Soluzioni vecchia scuola a problemi di nuova generazione: l’inefficacia dei muri che tagliano il mondo

Margherita Bo

Hanno fatto molto scalpore le parole pronunciate da Papa Francesco sul volo del ritorno dal su viaggio in Messico:“chi costruisce solo muri non è cristiano”. La frase rappresenta un chiaro riferimento all’agenda politica in ambito di immigrazione di Donald Trump.  L’immigrazione rappresenta infatti uno dei temi più caldi nella politica interna statunitense e, con le elezioni presidenziali ormai prossime, è diventata un’arena su cui cercare di accaparrarsi il maggior consenso possibile. Il progetto di Trump a riguardo è piuttosto semplice: costruire un muro, un enorme muro, da alcuni già soprannominato The Great Wall of Trump. 

La difesa dei confini rappresenta un tema importante nell’agenda politica di ogni paese e, nonostante l’idea possa sembrare anacronistica, sempre più spesso i muri sono proposti, quando non utilizzati, come soluzione a problemi di sicurezza e controllo di immigrazione e criminalità.
Tra i numerosi muri che tagliano il mondo oggi i più noti sono il Benemoth americano che corre lungo il confine meridionale tra Stati Uniti e Messico e il muro israeliano, detto il Muro, che si snoda attraverso la Cisgiordania. Anche il Sud Africa del post apartheid ha elettrificato il confine con lo Zimbabwe, l’Arabia Saudita ha eretto una struttura di pilastri di cemento sul confine con lo Yemen, l’India ha letteralmente murato fuori Pakistan, Bangladesh e Burma murando dentro i territori contesi del KashmirL’Unione Europea sponsorizza la costruzione di un triplice ordine di recinzioni nelle enclave spagnole in Marocco e anche la Cina ha eretto un muro al confine con la Corea del Nord, che a sua volta ne ha costruito uno, parallelo a un tratto di quello cinese, per tener fuori la Cina. Più di recente la stessa Ungheria ha scelto di rispondere all’emergenza migranti recintando il proprio confine con la Serbia, seguendo Slovenia, Austria Macedonia
I muri tuttavia si rivelano una risposta inefficace e contraddittoria al problema del mantenimento della sicurezza. Particolarmente emblematici di questo tipo di contraddizioni i due più noti muri di oggi: il Muro israeliano e il Benemoth statunitense. Il primo è considerabile come lo sviluppo di un’architettura coloniale che rappresenta uno strumento di insediamento, separazione occupazione. Il secondo è emblematico delle ansie diffuse nel Nord del mondo per gli effetti che le pressioni del Sud impoverito possono avere sulla sua economia e cultura. Nessuno dei due muri ha assolto alla propria funzione di controllo delle minacce, anzi.
Il Muro Israeliano, la cui principale caratteristica è la geografia variabile, è stato eretto 40 anni fa come misura provvisoria e costituisce uno strumento di appropriazione territoriale strategica che Israele veste da misura antiterroristica. Lungi dal produrre pace e ordine ha messo in ginocchio l’economia palestinese e ha creato umiliazione, segregazione, sradicamento sociale e umiliazione psichica. Il Muro infatti, costituendo una perpetua dichiarazione di “stato di emergenza” autorizza soluzioni di emergenza quali l’uso arbitrario della violenza, istituzionalizzando e incarnando lo stato di conflitto per il controllo dei territori. Oltre a non creare alcun presupposto di pacificazione e incremento della sicurezza, il Muro non costituisce nemmeno un vero proprio confine. Non essendo né permanete né definito, è solo la messa in scena di una frontiera che legittima violenza e penetrazione territoriale
La barriera di confine tra Stati Uniti e Messico è un altro esempio delle numerose contraddizioni che costruiscono i muri. Eretto a partire dal 1990 con la San Diego Fence, ha da subito mostrato la sua limitata efficacia come deterrente all’immigrazione illegale e all’incidenza del contrabbando di droga. La costruzione del muro al fine di bloccare l’immigrazione di manodopera a basso costo, peraltro resa sempre più necessaria dalle spinte della globalizzazione sulla riduzione dei costi del lavoro, ha inoltre creato situazioni grottesche, come le numerose multe alla Golden State Fence Company, impresa che ha realizzato un lungo tratto di barriera, per l’utilizzo di manodopera resa illegale da restrizioni all’immigrazione quali il muro stesso. Situazioni altrettanto grottesche si sono presentate in Israele quando, per esempio, le donne israeliane hanno protestato contro il tracciato previsto dal Muro, che avrebbe bloccato l’accesso alle loro donne delle pulizie, residenti in un vicino villaggio palestinese.
Anche gli impatti sulla riduzione dei flussi di narcotraffico provenienti dal Messico sono stati deludenti. Come ogni offerta, infatti, anche quella di droga è determinata dalla domanda, col risultato che concentrarsi sul contrabbando invece che sulla prevenzione della tossicodipendenza ha il solo risultato di incrementare i costi degli stupefacenti lasciando invariato il numero di drogati.
Oltre ad essere inefficaci queste misure rischiano di acuire i problemi che si trovano a fronteggiare: l’intensificazione dei controlli e il ricorso alla violenza in risposta ad essi hanno infatti reso i territori di confine zone sempre più bellicose. I contrabbandieri si sono fatti via via più violenti e armati. Solo nel 2007 in California sono stati registrati oltre 340 attacchi contro la polizia di frontiera con armi che vanno dalle tavole chiodate alle bombe molotov. Il terrificante risultato è stata la trasformazione di piccole città di confine in vere e proprie fortificazioni per i contrabbandieri, con tanto di torri di guardia sui tetti delle case e guardie armate. A questo si aggiunge l’opera dei vigilantes, gruppi armati organizzati che, ritenendo inefficaci le misure dello Stato, si incaricano di garantire l’ordine, anche attraverso raid nelle case in cui si suppone risiedano dei clandestini. Nel maggio del 2009 un uomo e la sua bambina di dieci anni sono stati uccisi durante uno di questi raid in cui i vigilantes cercavano denaro e merce di contrabbando per finanziare la propria attività.
Dunque i muri di contraddizioni i muri ne offrono molte: non risolvono i conflitti ma li inaspriscono, non controllano i flussi criminali ma li dirottano e spessoincrementano la criminalità, dovrebbero essere temporanei ma sono permanenti, sebbene costosi riscuotono grandi consensi. Ma allora perché, nonostante questo, sempre più muri tagliano il mondo? Una risposta che alcuni politologi come l’americana Wendy Brown forniscono a riguardo è che i muri ci offrono un’immagine del mondo rassicurante, mettendo in scena soluzioni semplici a problemi di sicurezza complessi. Danno l’idea di essere confini forti e delineati, costituiscono un modo per ottenere il consenso di chi è preoccupato per criminalità e immigrazione. I muri possono inoltre essere considerati come una conseguenza delle pressioni che la globalizzazione esercita sugli Stati, spesso inadeguati rispetto a problemi come immigrazione, criminalità organizzata e terrorismo. È in questo quadro che si può leggere la costruzione di muri come rassicurante spettacolarizzazione di una sovranità e una sicurezza ormai erose in un mondo sempre più fluido e complesso.
In un mondo ormai volatile e interconnesso, però, occorre domandarsi fino a che punto barriere e linee di demarcazione siano a costo zero, fino a che punto cacciare un problema dalla porta non lo faccia rientrare dalla finestra. I drammatici risultati del ricorso a barriere per fronteggiare la crisi dei migranti in Europa è un altro drammatico esempio dell’inefficacia e della pericolosità di queste politiche ormai arcaiche che stanno minando ulteriormente la già fragile coesione tra gli Stati membri, isolando quelli che, come la Grecia, sono maggiormente toccati dai fenomeni che si vuole contenere.
Di questi giorni la notizia che il muro macedone, sotto le spinte dei migranti, è sull’orlo del cedimento. Purtroppo, però, le barriere che erigiamo per separare “noi” da “loro” sono ben più robuste e intangibili e sta a ognuno di noi farle cedere pretendendo soluzioni più credibili e umane.
Se vuoi approfondire l’argomento, “Stati murati, sovranità in declino” di Wendy Brown editrice Laterza può essere un’ottima lettura!


 

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