L’acqua liberata

Elena Camino

Elvira Corona, L’acqua liberata, EMI, Bologna 2015, pp. 160, € 13,00

Stavo cercando eventi ambientalmente positivi avvenuti negli ultimi 100 anni, quando Nanni Salio mi ha segnalato questo libro, il cui sottotitolo in copertina è «Bloccate le megadighe in Patagonia: una storia di successo».

Leggo nella Prefazione che per Elvira Corona, cagliaritana, il Sudamerica è una passione speciale. Giornalista freelance, interessata ai movimenti sociali e ai cambiamenti climatici, ha potuto realizzare questo libro attraverso il finanziamento collettivo (crowdfunding) da parte di oltre 150 persone che hanno creduto nel suo progetto e l’hanno sostenuto.

Nell’Introduzione l’Autrice ci mette subito al corrente della conclusione della storia che racconterà nelle pagine successive: il Comitato dei Ministri ha accolto e accettato all’unanimità i ricorsi presentati dalle organizzazioni della società civile contro l’approvazione della valutazione di impatto ambientale del Progetto HydroAysèn: un megaprogetto che prevedeva la costruzione di cinque centrali idroelettriche su due fiumi della Patagonia cilena, il Pasqua e il Baker.

In ciascuno dei capitoli che seguono l’Autrice racconta una tappa del suo viaggio, focalizzando l’attenzione sull’incontro con una o più persone durante la sosta. E accompagna la descrizione dell’incontro con una serie di informazioni che ci aiutano a costruire nella mente un quadro della situazione sociale, economica, ambientale di questa parte del mondo, la Patagonia cilena, un territorio stretto e «sottile» che si estende dai 40 ai 55 Gradi latitudine Sud, suddiviso nella Regione di Aysén e nella Regione di Magellano e dell’Antartide Cilena (le porzioni di Patagonia e Terra del Fuoco sotto amministrazione cilena).

A Santiago

Nel Primo capitolo Elvira è a Santiago, e incontra Marianela Fuenzalida, una regista autrice di un recente documentario su Salvador Allende. A lei chiede di fare un quadro della situazione attuale in Cile. Dopo il socialismo «rispettoso» di Allende – racconta la regista – con la dittatura è scoppiata una specie di guerra tra i cileni. Il processo di democratizzazione, interrotto con il golpe, è ripreso lentamente negli ultimi anni, quando orami le destre al potere avevano privatizzato quasi tutto, dall’educazione alle risorse naturali, ai media. La Marcha de todas las marchas, prevista per il 22 marzo 2014 (pochi giorni dopo l’arrivo dell’Autrice) raccoglie le proteste di molte categorie, tra cui il Consejo de defensa de la Patagonia, al quale fa riferimento la campagna Patagonia sin represas (Patagonia senza dighe) che riguarda proprio la questione delle dighe.

In questa fase di transizione verso la democrazia, secondo la regista che Elvira incontra, c’è bisogno di un presidente che ascolti e rappresenti il popolo cileno, e coordini i numerosi movimenti (di lavoratori, studenti, ambientalisti). Marianela accenna anche al problema dell’energia, che ritroveremo nei capitoli successivi, descritto da diversi punti di vista. La regista è d’accordo con chi sostiene che c’è bisogno di produrre più energia in Cile, che attualmente la compra da Argentina e Bolivia, ma è incerta su quale sia l’energia meno distruttiva, ed è critica sull’uso cui è destinata: il 35% serve per alimentare le miniere di rame.

L’incontro successivo (descritto nel Secondo capitolo) avviene con Magalì Navarrete, che lavora per Pressenza, una agenzia di stampa alternativa con contatti internazionali. Secondo lei la situazione è dinamica, la popolazione ha voglia di trasformare il sistema,che attualmente è neoliberale. Ma molti non hanno fiducia di farcela di fronte al mondo dell’imprenditoria, che in Cile è molto potente. Magalì attribuisce grande merito alla campagna «Patagonia senza dighe» per aver saputo animare e coordinare anche altri movimenti, in particolare le richiesta di una educazione pubblica di qualità. La Marcha de todas las marchas, prevista per i giorni successivi a questa conversazione, esprime finalmente una presa di coscienza della popolazione, e una volontà di diventare protagonisti del cambiamento sociale. Anche con Magalì l’Autrice si sofferma sul tema dell’energia, che nel corso del libro diventerà sempre più uno dei nodi dei problemi socio-ambientali. Vi sono molte domande aperte: davvero c’è bisogno di più energia? Quale, e per chi? Come conciliare gli aspetti ambientali con quelli economici? Magalì discute anche del ruolo dei media, e ritiene che le agenzie di stampa alternative abbiano avuto e abbiano tuttora un ruolo essenziale per far conoscere alla gente i problemi e i motivi delle proteste.

Hipolito Medina – il cui incontro Elvira ci racconta nel Terzo capitolo – è patagonico di nascita: è uno degli attivisti impegnati nella campagna contro le dighe, e racconta che il movimento di protesta è nato parecchi anni prima, e si è potuto sviluppare non solo grazie agli abitanti delle aree interessate, ma anche grazie a moltissimi cileni del nord, che hanno sentito questo territorio periferico come proprio, da proteggere e salvaguardare. Hipolito chiarisce che la costruzione delle centrali e la trasmissione dell’energia sono progetti distinti, entrambi i quali minacciano l’integrità socio-ambientale di vaste aree del Cile, non solo l’estremo sud. La capacità che hanno dimostrato i movimenti di protesta, di segnalare la mancanza di trasparenza dei progetti e di criticare l’uso dei beni comuni a scopo privato, ha convinto molte organizzazioni a partecipare alla campagna e a mettere sullo stesso piano le lotte sociali con quelle ambientali.

Elvira è ancora a Santiago quando incontra Patricio Segura Ortiz, giornalista, membro del Consiglio per la difesa della Patagonia. Egli esprime la convinzione che la questione ecologica racchiuda in sé un tema assai più ampio: lo sviluppo economico, la partecipazione della popolazione ai processi decisionali, il modello di sviluppo che si vuole intraprendere… Ha curato specifici progetti di informazione pubblica sui problemi socio-ambientali, e ha contribuito a estendere la rete di collaborazioni con realtà internazionali, come International Rivers. Insieme a membri di altre organizzazioni ha curato la stesura di un libro – Patagonia senza dighe – volto a far conoscere le bellezze di questa regione, così periferica e poco conosciuta.

Un tema introdotto da Patricio, che verrà ripreso negli incontri successivi di Elvira con altri personaggi, è quello della Costituzione. Secondo lui è la costituzione cilena a permettere la mercificazione dei beni comuni e dei diritti sociali, e a ostacolare la democrazia territoriale. Nella Marcha de todas las marchas si chiede anche l’avvio di una Assemblea costituente, per modificare la Costituzione e far progredire il processo di democratizzazione. Anche con Patricio, Elvira scambia qualche parola sull’energia: il suo interlocutore aggiunge un tassello al quadro che si va facendo, riflettendo sul «watt che non si consuma». Al modello di sviluppo neoliberista, basato sulla crescita dei consumi, Patricio vorrebbe sostituire un modello basato sul risparmio e sul decentramento (che vorrebbe dire anche democratizzazione) delle fonti di energia. Come si coglie via via che la lettura procede, il tema delle dighe va posto nello scenario – assai più complesso e problematico – dei modelli di sviluppo nel mondo globalizzato.

Capitolo quinto: la Marcha. Elvira partecipa, parla con la gente, legge i manifesti: «No a la mina», «No a la termoelettrica», «No a la central a carbon» … Oltre ai grandi progetti ormai noti al pubblico emerge una realtà di minacce diffuse all’integrità di molte piccole realtà socio-ambientali, dove imprese spesso collegate con multinazionali stanno trasformando interi territori contro il volere delle popolazioni locali. Si intrecciano racconti su miniere e impianti industriali che, dopo un breve periodo di sfruttamento, sono stati abbandonati, lasciando le persone senza lavoro e gli ambienti devastati. Juan Pablo, l’interlocutore di questo capitolo, riprende il tema della Costituzione e di alcune leggi (per esempio il Codice dell’acqua, il Codice delle miniere) che a suo parere richiedono una revisione, perché sono espressione di un sistema di potere che impedisce le scelte democratiche.

In viaggio verso Sud

Nei capitoli successivi Elvira descrive i suoi spostamenti verso Sud, e riporta le parti essenziali degli incontri che ha avuto con altre persone: ciascuna narrazione consente ai lettori di aggiungere dei tasselli alla storia, e di arrivare a cogliere l’estrema complessità che si nasconde dietro a problemi apparentemente «tecnico-ambientali». Le proteste contro la costruzione di grandi dighe in Patagonia riguardano la gestione dell’acqua, l’approvvigionamento e la distribuzione dell’energia, lo sfruttamento di risorse minerarie. Per capire quel che non viene detto dai proponenti di grandi opere occorre che la popolazione cilena possa accedere a una educazione pubblica di qualità; per poter partecipare alla gestione del Paese – e più in generale alla scelta di un modello di sviluppo rispettoso delle popolazioni e dei loro ecosistemi, occorre cambiare le leggi.

Le conversazioni dell’Autrice con il pescatore Juan a Punta Choros; con Magaly, dipendente di una multinazionale del rame; con Myriam, imprenditrice, e poi con Peter Hartmann, presidente di Aysen reserva de vida, che abitano entrambi a Coyhanque, aggiungono ancora elementi. Peter Hartmann, in particolare, racconta a Elvira molti retroscena della storia che ha portato l’impresa Endesa a progettare la costruzione di due megaimpianti, sul fiume Baker e sul fiume Pasqua. Anche dai suoi racconti si coglie la scarsa trasparenza delle imprese e dei governi che le hanno appoggiate, le questioni complesse dell’energia, la crescente attenzione per la salvaguardia dell’ambiente, l’importanza dell’azione coordinata e cooperativa delle varie realtà sociali che si oppongono ai mega-progetti. Un aspetto interessante che emerge in questa conversazione è il sostegno offerto dal vescovo di Aysen, Luis Infanti della Mora, che è stato cruciale (grazie alla sua conoscenza della lingua) nell’attivare la solidarietà dei movimenti italiani.

Le interviste finali di Elvira, ormai rientrata a Santiago, ci offrono ancora nuovi punti di vista e nuove informazioni, chiamando in causa altri soggetti importanti nel panorama complessivo: i movimenti studenteschi e le popolazioni indigene.

Saranno i lettori, alla fine, a doversi costruire un’idea personale: non solo sul caso delle megadighe in Patagonia, ma più in generale sui modelli di sviluppo (spesso impliciti) che guidano le scelte politiche nel mondo globalizzato. Questo libro offre buone opportunità per sviluppare uno sguardo critico e una prospettiva sistemica.

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