Le campane di Nagasaki – Recensione di Nanni Salio

cop_Takashi Paolo Nagai_le campane di nagasakiTakashi Paolo Nagai, Le campane di Nagasaki, Luni editrice, Milano 2014, pp. 144, € 16,00

La letteratura sui bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki è abbastanza vasta, ma per nulla comparabile a quella sulla Shoah degli ebrei. Le ragioni sono più d’una, ma in particolare c’è sia una certa reticenza delle vittime giapponesi a parlare di questa catastrofe,  sia da parte dei perpetratori, gli Stati Uniti, che hanno cercato in tutti i modi di giustificare e persino di minimizzaare il crimine commesso, mai riconosciuto come tale.

Pertanto ben vengano nuovi libri, come questo narrato in prima persona dall’autore, un medico che si trova a vivere sia sotto la bomba sia nei giorni successivi. Egli descrive in modo preciso, semplice, senza astio e in forma concisa ciò che ha visto, il lavoro incessante del personale medico e infermieristico sopravvissuto, nel tentativo di portare soccorso alle innumerevoli vittime, muovendosi a piedi, in mezzo a molte difficoltà, ed essi stessi in gran parte feriti e ammalati, di villaggio in villaggio per “salvare vite umane”. Nagai descrive quest’opera di soccorso anche ricorrendo a spunti poetici: Scendeva la notte./ Nel cielo, saliva/ la luna della sera:/ lungo era il cammino. E ancora: Lucenti nuvole d’autunno/ dileguano/ nell’infinita bellezza del cielo.

Nagasaki è il secondo crimine, dopo Hiroshima e viene spesso dimenticata. È già stato ampiamente detto e dibattuto come questi bombardamenti fossero del tutto ingiustificati, ma nel caso di Nagasaki ancor più, dopo quanto successo a Hiroshima.

Per capire lo spirito con cui  i sopravvissuti e in particolare i militari affrontarono la sconfitta e la capitolazione dell’imperatore, è di particolare interesse il capitolo “Ospiti nel mio rifugio”. Due militari vanno a trovare Nagai nella misera baracca, il suo rifugio, che venne costruita con mezzi di fortuna dopo che l’università e l’ospedale furono totalmente distrutti dall’esplosione.

A un certo punto, Nagai chiede ai due militari:

“Sentite, secondo voi, la guerra può recare giovamento al popolo?”

“Be’, se si vince…”

“Ma quando si dichiara una guerra nel solo interesse del proprio paese, si può questa guerra chiamarla giusta?”

“Mah!”

“No, non si può vincere una guerra ingiusta agli occhi di Dio!”

“Ma noi, durante questa guerra, abbiamo sempre pregato i nostri dèi e, in modo speciale, il dio della guerra!”

“Il dio della guerra? Mio caro, è un dio fabbricato dagli uomini, una specie di feticcio contro la tosse convulsa!”

“Ma no! È un dio che esiste da secoli nel nostro paese”

“Non è vero. Quel dio lo hanno creato i nostri antenati che, in un certo senso, erano molto inferiori a noi. Lo hanno creato a loro esclusivo vantaggio… Abbiamo creduto a coloro che dicevano che la nostra patria, di origine divina era imbattibile… abbiamo posto la nostra salvezza nelle mani vuote degli idoli vani e abbiamo piegato le nostre schiene dinanzi a loro!”

Il militarismo in Giappone, così come negli Stati Uniti, in Israele e in molti altri paesi, è una ideologia nefasta, che Martin Luther King denunciava come uno dei grandi mali, insieme al razzismo e alla miseria. E Nagai mette in guardia dai possibili esiti futuri ancora più catastrofici:

“ […] Cerchiamo un po’ di immaginarcela questa guerra futura: le bombe atomiche scoppieranno su tutti i punti del globo e innumerevoli vite umane saranno distrutte, disperse, annientate, senza un perché, come se niente fosse…. Oggi l’idea stessa della guerra è diventata insensata, inconcepibile!”

Ma purtroppo, come ben sappiamo e vediamo ogni giorno, il “mai più” è diventato un “sempre più”. Sempre nuove guerre, con la minaccia incombente di quella finale, nucleare.

Per questo occorre continuare la nostra lotta nonviolenta contro il militarismo, per creare una cultura della pace e della nonviolenza che dia un senso compito alla nostra permanenza su questo pianeta.

Le “campane di Nagasaki” della cattedrale distrutta dal bombardamento, furono trovate intatte e rimesse in funzione, come segno costante, quotidiano, di un messaggio di pace, nella speranza di contrastare ed estirpare definitivamente il militarismo ovunque nel mondo.

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