Sparatorie nelle scuole USA: 10 punti

Johan Galtung

Al Community College dell’Oregon “la 45^ sparatoria scolastica quest’anno negli USA; la 142^ dal massacro di Newton nel 2012” (Matthew Albracht–Peace Alliance – che aggiunge: 25% delle donne subiscono violenza domestica, 6 milioni di bambini vi assistono ogni anno, 28% dei bambini subiscono atti di bullismo ogni anno esponendosi a una probabilità di suicidio da 2 a 9 volte maggiore della media). Che cosa si può fare? Sparatorie nelle scuole USA:10 punti

  1. Controllo delle armi, ovviamente. Ma il punto è non solo controllo delle vendite ma del possesso con severissime leggi sulla detenzione e rendendo reato federale il possesso illegale. Con una media di almeno un’arma letale per cittadino, ci sono abbastanza armi per continuare con le sparatorie; il controllo delle vendite è insufficiente. Stati e comuni possono avallare una tale norma in anticipo rispetto alle Zone Disarmate negli USA, in quanto luoghi dove la vita sia più sicura. Ci saranno ancor sempre poliziotti armati in circolazione.
  2. Politica estera meno violenta, ovviamente. Credere che sia possibile un cambiamento serio nella violenza nazionale senza un cambiamento profondo da una politica estera violenta a una orientata alle soluzioni è indicibilmente ingenuo. “Se il mio governo può uccidere chiunque sia di ostacolo, posso farlo anch’io; se pensiamo di essere eccezionali, al di sopra della legge, lo sono anch’io come cittadino USA” è un meccanismo psichico che si può battere solo distruggendone la premessa. Un governo che risolva i problemi anziché seguire la strada dei bombardamenti avrà un effetto altrettanto forte sui cittadini, ma questa volta positivo.
  3. Media meno violenti, ovviamente. Il punto è non solo meno violenza, col pericolo emulativo, ma più profondo: dei media che si concentrino sulle soluzioni; giornalisti che chiedano sistematica-mente ai politici “qual è il conflitto sottostante a questa violenza, e che cosa vi accingete a fare?”; media con almeno altrettanta attenzione agli sforzi di pace che alla violenza (che peraltro dev’essere riferita); spostare il baricentro dal negativo e superficiale alle cause prime e agli approcci positivi, in tutto il solito negativismo mediatico.
  4. Trattare meglio casi psicotici, ovviamente. Ogni sparatoria è un caso psicotico; nessun concetto di normalità comporta l’abbattere persone a scuola. Inoltre, quasi ogni sparatoria è altresì un caso di suicidio; sanno perfettamente che verranno abbattuti essi stessi, o catturati per una condanna capitale e usano un ultimo proiettile per se stessi. Dovrebbero stare in istituti appositi – una società ricca può permettersi tali misure preventive di accudimento e cura; non a casa con una madre che può accudirli ma non curarli. Come per i tre punti precedenti, c’è bisogno di professionalità.
  5. Educazione alla pace dalla scuola materna in poi, ovviamente. L’esperienza della Norvegia: si fa meglio discutendo come trattare i propri conflitti e il bullismo, con e fra gli insegnanti, con e fra i genitori, con e fra gli amministratori, e fra tutti questi, anziché leggendo testi in merito; che verranno in aggiunta. Usare i casi concreti per capire i conflitti non come violenza ma come problemi d’incompatibilità – “Io voglio questo, lui vuole quello, gli obiettivi sono in conflitto” –che implorano soluzioni, risolvendo il problema, rendendo compatibili gli obiettivi. Dialogo e reciproco rispetto aiuteranno molto. Nella scuola materna e nelle classi inferiori gli insegnanti devono proporre soluzioni – i bambini non nascono già con queste competenze ma pensano che il comportamento conflittuale in casa, l’unica realtà che conoscono, sia normale. Allora cominciano a proporsi e a implementare le aternative, in anticipo sugli adulti che sovente si perdono in un “Ho ragione io, lui ha torto”.

C’è tuttavia non solo il trattare rapporti conflittuali; c’è anche la costruzione di rapporti pacifici di amicizia e affetto. Prima o poi devono intervenire l’equità e l’empatia: nell’amicizia c’è cooperazione a beneficio reciproco ma anche relativamente uguale, uno non è soggetto all’altro. Per di più, imparano a rispettare le rispettive opinioni.

  1. Igiene del conflitto. Si insegna l’igiene fisica, è ore di farlo per l’igiene del conflitto. Conoscere i propri obiettivi; conoscere quelli degli altri. Se incompatibili, non arrabbiarsi, diventando astiosi e violenti; considerare l’altra parte un partner in una mutua ricerca di soluzione, non un nemico. Può esserci bisogno di mediatori.
  2. Soluzione al conflitto. La si deve imparare. Un buon punto di partenza è conoscere le tre soluzioni per conflitti con due obiettivi: compromesso (l’uscita pigra, di solito insoddisfacente); né-né, rinuncia di entrambi, sorprendentemente utile; sia-sia, la migliore, che collega gli obiettivi in una realtà per certi versi nuova, come in una associazione, un nuovo spirito di solidarietà. Non solo per prevenire una futura violenza, ma anche usando il conflitto per costruire la pace.
  3. Riconciliazione dei traumi. Bisogna imparare come trattare le memorie della passata violenza che possono affiorare e distruggere tutto. Un buon punto di partenza è conoscere tre imperativi: con l’aiuto di un amico provare a capire il conflitto sottostante e se possa ancora essere risolto; che l’autore di violenze se ne distanzi ammettendo che “è stato stupido da parte mia”, “vorrei che si potesse tornare indietro” piuttosto che richieste di scusa; poi gli uni e gli altri che tentano di progettare qualche cooperazione futura.
  4. Struttura di pace. Formula generale: rapporti orizzontali, benefici reciproci e uguali su tutto il fronte – si sono fatti e si stanno facendo molti passi avanti. Equità. Fra i generi e le generazioni nelle famiglie e altrove, fra le razze ovunque anche a livello internazionale, riducendo i divari economici nelle società e nelle aziende – si facciano invece cooperative – riducendo i divari politici con un’autentica democrazia, non una bancocrazia. Più cooperativi, meno competitivi, scolarità dalla scuola materna all’università.
  5. Cultura di pace. Formula generale: reciproco apprendimento per ridurre i divari culturali – “Mi piace quella tua idea e l’adotterò; e in quanto a te e alle mie richieste?” Denunciare qualunque idea di essere eletti con dei diritti, perfino dei doveri, di essere al di sopra degli altri. Celebrare il valore di qualunque essere umano, della vita stessa come dono sacro. Empatia. Più con qualunque vittima, ma anche con i familiari. E verso i criminali: giustizia riparatoria, non punitiva.

Un ordine elevato? Per nulla, e anzi in avvento. Gli USA sanno che le armi illimitate e l’impero sono morenti e sono in uno stato di negazione, abbarbicati al passato, scivolando con estrema angoscia verso l’accettazione. Nel frattempo gli altri otto punti si possono praticare localmente, sin d’ora.


Fonte: Transcend Media Service,12 ottobre 2015

Titolo originale: School Shootings in the USA: 10 Points

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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