La bestia dentro di noi | Recensione di Cinzia Picchioni


cop_Adriano Zamperini, La bestia dentro di noiAdriano Zamperini, La bestia dentro di noi. Smascherare l’aggressività, il Mulino, Bologna 2014, pp. 184, € 14,00

La biologia non è un ostacolo alla pacifica convivenza umana.

L’aggressività intesa come essenza (istintuale, pulsionale, genetica, cerebrale) non ha alcun solido riscontro empirico.

L’aggressività non è qualcosa di naturale

Partiamo da questi assiomi

L’autore cerca di dimostrarli per tutto il libro, con dati, con storie, confutando teorie (da Lombroso a  Konrad Lorenz, passando per Freud, Lowen e la Gestalt «che ci aiuta a “scaricare”»).

E ci prova – e ci riesce – chiedendo aiuto a libri (Promessi sposi, Cuore), film (Fight Club, Bowling a Columbine), musica (Pearl Jam, a proposito di stragi nelle scuole; su Youtube il video del famoso album Ten, 1991), teatro e altre attività «catartiche»: «la catarsi […] non è di alcun aiuto ai fini di diminuire il tasso di violenza in una determinata società. […] praticare la boxe o spaccare la legna [possono arrecare] soddisfazione e piacere individuale. Ma perché “riempiono” di positività la nostra esperienza e non perché “svuotano” di negatività la nostra interiorità», p. 41.

Perché – e il libro ci mette 180 pagine per dimostrarlo – non c’è alcuna fonte unica per tutte le azioni dette «aggressive», e la parola «aggressività» è una costruzione culturale. E come tale può essere cambiata.

Come fare?

Pensare, sostiene l’autore; e per farlo chiede aiuto al bellissimo brano tratto da Un anno sull’altipiano, di Emilio Lussu (Einaudi, Torino 2000, pp. 136 e 137). Leggetelo tutto qui, alle pp. 74 e 75, perché è veramente bello (e fa pensare alla canzone di De Andrè e al profondo significato della «divisa di un altro colore»). «Pensare fa abbassare il fucile» è il titolo del paragrafo che contiene il brano di Lussu, e poco prima l’autore scrive:

«Avendo inoltre dimostrato nel primo capitolo che la conflittualità umana non è un fenomeno naturale e che l’aggressività non è un presunto “dato” biologico immutabile, possiamo fare il passo successivo e sbarazzarci definitivamente dell’aggressività per spiegare la guerra. […] La guerra, dal punto di vista di chi ha combattuto appare completamente diversa dalle narrazioni dei teorici del natural born killer. I dati raccolti in diverse guerre e lungo varie epoche vanno tutti nella stessa direzione: perché è così difficile uccidere un essere umano?», pp. 70-71.

Per la risposta leggete le testimonianze del colonnello Marshall (esercito americano, seconda guerra mondiale), pp. 72-73. Vi si spiega anche come si fa a evitare che chi deve sparare realizzi che lo sta facendo contro esseri umani (i droni, per esempio, che «allontanano» il nemico, privandolo dell’umanità; il buio con i visori notturni, che trasformano le persone in macchie verdi indistinte); il paragrafo 8.2, da p. 91, La forza della distanza, fa venire i brividi.

Ecco perché stiamo leggendo questa recensione nella «newsletter» del Centro Studi Sereno Regis (che da più di trent’anni si occupa di educazione alla pace, nonviolenza, obiezione di coscienza – finché c’è stata); educazione alla pace. Vuol dire che possiamo educarci a essere pacifici, il che vuol dire che essere o non essere violenti è un fatto culturale, altro che natural born killer. 

«[…] in noi non c’è alcun guerriero dormiente che aspetta di essere risvegliato dalle fanfare militari. Lo stato di partenza degli esseri umani non è quello di un conflitto […]. Siamo costruttori di comunità e siamo abilissimi nell’appianare divergenze e differenze», p. 95. 

Capite bene che sentirsi dire «L’uomo è cacciatore» è diverso dal leggere che possiamo educarci alla pace!

«[…] ho preferito abbandonare il termine di “aggressività” – troppo inflazionato e confusivo – per adottare quello di violenza”. […] l’invito è quello di evitare di ascrivere a una presunta “molla aggressiva” le azioni che compiamo contro gli altri. Fare del male a qualcuno è qualcosa di nostra pertinenza, e non è appannaggio di tirannici processi biochimici», p. 162.

Perciò è stato deciso di non fare del male agli alberi stampando il libro «su carta Arcoprint Milk di Fedrigoni S.p.A., prodotta nel pieno rispetto del patrimonio boschivo»?

Libri e ancora film

Credo che ogni Bibliografia dovrebbe diventare Biblio-Videografia (così come la biblioteca dovrebbe essere anche una videoteca), e nel libro presentato questa settimana è già così. L’autore si è reso conto che per stendere una Bibliografia sul tema dell’aggressività ci sarebbe voluto un libro a parte e «Tralascio pure di menzionare la sterminata narrativa di guerra, in parte accatastata in pile pericolanti a ridosso della mia scrivania» (p. 169). Così, più modestamente, ha scritto una Nota bibliografica, interessantissima, divisa per capitoli, con le opere e gli autori direttamente menzionati nel testo, ma anche fonti consultate o che possono risultare utili al lettore. E spesso sono riportati anche film – alcuni di culto – magari tratti da libri, anch’essi citati. Così dev’essere una Bibliografia. Bravo!

Nell’elenco un posto speciale hanno i titoli dedicati al bullismo, cui è riservato l’intero capitolo iv. Mi limito a segnalarlo solo perché è troppo interessante per scrivere alcunché. Quello su cui invece mi sento di scrivere eccome è la commovente dedica, riportata in contro-frontespizio. Mi è piaciuta così tanto che ho deciso di trascriverla per intero, in chiusura di questa recensione:

alla memoria dei mie nonni, entrambi di nome Andrea

E una dedica particolare alle loro dita.
Al mignolo amputato del nonno materno,
volontariamente sacrificato per evitare di farsi macellare
nelle trincee della prima guerra mondiale,
mettendo poi al mondo mia madre.
E alle dita bruciate dal sole del nonno paterno,
che, quand’era al lavoro nei campi durante la seconda guerra mondiale,
serravano un fazzoletto bianco sventolato al cielo
per evitare che i caccia in picchiata facessero fuoco,
così proteggendo se stesso e suo figlio, il mio futuro padre.
Dita mosse da intenzioni,
e che hanno permesso a me
di avere dita per scrivere questo libro.

Vi pare che queste parole – e ciò che raccontano – possano essere frutto di una mente naturalmente e inevitabilmente e incorreggibilmente aggressiva?

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