USA (41%), Cina (8.2%), Russia (4.1%), UK (3.6%), Francia (3.6%), Giappone (3.4%), Arabia Saudita (2.8%), India (2.7%), Germania (2.7%), e Brasile (2%). D’altra parte, gli aiuti allo sviluppo offerti da questi Paesi sono relativamente modesti. Gli USA nel 2010 hanno destinato all’aiuto il 4% rispetto alle spese militari. Francia e Giappone il 20%.

Quest’anno il SIPRI ha pubblicato anche alcuni dati comparativi, come quello presentato nella Tabella. Vengono calcolati i costi annuali previsti da alcuni degli obiettivi delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile (salute, educazione, lotta alla povertà, acqua ecc.) , espressi come percentuali rispetto alle spese militari del 2015. Colpiscono, in particolare le percentuali assegnate alla protezione degli ecosistemi (2%) e alle emergenze umanitarie (l’1%!).

immagine 02 ambiente e guerra

L’International Peace Bureau14 (IPB) è impegnato nella visione di un mondo senza guerre. Il programma principale di questa Associazione è dedicato a elaborare un graduale disarmo, e a riallocare le spese militari su altre voci di bilancio15.

IPB promuove la Campagna Globale sulle spese militari (The Global Campaign on Military Spending – GCOMS): non si tratta solo di tagliare il bilancio militare, ma anche di:

  • Effettuare una conversione verso un’economia orientata al civile
  • Abolire la ricerca militare
  • Sviluppare la tecnologia verso produzioni che promuovano la pace
  • Creare opportunità di impiego per soluzioni umanitarie e per la sostenibilità in generale
  • Promuovere la cooperazione allo sviluppo e la prevenzione / risoluzione dei conflitti violenti
  • Demilitarizzare le menti– nuovi modi di pensare per tutti

In un Congresso in programma tra settembre e ottobre 2016 si discuteranno varie prospettive di trasformazione delle economie nel mondo (IPB World Congress Disarm! For a Climate of Peace – Creating an Action Agenda 30 September – 2 October 2016, Technical University of Berlin).

E l’ambiente?

Le considerazioni fin qui fatte riguardano aspetti economici e sociali: le spiegazioni che vengono fornite al pubblico dal nostro governo per giustificare spese militari così elevate riguardano – da un lato – le esigenze di difesa che i nostri armamenti sembrerebbero assicurarci contro il nemico e – dall’altra – le opportunità di lavoro che il settore militare offrirebbe.

Lasciando ai lettori di valutare la validità di tali spiegazioni, possiamo però aprire un nuovo capitolo di riflessione, su un tema che non viene di solito preso in considerazione: qual è l’impatto ambientale del nostro programma di difesa? E più in generale, come incide il comparto tecno-militare sulle questioni ambientali, in particolare sul problema, ormai ampiamente dibattuto, del cambiamento climatico?

Infine, a livello ancora più generale, quali sono già, e quali potrebbero essere ulteriori conseguenze ambientali della produzione e dell’uso di armi come quelle di cui anche i ‘nostri’ aerei sono equipaggiati?

La ‘riservatezza’ sulle questioni militari, quindi la difficoltà di trovare dati attendibili sui processi di costruzione di armamenti e di addestramento di truppe, sulle azioni di guerra e sui loro impatti, ha contribuito a tenere il pubblico all’oscuro dei gravissimi problemi che il moderno ‘approccio militare’ ai conflitti pone non solo alle comunità umane, ma agli equilibri (sempre più instabili) dell’ecosistema Terra.

Pur essendo poco o per nulla finanziato, si sta gradualmente sviluppando un filone di ricerca grazie al quale si cerca di approfondire la relazione tra guerra e ambiente, tenendo conto non solo della guerra ‘guerreggiata’, ma dell’intero sistema che – coinvolgendo tutti i settori della società – contribuisce alla preparazione materiale, tecnica, umana della guerra, e scarica sugli ecosistemi le conseguenze di tale preparazione. La guerra, quindi, vista non solo come evento o serie di eventi, ma come un processo sistemico che cattura, trasforma e infine degrada (termodinamicamente) enormi quantità di materia e di energia (oltre che di denaro) sottraendole ad altri destini e producendo materiali inquinanti e tossici per tutte le forme di vita sulla Terra.

L’impatto devastante delle armi nucleari

Le statistiche del SIPRI. Come si è detto, all’inizio del 2015 nove Stati (USA, Russia, UK, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Nord Corea) possedevano circa 15.850 armi nucleari, di cui 1.800 in stato di allerta operativa. L’Italia ‘ospita’ 70 bombe nucleari.

Gli Scienziati per la responsabilità globale (www.sgr.org.uk) hanno prodotto una stima delle conseguenze dell’esplosione di un ordigno nucleare da 100kT sganciato sulla città di Manchester (2,68 M di abitanti) Se l’ordigno esplodesse al suolo, si stima che 40.000 persone morirebbero in conseguenza all’ esposizione alle radiazioni entro un periodo di due-tre settimane. Circa 695.000 persone si troverebbero di colpo senza casa, e le capacità di intervento degli ospedali sarebbe ridotta del 40% per la distruzione delle reti idriche, elettriche e di energia.

Zona

Distanza

(km)

Morti

Feriti

Feriti dall’esplosione

Distruzione completa

Fino a 1,8

39.000

Distruzione grave

1,8 – 3

34.000

27.000

7.000

Incendi estesi

Danni ingenti

3 – 5

9.000

85.000

94.000

Ustioni di terzo grado

Danni

5 – 8

100.000

300.000

Ustioni di secondo grado

Totale

82.000

212.000

401.000

Tempo

Effetti

Distanza

Immediatamente

Un intenso impulso elettromagnetico manda fuori uso gli apparati elettronici

Centinaia di miglia

Una violentissima esplosione di radiazione nucleare

Entro 1.5 km

Un lampo di luce accecante

Decine di km

Una palla di fuoco – ustioni gravi, vasti incendi e tempeste di fuoco

3 – 4 km

In pochi secondi

Un’onda d’urto supersonica distrugge gli edifici e uccide le persone

4 – 5 km

In poche ore

Il fallout radioattivo – che prosegue per anni

Decine di km sottovento

In ore o giorni

Gli esiti sulla testata nucleare: un fallout di lunghissima durata – richiede decenni per decadere

Centinaia di km

Da settimane a mesi

Varie forme di cancro e mutazioni genetiche

Centinaia di km

Negli anni

Nel caso di un ordigno che esplode a livello del suolo – livelli pericolosi di radiazione di fondo

Entro 1.5 km


I danni da radiazione si manifesterebbero entro una vasta area, persistendo per un numero indefinibile di anni. Le devastazioni di Hiroshima e Nagasaki, poi di Chernobyl e Fukushima, dovrebbero avere insegnato che i danni da radiazioni (siano essi provocati in tempi di guerra o di pace), al di là delle tragedie immediate, rendono invivibili alle comunità umane e agli altri viventi vasti territori, sottraendoli alle possibilità di abitarci, di coltivare la terra, di raccoglierne i frutti: interi ‘pezzi’ del nostro pianeta resi inaccessibili.

La crescente duttilità e maneggevolezza delle nuove bombe nucleari, le B61-12, da un lato ci fa capire che la ricerca militare sugli armamenti nucleari continua senza sosta (con tutte le implicazioni del caso, per esempio la necessità di eseguire dei test per valutarne l’efficacia); dall’altra rende sempre più necessario attivare sistemi di controllo per evitare sia gli incidenti, sia gli eventuali furti.

La pace è già guerra contro l’ambiente. La preparazione alla guerra – che viene curata in tempi di pace – è già di per sé una guerra all’ambiente. Basti pensare a tutto ciò che ‘sta dietro’ a un aereo da combattimento. Oltre ai materiali necessari per costruirlo (acciaio, alluminio, plastica, terre rare, acqua, petrolio…) bisogna provvedere agli accessori, e curare la formazione e l’addestramento dei piloti, e le esercitazioni in campo.

immagine 03 ambiente e guerraDue immagini offrono qualche spunto di riflessione: la prima illustra un aereo Eurofighter con gli armamenti che può portare. La seconda è una foto-ricordo scattata nel 2013 per celebrare le 200.000 ore di volo di addestramento. L’intera flotta di Eurofighter Typhoon ha compiuto finora (dati del 2016) 330.000 ore di volo nel mondo. Un Eurofighter può caricare 4.500 kg di carburante, con cui può volare alla massima potenza per 8,5 minuti. Per ogni tonnellata di carburante si emettono circa 3 tonnellate di CO2. Tra prelievi di risorse, produzione di inquinanti, investimenti economici e culturali orientati alla guerra, anche i periodi ‘di pace’ in realtà sono continui atti di guerra contro la natura.

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L’impronta ecologica del sistema militare

Questo termine – impronta ecologica – è ormai molto conosciuto, grazie al lavoro di ricerca e divulgazione compiuto da un gruppo di studiosi che hanno introdotto questo concetto alcuni decenni fa e hanno eseguito moltissime misure (www.footprintnetwork.org). L’impronta ecologica misura l’impatto ambientale di una persona, di un paese, di una attività, di un oggetto, calcolando quanto si preleva dalla Terra per soddisfare le esigenze di energia, di cibo, di spazio per abitare ecc. , e quanto si produce in termini di emissioni inquinanti o tossiche. Più recente è stata l’introduzione del concetto di Carbon footprint (“impronta di carbonio”) che rappresenta l’emissione di gas clima-alteranti (tra cui CO2, CH4, Ossido nitroso N2O, Idrofluorocarburi HFCs) attribuibile a un prodotto, un’organizzazione o un individuo. Viene così misurato l’impatto che tali emissioni hanno sui cambiamenti climatici di origine antropica.

L’impronta del carbonio delle attività militari non solo non è nota, ma non è stata finora presa in seria considerazione, neppure in sedi internazionali molto importanti come il recente COP 21 a Parigi. Eppure alcuni studiosi già da tempo avevano richiamato l’attenzione sul carico ambientale del sistema militare, come scriveva Bruce E. Johansen16 nel 2008:

Attualmente conosciamo l’impronta di carbonio di un pacchetto di patatine che compriamo in un grande magazzino, oppure quella di un paio di scarpe da jogging, ma la guerra resta non misurata.

Se vogliamo essere davvero seri quando parliamo di impronta di carbonio, dobbiamo conoscere la quantità di gas serra prodotta da ogni battaglione che va in guerra, di ogni bomba sganciata, di ogni carro armato schierato. Mi sono chiesto quanta CO2 è stata immessa in atmosfera dalla nostra guerra in Iraq – a partire da quella prodotta per trasportare 160.000 uomini di truppa e 130.000 contractors dagli USA fino in Iraq, spesso in aereo, con i loro equipaggiamenti e provviste. Ho letto che 1,4 milioni di bottiglie di acqua al giorno sono state inviate alle nostre truppe, per evitare la disidratazione nei caldi giorni estivi a Baghdad, e mi sono domandato quanto gasolio e benzina sono stati consumati per portare quelle bottiglie fino alle zone di guerra – e si tratta solo di una piccola fetta dell’impronta di carbonio della guerra moderna”.

Smascherare l’elefante in salotto

L’elefante in salotto: così viene definita la grande macchina bellica degli Stati Uniti, che produce da sola più CO2 di intere Nazioni, ma di cui non si parla nelle occasioni importanti, come il COP21 di Parigi dello scorso dicembre. Il contributo del sistema militare all’effetto serra è stato di recente portato all’attenzione da due studiose: la prima è stata H. Patricia Hynes, docente di ‘salute ambientale’, che nel 2011 ha segnalato una serie di problemi ambientali causati dalle attività militari degli USA. Nel 2014 Tamara Lorinz , dell’International Peace Bureau, ha messo disposizione del pubblico un lungo e circostanziato documento17,nel quale, oltre a denunciare le responsabilità degli apparati militari nel produrre emissioni climalteranti, suggerisce delle misure da prendere per favorire la transizione a comunità ambientalmente più sostenibili. E’ disponibile una sintesi in italiano18.

Il cambiamento climatico: vittime / colpevoli

E’ ironico che, nonostante le responsabilità che hanno nella crisi climatica, alcune delle voci che con maggiore forza richiedono di intervenire sul cambiamento climatico sono proprio quelle dei militari, ai quali fanno subito eco i politici. Il Primo Ministro inglese, David Cameron, ha di recente affermato che “il cambiamento climatico costituisce una delle più gravi minacce al nostro mondo. E non si tratta solo di una minaccia all’ambiente. E’ una minaccia alla nostra sicurezza nazionale, alla sicurezza globale…”

Potrebbe essere vantaggioso avere i militari al nostro fianco per fronteggiare questa sfida ambientale… ma conviene essere cauti: le strategie militari messe in campo riguardano l’aumento di sicurezza dei confini, la protezione delle vie di transito per le multinazionali, il controllo dei conflitti sulle risorse e la repressione delle manifestazioni di protesta. Le vittime del cambiamento climatico vengono trasformate in ‘minacce’, da controllare o da combattere. E non traspare alcuna propensione ad analizzare criticamente il ruolo stesso dei militari e le loro responsabilità nel produrre la crisi climatica.

Addirittura, ci sono evidenze che molti soggetti coinvolti nella rete tra corporazioni, apparati militari, sistemi di sicurezza e potenze industriali vedano già il cambiamento climatico come una opportunità. Le industrie di armi e di sistemi di sicurezza vivono grazie ai conflitti e all’insicurezza, e il cambiamento climatico promette altri nuove opportunità finanziarie in questa perdurante Guerra al Terrore.

La potentissima impresa inglese BAE Systems è stata sorprendentemente esplicita in uno dei suoi report annuali, in cui si legge “Nuove minacce e nuove arene di guerra pongono richieste senza precedenti alla forze militari, e presentano alla BAE Systems nuove sfide e opportunità”.

Il pianeta in transizione

Il modello di sviluppo tecno-scientifico – industrial- militare che domina attualmente sul pianeta è incompatibile con gli equilibri della biosfera e con i processi di evoluzione degli ecosistemi. Ed è incompatibile con l’equa distribuzione di risorse naturali. Uno schema pubblicato alcuni anni fa da un gruppo di studiosi metteva già in guardia la società civile e i politici sulle conseguenze di un prelievo incontrollato di risorse, e di una produzione altrettanto incontrollate di sostanze (spesso nuove, artificiali, incompatibili con il normale metabolismo dei viventi) sugli equilibri dello biosfera. Lo stesso schema, arricchito di alcuni punti interrogativi, è stato ripresentato di recente19. Oltre al cambiamento climatico, che si sta manifestando in modo evidente negli ultimi anni, altre trasformazioni – meno evidenti (come lo squilibrio di alcuni elementi chimici, come il fosforo e l’azoto) o addirittura ancora non rilevate – sono chiari sintomi dei rischiai quali sta andando incontro la comunità umana nel perturbare l’ambiente che da milioni di anni la ospita. La guerra – sia nella sua manifestazione esplosiva sia in tutti i processi che ne sono alla base (dalle ricerche scientifiche sulle armi chimiche all’addestramento dei piloti ai consumi di carburante) rappresenta la causa maggiore di squilibrio ambientale.

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La violenza esplosiva della guerra e la violenza ‘lenta’ dell’ecocidio

Ma quando si parla di impatto ambientale della guerra spesso si dimentica che la violenza esplosiva del conflitto armato è sempre accompagnata da forme più occulte di violenza, che per lo più si manifestano su scale spaziali e temporali diverse da quelle dello scontro armato. Come ricorda Edgar Morin al demone della guerra si accompagna quello del calcolo, del profitto, della tecnologia al servizio dell’economia. I prelievi (spesso l’esaurimento) di risorse, la sottrazione di quanto è necessario per vivere (terreno agricolo, acqua), gli inquinamenti che colpiscono persone e luoghi a distanza di tempo, spesso inaspettatamente e subdolamente, sono espressione dell’illecito potere di una minoranza nei confronti del resto dell’umanità. Un gruppo di studiosi da alcuni anni è impegnato a individuare e documentare i conflitti socio-ambientali presenti in tutto il mondo, che vedono opporsi con modalità nonviolente popolazioni di contadini, pescatori e comunità indigene ai tentativi – da parte di governi e multinazionali – di appropriarsi delle loro risorse vitali: l’acqua, la terra, le foreste. Questi studiosi stanno attivando reti internazionali di difesa e sostegno a queste popolazioni, e di coordinamento tra queste realtà stesse, attraverso i contatti diretti e grazie alla condivisione di un sito: http://ejatlas.org/. Le tipologie di conflitti riguardano la costruzione di grandi dighe, di centrali nucleari e a carbone, di gestione dell’acqua e dei rifiuti, di ‘furto’della terra (land grabbing) , di estrazione di combustibili fossili, di impianti industriali, ecc.

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In Italia purtroppo sono numerose le forme di violenza lenta esercitate sulle popolazioni: molti dei grandi impianti industriali – dall’ACNA di Cengio all’ILVA di Taranto, all’Eternit di Casale – hanno compiuto atti di guerra contro l’ambiente e lasciato eredità di morte e di distruzione.

Le responsabilità della società civile….

La società civile, pur non essendo direttamente responsabile delle forme di violenza sopra descritte, è il principale ingranaggio attraverso il quale la minoranza dei potenti realizza i suoi obiettivi.

Possiamo elencarne alcune:

  • l’uso irresponsabile delle risorse (viaggi, internet, consumismo, alimentazione …)
  • il disimpegno politico
  • l’indifferenza verso le conseguenze delle nostre scelte su altri popoli ed ecosistemi
  • la perdita di cura e reverenza verso la natura…

Due esempi:

  1. L’uso ‘incontrollato’dei mezzi informatici. Social media, musica, streaming video, email e commercio online… le nostre vite sono sempre più proiettate nel mondo virtuale… che tuttavia ha bisogno di ENERGIA e MATERIA per funzionare. Il traffico globale su internet sta aumentando esponenzialmente. Nel 2000 100 Gigabytes / sec Nel 2012 12.000 Gigabytes / sec E si prevede di triplicarlo entro il 2017. I dati fluiscono dai cellulari, i PC, le reti di telecomunicazione e i centri di smistamento. Secondo il Digital Power Group, queste strutture consumano 1.500 Terawatt ore (TWh) di elettricità all’anno: il 10% dell’elettricità consumata nel mondo, pari al consumo di Germania e Giappone insieme. Quanto del tempo che trascorriamo ‘connessi’ è davvero giustificato>?
  1. La mancata difesa del suolo. In Italia, con la sua conformazione prevalentemente collinare e montagnosa, il terreno fertile dovrebbe godere di particolare protezione: è quello che ci permette di coltivare, di produrre cibo. Si assiste al dilagare di centri commerciali, autostrade, aree cementificate senza che ci sia una opposizione diffusa e compatta. Anzi, mentre nelle vicinanze ci sono parchi e boschi, la gente si accalca nei parcheggi dei ‘non luoghi’ a fare shopping.

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Come è espresso efficacemente sul sito dell’Associazione20 “il consumo di territorio è un cancro che avanza ogni giorno, al ritmo di quasi 250 mila ettari all’anno. Dal 1950 ad oggi, un’area grande quanto tutto il nord Italia è stata Seppellita sotto il cemento”.

Ricerche riflessioni e azioni possibili

Le proposte della nonviolenza –pur continuando ad essere considerate nell’immaginario comune deboli e inapplicabili, in realtà stanno diventando una forza politica trainante in grado di sovvertire il pensiero convenzionale e di trasformare dal basso sia le idee, sia le condizioni sociali in modi imprevisti, rapidi e diffusi.

Movimenti di contadini e comunità indigene di vari Paesi stanno cominciando a conoscersi e a cooperare; le giornate mondiali di azione contro le spese militari raccolgono crescenti adesioni; si moltiplicano le pubblicazioni di denuncia delle forme di violenza – sia quella esplosiva della guerra contro gli umani sia quella lenta e strisciante contro la biosfera.

Le proposte della nonviolenza –pur continuando ad essere considerate nell’immaginario comune deboli e inapplicabili, in realtà stanno diventando una forza politica trainante in grado di sovvertire il pensiero convenzionale e di trasformare dal basso sia le idee, sia le condizioni sociali in modi imprevisti, rapidi e diffusi. E creativi.

Richiesta di risarcimenti. Un totale di 210 test nucleari, condotti fra il 1966 e il 1996, è il bilancio degli esperimenti fatti nei territori oltremare della Polinesia francese, nelle acque del Pacifico. Per i danni derivanti da quelle controverse operazioni, il Parlamento locale si prepara a chiedere a Parigi rimborsi per 800 milioni di euro.

In difesa dei diritti dei giovani. L’autrice, un avvocato che rappresenta 21 giovani querelanti e un noto scienziato del clima, descrive una causa che i suoi clienti vogliono intraprendere per obbligare il governo degli Stati Uniti a smettere le azioni di discrimazione contro i giovani e contro le future generazioni, e ad adottare politiche in grado di proteggerli da cambiamenti climatici pericolosi.

Essi sperano che il terzo ramo del governo federale – il potere giudiziario – intervenga a proteggere i loro diritti fondamentali.

Diritti di Madre Terra. Nelle costituzioni di Ecuador e Bolivia, vigenti rispettivamente dal 20 ottobre 2008 e dal 7 febbraio 2009, vengono disciplinati per la prima volta i diritti della natura. Essa passa da oggetto a soggetto titolare di situazioni giuridiche, aprendo un nuovo capitolo nella storia del diritto.

Pace tra umani, pace con la Terra

Non si può più parlare di guerra, di armi, di scontri, di strategie, senza tener conto del contesto: l’ambiente non è lo sfondo del palcoscenico sul quale si svolgono gli atti di guerra. Noi siamo dentro all’ambiente, dai cui flussi di materia e di energia dipendiamo ad ogni istante. E’ il mondo naturale che alimenta le nostre idee e le nostre emozioni; che sviluppa il contatto con il mondo interiore. Parole pronunciate da persone molto diverse – un’attivista ambientale, una scrittrice, uno studioso della pace, un regista… – ci offrono spunti di riflessione e di azione nonviolenta all’interno della nostra Terra.

Decolonizzare la mente

Finora le nostre risposte sono state frammentarie: come cittadini non siamo stati capaci di esprimere il potere che di fatto abbiamo. Se si mettono insieme le persone che difendono le api, quelle impegnate per i diritti animali, quelle che lottano per le terre, o per il diritto al cibo, ci rendiamo conto che le loro lotte non erano integrate tra loro. Occorre liberarsi dalla colonizzazione della mente, che ci fa sembrare così tante distruzioni come inevitabili. Una volta che ci siamo liberati da questo condizionamento, possiamo cominciare a definire le cose in modo diverso, e ciò che sembrava impossibile secondo il vecchio paradigma diventa facilissimo nella visione nuova. (Vandana Shiva, 2016).

Decolonizzare… il cuore

Vorrei scrivere un libro sulla guerra tale da provocare nel lettore nausea e repulsione per essa, così che già la sola idea della guerra gli diventi odiosa. E ne veda la demenza…

I racconti femminili sono altri e parlano d’altro. La guerra ‘al femminile’ hai propri colori, odori, ha una sua interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti. E anche parole sue. Dove non ci sono eroi e strabilianti imprese, ma semplicemente persone reali impegnate nella più disumana delle occupazioni dell’uomo. E a soffrirne non sono solo loro, le persone, ma anche i campi, gli uccelli, gli alberi. Ogni cosa che convive con noi su questa terra. (Svetlana Aleksievic, 2015).

Creatività, uguaglianza… pace

Se una chiave importante per il conflitto è la creatività, quale sarà, quindi, la chiave adatta per la pace? Non facciamo chiacchiere, per favore, solo una parola! La parola è uguaglianza. […] La pace è basata sulla reciprocità, che a sua volta si basa sull’uguaglianza, diritti uguali e uguale dignità. […] Riprendiamo dall’elementare teoria della pace una definizione più precisa sulla reciprocità: qualunque cosa tu voglia per te stesso, dovresti anche volerlo offrire all’altra parte, se essa lo desidera (Galtung, 2014).

Inventare la pace è un metodo, una tecnica per ridefinire il modo in cui vediamo gli altri e noi stessi. Inventare la pace significa inventare i mezzi etici per immaginare il mondo in modo diverso. (Wenders & Zournazi, 2014).


7 18 luglio 2013. Strage di Viareggio,42 imputati rinviati a giudizio. Tutti gli imputati, 33 persone fisiche e 9 società sono state rinviate a giudizio. Dunque, vanno a processo – che inizierà il prossimo 13 novembre – l’ad di Fs, Mauro Moretti, dirigenti e funzionari delle società del gruppo ferrovie e delle ditte proprietaria del carro o di manutenzione. Entro la fine del 2016 è attesa la sentenza di primo grado.

8 In servizio in Italia dal 2004, equipaggia tra gli altri il 4°, 36° e 37° Stormo dell’Aeronautica Militare. Oltre ai quattro paesi partner che ne hanno ordinati fino ad oggi 472 esemplari, i clienti internazionali comprendono Arabia Saudita (72 aerei), Austria (15), Oman (12) e Kuwait (28). http://www.leonardocompany.com/-/eurofighter-typhoon

9 L’impiego dello Storm Shadow (missile con oltre 500 chilometri di raggio d’azione) sul Typhoon conferma inoltre che il velivolo europeo è perfettamente in grado di effettuare missioni di attacco aria-suolo anche di tipo strategico.

14 L’International Peace Bureau (o Bureau international permanent de la paix) è la più antica associazione umanitaria mondiale per la diffusione dell’idea del pacifismo, vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 1910.

16 Uno studioso USA esperto di diritti delle popolazioni indigene e di diritti ambientali

17 Demilitarization for Deep Decarbonization: Reducing Militarism and Military Expenditures… by Tamara Lorincz, Senior IPB Researcher, September 2014, 80pp

19 Will Steffen et al. Vol 347, Issue 6223, 13 February 2015.

20 http://www.stopalconsumoditerritorio.it/ . Questa associazione ha promosso la costruzione di una Rete di oltre 1.000 organizzazioni che hanno dato vita al Forum nazionale “Salviamo il Paesaggio” chiede che si approvi rapidamente una legge efficace per arrestare il consumo del suolo http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/

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