Diario di una peace-keeper: “E’ come se il conflitto ci seguisse” | Adrianne Lapar


Idomeni


Khameel è seduto su pezzo di cartone in una tenda, nel nord della Grecia. Siamo vicinissimi al confine con la Macedonia, e lontanissimi dalla casa di Khameel, in Iraq. Ma all’improvviso la sua casa non sembra così distante, quando si curva e mi dice “è come se il conflitto ci stesse inseguendo”.

Khameel è un giovane della comunità Yazidi (che vive nel nord dell’ Iraq) che ha dovuto abbandonare la sua città, Sinjar, nell’agosto 2014, quando fu occupata dai combattenti dello Stato Islamico del Levante (Islamic State in the Levant – ISIL). “Daesh ci ha portato via le donne” spiega Khameel, riferendosi all’ ISIL con il suo acronimo Arabo, e denunciando la riduzione in schiavitù sessuale di migliaia di ragazze Yazidi. Khameel, insieme a decine di migliaia di altri membri della comunità Yazidi, fuggì sulle montagne vicine (le Sinjar Mountains), e rimase nascosto lassù per una settimana, prima di raggiungere a piedi la zona nordorientale della Siria. Qui, insieme ad altri Yazidi, si fermò per circa una settimana, sopravvivendo a fatica grazie al buon cuore dei civili Curdi Siriani, prima di riprendere il cammino verso il Kurdistan Iracheno.

Khameel ha trascorso quasi due anni vivendo in condizioni miserevoli in tende affollate in un campo allestito per sfollati interni (internally displaced persons – IDPs) prima di decidersi a tentare il viaggio verso l’Europa, in cerca di una vita in cui sentirsi libero dall’insicurezza e dalla discriminazione. Ma il viaggio si è rivelato molto più difficile del previsto. In Turchia ha incontrato ancora più discriminazione, violenza, ingiustizia. Mi racconta che “ in Turchia non puoi dire che sei della comunità Yazidi…non ci accettano.”

Mentre era diretto verso la costa turca, Khameel racconta che il bus su cui viaggiava fu fermato dalla polizia locale. Stando a quanto dice Khameel, sia lui che gli altri passeggeri – per lo più rifugiati Iracheni e Siriani – furono portati a una vicine centrale della polizia, picchiati e interrogati: da dove venivano? Dove volevano andare? La polizia pretese che ciascuno di loro pagasse 15 Euro, minacciandoli di sbatterli in prigione se non pagavano. Così Khameel e parecchi altri pagarono, e racimolarono anche i soldi per chi non ne aveva abbastanza.

Khameel aveva già alle spalle tutto questo quando incontrò il momento più pericoloso del suo viaggio: attraversare il Mare Egeo per raggiungere la Grecia su un barcone. Ricorda che era molto preoccupato per una famiglia Yazidi che aveva incontrato lungo la strada: una coppia di persone anziane con una figlia adulta, cieca. “Se il barcone fosse affondato sarebbero morti tutti e tre annegati”.

Sono trascorse alcune settimane, e Khameel sta seduto di fianco a me in una tenda di fortuna, e mi spiega la situazione che vive in un campo di transito che ospita 8000 tra rifugiati e migranti nel villaggio di Idomeni, nel nord della Grecia. (Nel frattempo il numero è cresciuto enormemente, fino a ospitare quasi 14.000 persone.)
Ci dice che la gente Yazidi deve affrontare molti problemi da parte di vari gruppi che sono anch’essi ospitati nel campo: si tratta soprattutto di gruppi di altre etnie e religioni, provenienti da Siria e Iraq. Khameel spiega che vengono molestati e minacciati mentre fanno la coda per la distribuzione di generi alimentari e l’assistenza umanitaria, e a fatica riescono ad avere accesso al cibo e ai servizi di base.

Quando chiedo a Khameel quali sono i suoi piani, mi dice che vuole andare in Germania: ha sentito dire che i tedeschi si prendono cura dei Yazidi. Ma non sa quando arriverà il suo turno per superare la frontiera: la polizia alla quale ha chiesto informazioni non sembra più informata di lui “Forse tra una settimana?” con un’alzata di spalle rispondono che gli ordini arrivano dall’alto. Senza un posto migliore dove andare, tutto quello che Khameel può fare è aspettare.


Titolo originale: Diary of a Peacekeeper: “It’s Like the Conflict Is Following Us”.
http://www.nonviolentpeaceforce.org/what-we-do/stories-from-the-field/79-middle-east-news/572-diary-of-a-peacekeeper-it-s-like-the-conflict-is-following-us

Traduzione di Elena Camino per il Centro Studi Sereno Regis


Nonviolent Peaceforce (NP) è una Organizzazione Non-governativa Internazionale che promuove e realizza la protezione di civili non armati, come modalità per ridurre la violenza e proteggere i civili in situazioni di conflitti violenti. NP è nata dall’idea di alcuni dei partecipanti all’Appello dell’Aja per la Pace (1999), ed è stata formalizzata nel 2002. Con oltre 200 operatori sul campo, Nonviolent Peaceforce incoraggia il dialogo tra le parti in conflitto e offre una presenza protettiva ai civili minacciati.

Adrianne Lapar fa parte di Human Rights Watch ed è impegnata nel campo dei Diritti Umani a livello Internazionale.

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