Italia USA e getta | Recensione di Cinzia Picchioni


cop_Gianni Lannes, Italia USA e gettaGianni Lannes, Italia USA e getta, Arianna Editrice, Bologna 2014, pp. 96, € 9,80

Il significato del titolo

L’uso del maiuscoletto per scrivere la parola «usa» nel titolo è subito spiegato, e fa subito arrabbiare. «Usa» non è voce del verbo usare – o meglio sì, lo è – ma è la sigla con la quale ormai anche noi siamo abituati a riferirci agli Stati Uniti: United States of America=USA appunto. Di solito sarebbe meglio usare le parole «Stati Uniti» (e non chiamare genericamente «America» quella parte del grande continente, perché l’America è un’altra cosa). Ma in questo caso è venuto bene usare il nome americano, perché è congeniale – e geniale – al significato: gli U.S.A. usano l’Italia come discarica e gettano nei suoi mari i loro ordigni nucleari. Sì, avete letto bene (magari lo sapevate già; io no, o almeno non così!): «L’Adriatico e il Tirreno sono stati trasformati segretamente dalle Forze Armate anglo-americane, in discariche di armi vietate dalle Convenzioni Internazionali di Ginevra e di Parigi […] circa un milione di bombe eterogenee caricate con aggressivi chimici e nucleari», dalla Quarta di copertina.

Questa realtà è ben spiegata nel libro che presentiamo, con tanto di originali di lettere (dattiloscritte, con una normale macchina per scrivere) intercorse fra i «nostri» ministri di allora e gli omologhi statunitensi e anche belgi, tedeschi e olandesi. I «patti» permettono agli Stati Uniti di schierare armi nucleari sul territorio italiano, ma anche di usarle – se gli Stati Uniti ne decidessero l’impiego- e per questo si addestrano dei piloti italiani (a Capo Frasca – Oristano – Maniago – Pordenone), come dichiarato da uno di loro (la testimonianza è fra le pagine del libro).

Italia denuclearizzata?

Dal libro di Lannes apprendiamo che il parere dei cittadini italiani non conta nulla perché «[…] l’autorità giudiziaria italiana non ha il potere di interferire sull’apparato difensivo italo-americano […] il popolo italiano […]non può legittimamente decidere di are allontanare dal proprio Paese le bombe nucleari USA», p. 27, dove si narra di alcuni cittadini pacifisti di Aviano e della sentenza del 2009 che li ha bocciati nel loro ricorso. Tutto questo nonostante la legge 185 del 9 luglio 1990 «che vieta la fabbricazione, il transito, l’esportazione e l’importazione di armi chimiche, biologiche e nucleari», p. 29. Come questa, nel libro sono trascritti decreti, leggi, articoli, sono citati siti e documenti tutti verificabili; come verificabile è l’elenco – impressionante – degli incidenti, da p. 59 a p. 61 (!), occorsi nel Mediterraneo e non solo, dal 1963 al 2005 (e dopo il 2005? Forse ce ne sono stati altri? E/o ce ne sono stati altri, ma non si è saputo? O non si è voluto che si sapesse?): sottomarini nucleari che impattano su una nave-scuola, ma anche pescherecci che «pescano» un sottomarino al posto del tonno…

C’è poco da ridere però. Nel libro si ipotizzano disastri in caso di incidenti, anche perché non c’è alcuna preparazione, né alcun «piano di emergenza» (ammesso che serva dopo un’esplosione nucleare…): «[…] è davvero angosciante pensare che, in caso di emergenza reale, la vita di decine di migliaia di persone dipenderebbe da […] pezzi di carta contenenti disposizioni obsolete e inattuabili», p. 53. Per questi motivi – non avvertire la popolazione, non avere piani di emergenza fattibili – l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia europea, nel 2006. Ma tant’è…

Là in mezzo al mar, ci stan camin che fumano…

Be’ non so se sono tanto contenta di aver letto questo libro per recensirlo. Già da tempo non riesco più a guardare il mare Adriatico perché all’orizzonte si vedono navi militari, piattaforme e pozzi che stanno lì da anni a fare chissacché (e non mi piace saperlo; preferivo guardare all’orizzonte e immaginare il vasto mare pieno solo di pesci fino alla Jugoslavia). Ora sono consapevole anche di altro: «Di Chernobyl galleggianti ne abbiamo almeno sei o sette, in navigazione nei mari italiani, e sovente effettuano soste urbane addirittura in dodici città: […] Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellamare di Stabia, Gaeta, Livorno, Napoli, La Maddalena, Taranto, Trieste, Venezia e La Spezia», p. 41. La Spezia??? Venezia??? Non solo le «grandi navi» turistiche allora? E io che per non inquinare il mare mi preoccupo di non usare il detersivo per la lavatrice…

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