Chiavi, limitazioni e il sumud – Rebecka Mårtenson

Torino incontra Badee Dwaik del Human Right Defenders di Al-Khalil (Hebron), Palestine


Sto riascoltando i rumori dal registratore. A un certo punto viene fuori un’acustica disorganizzata, poi suoni di passi e una voce in inglese. Scorro avanti di qualche minuto e sento due voci senza altri suoni di sottofondo. È una conferenza che riverbera un tono di serietà.

Le due voci sono di Badee Dwaik, abitante nella città Al-Khalid, anche conosciuta come Hebron e un’interprete presente alla conferenza. Con loro c’era anche una moderatrice. Sulla scena il signor Badee Dwaik portava la bandiera Palestinese al collo e la moderatrice accanto a lui portava una collana a forma di chiave.

Il video che si sente nella registrazione mostrava la vita di un amico di Badee che da qualche giorno non c´è più. Inizialmente vengono proiettate solo immagini di un luogo e si sente un canto in sottofondo, poi un rumore di passi che salgono una scala di pietra, successivamente delle spiegazioni. Nel video un uomo che si chiamava Hashem Azzeh ci spiega tutte le sue limitazioni quotidiane imposte dal regime militare israeliano. I limiti non sono solo regole di comportamento, ma soprattutto possibilità di spostamento e, dunque, di accesso alle risorse. Ovviamente non si parla solo di risorse pubbliche o beni comuni ma anche di risorse sue, private. La possibilità di recarsi ai propri olivi per esempio.

Le testimonianze di Badee Dwaik, leader del Human Rights Defenders e di Hashem Azzeh nel video quella sera al Centro Studi Sereno Regis raccontano di una vita e di eventi incomprensibili. Questi eventi sono incomprensibili non per la mancanza di una traduzione in lingua italiana o per via di parole complicate, ma per la gravità nel racconto. La testimonianza dimostra un vivere nell’insicurezza e una forza di ordine non-riconosciuta con potere assoluto. Loro, di etnia sbagliata possono solo chiedere pietà.

Per esistere e resistere cosa ero solito fare? Mi arrampicavo sul muro per arrivare a casa.” dice l’uomo che non c’è più nel video. Dal 1984 era circondato da una colonia israeliana. Parla di come è cambiata la sua vita con una colonizzazione sempre in sviluppo.

Badee Dwaik, ci racconta dello sviluppo del gruppo di giovani lontani dalla storia pre-48, giovani che conoscono solo l’occupazione, la lotta e la paura. Il signor Dwaik spiega che non hanno conosciuto ”né il 48, né le trasformazioni, né il mare”. Solo la lotta e una quotidianità in cui il potere della situazione materiale e pratica è nelle mani della forza di un ordine non riconosciuta. Dopo decenni di esilio quello che lega tanti palestinesi sono le conseguenze della Nakba nel 1948 e una storia di lotta. (Johansson&Vinthagen 2015)

Nell’ultima parte del discorso, Badee si alza e spiega con parole, piedi e mani come procedevano le esperienze in prigione, che non è una storia rara in Palestina: anzi fa parte della normalità. Prima Badee parla in arabo e con le gesta, poi la traduzione in italiano. Badee mostra come la tortura veniva eseguita per far male, la tortura per disorientare e la violenza per dare ansia. Se nella prima parte dell’incontro si parlava di violenza strutturata e strutturale, in questo ultimo da voce a violenza diretta. Ma da questa registrazione e da quell’incontro quello non mi rimane non è la violenza. L’incontro ha avuto luogo per un futuro migliore, parlava di lotta.

Una lotta è sempre relazionale, le persone che lottano per una resistenza in opposizione a poteri. La lotta è una negoziazione tra il potere e la resistenza che in questo caso è completamente sbilanciata in dimensione spaziale e temporale ma anche a livello di violenza.

RISPOSTA ALLA DOMINAZIONE: sumud. La resistenza quotidiana è un concetto di cui si parla studiando varie forme di resistenza. Nel caso palestinese si parla di sumud che ha come simbolo il cactus o l’olivo. Il simobolo deve illustrare il fatto di crescere e rimanere malgrado tutto, come una forma di resilienza. Sumud è una forma di nonviolenza per sopravvivere e resistere nella vita quotidiana.

Per capirlo meglio chiedo un amico di Gaza cosa vuol dire sumud e mi scrive questa lista:

  • Persistence in front of hardship
  • Olive tree planting
  • Maintain societal fabric
  • Preserve Palestinian identity
  • Preserve Palestinian heritage
  • Revive the memory of the Nakba

L’ articolo di Stellan Vinthagen e Sara Johansson Dimensions of everyday resistance: the Palestinian Sum?d del 2015, dà voce ai giovani palestinesi. Quando i giovani nello studio parlano di metodi di resistenza non-violenta mettono l’educazione al primo posto e esprimono il bisogno di staccarsi dalle immagini convenzionali proposte dai mass-media che li descrivono come `terroristi`, `violenti`, `senza comunicazione`. Quello che caratterizza il sumud e per cui quello che è stato precedentemente scritto questa cronaca ha a che fare con il sumud è che sono azioni non formali, individuali o azioni condotte in piccoli gruppi. Le azioni avvengono senza una grande organizzazione o coordinazione ma fa parte della vita quotidiana del popolo, come una risposta delle esperienze di dominazione.

Si possono trovare i segni del sumud in tante storie quotidiane. Badee Dwaik, oltre che di sumud parla di pratiche quotidiane come negoziazioni oppressive ai check-points. Sumud consiste nel portare la chiave di casa, ex-casa, sumud si trova nella memoria collettiva di una Palestina e un’identità che non può esistere ma che esiste lo stesso! Sumud si fa nel vivere situazioni impossibili e nel raccontarle.

L´incontro ha descritto violenza di tutti tipi e di sopravvivenza, vivere e resistere alla violenza. Sì, era una conferenza senza altre decorazioni sonore, che parla di uno dei conflitti più complessi al mondo, e perciò diventa ancora più importante diffondere questa informazione che normalmente non arriva fino a qui. Hebron si chiama in realtà Al-Khalili: sono i due nomi di una città con delle tensioni forti e c’è una guerra di potere squilibrata.

Nell ultima parte della registrazione arriviamo alle domande. Una mia era: cosa si può fare da qui per migliorare la situazione?

Baddee mi guarda e ci parla. Man mano arriva la traduzione. Il messaggio è che ci sono tante iniziative in Palestina e fuori e che noi siamo più utili a casa nostra. Ci invita a sfruttare il nostro privilegio di avere libertà e possibilità di scegliere cosa dire, cosa comprare- una scelta che i palestinesi non hanno. Parla ad esempio di boicottaggio come un azione non violenta ed individuale, che tutti possono fare e che insieme ha un effetto complessivo. Parlando dei movimenti vari contro l´occupazione, il signor Badee concludo con: ”non è una questione umanitaria,è una questione politica”, cioè creata, scelta è possibile di cambiare. Sumud alla fine non si tratta solo di esistere e sopravvivere ma anche di creare un futuro. C´è bisogno di ascoltare e ´dare visibilità alle storie di violenza di volta in volta per potersi chiedere come cambiare. In questa negoziazione iniqua non siamo attori che fanno parte né alla resistenza, né al poteri; siamo osservatori. A proposito Badeed Dwaik chiude dicendo che alla fine Israele non è così estremamente potente, è solo protetto da altri attori (anche osservatori come noi) che consentono questi comportamenti. Forse dovremmo fare come Badee, Hashem e tanti palestinesi nel mondo, cioè praticare il sumud e usare il nostro privilegio, che loro non hanno, di essere liberi, per il bene.

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