Gas in Etiopia. I crimini rimossi dell’Italia coloniale | Recensione di Paolo Candelari
Simone Belladonna, Gas in Etiopia. I crimini rimossi dell’Italia coloniale, Neri Pozza, Vicenza 2015, pp. 288, € 19,00
«Italiani, brava gente», un refrain che abbiamo sentito più volte, da tutti noi più o meno consapevolmente accondisceso, quasi un mantra autoassolutorio che di fronte alle nefandezze più volte perpetrate nella storia ora da questo ora da quello, sembra consolarci che almeno «noi italiani» non siamo coinvolti.
E invece no, non tutti gli italiani sono sempre stati «brava gente»; anche noi abbiamo le nostre pagine buie, i nostri scheletri negli armadi; e se non si tratta di episodi che hanno coinvolto masse di milioni di persone, e per questo non sono assurti al rango di pagine di storie (e dunque sono stati più facilmente silenziati), cionondimeno sono accaduti, e meglio sarebbe prenderne coscienza, analizzarli, capirli e costruire quella cultura che li renda non ripetibili.
Tra questi uno dei fatti più gravi e anche relativamente recenti, è quello dell’uso dei gas durante la guerra d’Etiopia del 1935-36, analizzato da Simone Belladonna in questo volume Gas in Etiopia pubblicato da poco da Neri Pozza. ignificativo il sottotitolo, «I crimini rimossi dell’Italia coloniale».
Il libro ha come parte centrale la questione dell’uso dei gas, su cui fornisce ampia documentazione, sia ufficiale, sia di testimonianze, ma in realtà esamina tutta la problematica della guerra d’Etiopia. Essa viene collocata nel contesto politico dell’epoca: l’«impresa» che avrebbe dovuto riscattare l’Italia e farla assurgere nel novero delle grandi potenze coloniali, la massima realizzazione del fascismo, che infatti ne fece anche un grande evento propagandistico, oltre che militare.
In essa vennero impiegati mezzo milione di uomini e tutto il meglio (si fa per dire) che l’arsenale militare italiano poteva offrire, gas in testa. Non fu soltanto una grande campagna coloniale ma una vera e propria «guerra nazionale”» che coinvolse tutto il Paese.
L’ultimo capitolo è infine dedicato al dibattito che proprio sull’uso dei gas si innescò. La guerra d’Etiopia, una guerra di pura e semplice aggressione, e le nefandezze in essa compiute (oltre ai gas, le rappresaglie feroci) venne rimossa nell’Italia del dopoguerra, e l’uso dei gas semplicemente negato.
Perché l’opinione pubblica italiana venga a conoscere la verità su quei tremendi crimini bisognerà attendere il 1996, quando il ministro della difesa, Corcione, farà alcune parziali ammissioni. Il governo imperiale etiopico cercò di trascinare Badoglio, Graziani (i generali comandanti l’esercito durante e dopo l’aggressione all’Etiopia, e responsabili sia dell’uso dei gas che di altre gravi violazioni dei diritti umani) e altri criminali di guerra sul banco degli imputati dopo il ’45, ma i nuovi alleati (Stati Uniti e Inghilterra) esercitarono pressioni sull’imperatore Hailè Selassiè per dissuaderlo. E così il mito di «faccetta nera bell’abissina» continuò imperterrito. Quando degli storici come Angelo Del Boca e Giorgio Rochat, a partire dagli anni Sessanta, denunciarono questi fatti pubblicamente, ci fu un coro di negazioni, la cui più nota e «testarda» fu quella di Indro Montanelli.
Come dice l’autore a conclusione del suo libro: «Non si trattò [la guerra d’Etiopia, NdR] di un’allegra gita civilizzatrice in Africa; banalizzarla è un efficacissimo metodo di autoassoluzione. Il mito degli “italiani brava gente” è in sé una ipersemplificazione di avvenimenti storici molto più complessi, ed è quindi una utilissima banalizzazione allo stesso tempo tanto fuorviante quanto rassicurante. È uno schema mentale che, come abbiamo visto, ci portiamo dietro ancora oggi».
Parole da tenere presenti soprattutto in questi giorni quando i nostri governanti si apprestano a compiere una ennesima impresa «coloniale» spacciandola per «missione civilizzatrice».
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