15. Antifascismo radicale – Pietro Polito
Mi propongo di far conoscere ai più giovani la figura di Silvio Trentin (1885-1944) perché, a distanza di più di settant’anni dalla morte, la sua vita ci appare come una esemplare pedagogia della libertà. Egli è forse il rappresentante più autorevole di una interpretazione radicale dell’antifascismo che attraverso l’emigrazione politica si prolunga e s’invera nella Resistenza.
Contrariamente a ciò che pensano quanti hanno in vario modo parlato di crisi se non di eclissi dell’antifascismo, se cade l’antifascismo cade anche la Resistenza. Trentin impersona pienamente le tre resistenze che compongono la Resistenza italiana: la resistenza antifascista che mirava alla liberazione del Paese dalla dittatura fascista, la resistenza patriottica che si proponeva la liberazione dell’Italia dal dominio straniero, la resistenza rivoluzionaria che si prefiggeva una profonda trasformazione dei rapporti sociali.
Interventista senza alcuna simpatia irredentista, dopo un impegno in Democrazia sociale, una formazione della sinistra laica, nel 1924 aderisce all’Unione nazionale delle forze liberali e democratiche di Giovanni Amendola. È tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce (1925) e della lettera di solidarietà a Gaetano Salvemini in seguito al suo arresto (1926).
Il 7 gennaio rinuncia all’incarico di professore di diritto pubblico per non sottomettersi al decreto-legge fascista del 24 dicembre 1925, che imponeva ai funzionari dello stato di non porsi “in condizione di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo”. La “rettitudine scientifica” è un elemento significativo del suo antifascismo.
Trentin appartiene alla prima schiera degli emigrati politici. Dopo avere incontrato gli amici più vicini, accompagnato dal fedele amico Camillo Matter fino al confine, parte per la Francia il 2 febbraio 1926 (negli stessi giorni Gobetti lasciava Torino). Con lui la moglie Giuseppina Nardari (“Beppa”), sua madre Italia, i figli Giorgio e Franca. Il terzo figlio, Bruno, nascerà il 9 dicembre 1926.
La sua è “una penosa decisione” (Frank Rosengarten), una “scelta di condizione” (Giannantonio Paladini), che comporta cambiamento di status sociale: da allora non insegna più. In esilio svolge professioni manuali come il mestiere dei padri, imprenditori agricoli del Basso Piave (1926-’29). In seguito esercita il mestiere di operaio (1929-’34), addetto al taglio della carta e al trasporto dei materiali, un lavoro “difficile anche per un giovanotto” (Emilio Lussu). Infine dirige la Librairie du Languedoc, in rue du Languedoc 46, nel centro di Tolosa che a poco a poco diventa “un des grands foyers pensants de Toulouse” e “anche un centro di azione politica”.
Alla meditazione feconda sulle sorti dell’Italia e dell’ Europa (che non è il tema di queste pagine), affianca l’impegno politico diretto. Il centro del fuoriuscitismo antifascista è Parigi, ma, pur dalla provincia, egli partecipa attivamente alla lotta contro il fascismo: inizialmente fa parte del partito repubblicano, poi entra nella Concentrazione antifascista, fondata da Luigi Campolonghi e Alceste De Ambris, inoltre collabora con la Lega italiana dei diritti dell’uomo.
Alla fine del 1929 aderisce “Giustizia e Libertà”. Del gruppo di Carlo Rosselli Trentin si sente uno degli esponenti fin dall’inizio e, a partire dal 1934, ne è uno degli organizzatori e degli ideologi. Con Rosselli, è convinto che sia giunto il tempo della “rivoluzione italiana”; inoltre condivide la fiducia nel ruolo dell’élite e l’esigenza di un’azione rivoluzionaria in Italia: dalla propaganda, al sabotaggio, all’insurrezione armata. Alla milizia in “Giustizia e Libertà” è legata l’amicizia con Emilio Lussu, il suo più intimo amico in esilio”.
Il Trentin dirigente di “Giustizia e Libertà” passa, si potrebbe dire, dalla resistenza antifascista alla resistenza rivoluzionaria, cercando una sintesi tra gli ideali del liberalismo democratico e gli ideali del socialismo rivoluzionario. (La “terza via” non è da confondere con le varie terze vie in voga negli anni Novanta del secolo scorso).
D’ora in poi egli si caratterizza come uno dei principali fautori dell’unità delle opposizioni e dell’accordo con i comunisti, nonostante i forti contrasti tra le due organizzazioni. Nel maggio-giugno 1937 appoggia la fusione con il piccolo gruppo “Azione Repubblicana Socialista” di Ferdinando Schiavetti; collabora a titolo personale, non come esponente di “Giustizia e Libertà”, con l’Unione Popolare, fondata dal Partito comunista a Lione (28-29 marzo 1937); è uno dei pochi non comunisti che scrive sul giornale dell’Unione, “La Voce degli Italiani”.
Come Rosselli, autore della formula: “Oggi in Spagna, domani in Italia”, guarda con entusiasmo alla resistenza spagnola. Già verso la metà del 1928 è tra i promotori di un patto di alleanza fra repubblicani italiani e spagnoli e durante la guerra civile la Librairie du Languedo c è uno dei centri di reclutamento dei volontari antifascisti. Egli stesso si reca varie volte in Spagna, trascorrendo un periodo di 15 giorni con la colonna di Rosselli.
A Trentin si deve il discorso pronunciato il 24 giugno 1937 a Tolosa davanti a 20.000 persone riunite nella Salle des Jacobins per denunciare l’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, compiuto il 9 giugno a Bagnoles de l’Orne da un’organizzazione dell’estrema destra francese, “La Cagoule”. L’assassinio dei fratelli Rosselli viene definito un “crimine tipicamente fascista” per il quale esprime “orrore”, “sgomento”, “indignazione”, “tormento nostalgico”, “violenza incontenibile”, “passione”, “ribellione”, “odio mortale”. (L’ostacolo, in “Giustizia e Libertà”, a. IV, n. 25, 18 giugno 1937).
Dopo la morte di Rosselli la direzione dell’organizzazione viene affidata a un comitato esecutivo composto da Trentin, Lussu, Schiavetti, Alberto Cianca e Aldo Garosci. Da Rosselli Trentin raccoglie “il suo ultimo messaggio, il suo testamento politico”, vale a dire la costituzione di “un unico grande partito socialista italiano”. Ma l’idea di un nuovo partito della sinistra che avrebbe dovuto nascere dall’abbattimento di antiche, inviolabili chiusure tipiche di vecchi partiti trasformatisi in chiese si è rivelata visionaria rispetto ai suoi e ai nostri tempi.
Trentin esprime una condanna tanto del Patto di Monaco (1938) con il quale Gran Bretagna e Francia accettarono lo smembramento della Cecoslovacchia quanto del Patto decennale di neutralità e non aggressione (23 agosto 1939) tra I’URSS e la Germania nazista, da lui visto come la ritirata del Paese della rivoluzione dalla lotta antifascista. Egli ha una concezione della seconda guerra mondiale come un conflitto tra l’Europa (Francia e Gran Bretagna) e l’anti-Europa (Germania e Italia).
Quando la Francia dichiara guerra alla Germania (3 settembre 1939) chiede con altri volontari antifascisti di entrare a far parte dell’esercito francese, ma difficilmente avrebbe potuto partecipare alla guerra per le sue condizioni di salute. che si aggravano nell’aprile 1941 in seguito al primo manifestarsi di un disturbo cardiaco.
Il motivo patriottico della Resistenza si inserisce in una più larga cornice europea. La dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia e alla Gran Bretagna (10 giugno 1940), la disfatta militare, l’occupazione tedesca e l’instaurazione del governo di Vichy, lo sfacelo dello stato francese e la fragile resistenza alla trasformazione fascista della repubblica, suscitano in lui un grande sconcerto. Avendo assistito per la seconda volta al “naufragio di un sistema politico”, “l’abdicazione della Francia” gli appare come “la fine di un mondo”: da allora si considerò “un sopravvissuto”.
Trentin è stato uno degli esponenti della Resistenza francese. Tra la fine del 1940 e l’autunno del 1941 fa parte dei “reseaux de résistance” un’organizzazione clandestina, creata da Pierre Bertaux, attiva a Tolosa. In questo periodo non accetta l’invito a insegnare negli Stati Uniti perché ritiene suo dovere rimanere in Francia.
Quando l’aggressione tedesca all’URSS (22 giugno 1941) favorisce la ripresa del dialogo tra la sinistra europea non comunista e la resistenza comunista, che suscita in lui grande ammirazione per l’abnegazione dei suoi militanti, la Librairie du Languedoc diventa uno dei luoghi delle consultazioni tra socialisti e comunisti che sono alla base del Manifesto di Tolosa (ottobre 1941). Come rappresentante di “Giustizia e Libertà” è membro del “Comitato d’azione per l’unità del popolo italiano”, insieme ai comunisti Emilio Sereni e Giuseppe Dozza e ai socialisti Giuseppe Saragat e Pietro Nenni.
Il radicamento nel paese d’esilio è tale che nel 1941 Trentin fonda a Tolosa il movimento “Libérer et fédérer”, attivo nella Francia del sud ovest. Dal luglio 1942 pubblica l’omonimo giornale clandestino, con il sottotitolo: “Organe du mouvement révolutionnaire pour la liberation et la reconstruction de la France”. “Libérer et fédérer” è un movimento prevalentemente di intellettuali di diversa estrazione, anche provenienti dal comunismo e dalla sinistra cristiana, nato con lo scopo di un rinnovamento del socialismo francese. Dal punto di vista militare il movimento aderisce a “France Libre”, poi “France Combattente”, del generale De Gaulle, e si struttura in unità militanti armate (i maquis). Nonostante la dimensione regionale del movimento, la presenza e l’impegno diretto nella resistenza francese aumentano enormemente il prestigio del suo fondatore, “l’âme de la Résistance a Toulouse” (Gustave Laroche).
Dopo l’occupazione tedesca della Francia (11 novembre 1942), Trentin è in costante pericolo, costretto a vivere nascostamente tra Auriac-sur-Vendinelle e Naillaux, riuscendo così a sfuggire all’arresto e alla deportazione (i suoi noms de guerre: “Adriaticus” e “Santucci” in Francia, “Professor Ferrari” in Italia, a Padova).
Nel frattempo in Italia la situazione politica è precipitata: il 25 luglio 1943 viene deposto Mussolini, al governo del paese gli succede il maresciallo Pietro Badoglio, 1’8 settembre 1943 il governo Badoglio firma l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati. Trentin cerca immediatamente di tornare in Italia. Dopo un primo tentativo clandestino attraverso la Spagna, passando per Andorra, rimpatria legalmente. Chiesto e ottenuto il rinnovo del passaporto, il 20 agosto si trasferisce con la famiglia a Nizza, il permesso da Roma giunge il 25 agosto, il 3 settembre i Trentin incontrano a Mestre Camillo Matter. Dopo quasi diciotto anni d’esilio Trentin torna a San Donà del Piave, la sua città natale.
Si riunisce con gli amici di un tempo, “i compagni indissociabili della mia vita”. Ha scritto Bobbio, allora docente a Padova e impegnato nella Resistenza veneta: “Lo riconoscemmo immediatamente come la guida che avevamo cercata. Ricordo la serenità del suo volto che incuteva rispetto, quell’austerità del comportamento che dava e chiedeva fiducia, il passo sicuro che era il segno di una conquistata calma interiore e di consapevole coraggio. La sua presenza ci offriva un incitamento per il presente e una certezza per l’avvenire”.
La sua adesione al Partito d’Azione è “legata a un terreno più operativo che politico-ideologico”. Nei due mesi e mezzo di lotta partigiana, prima della morte prematura, si trova praticamente investito della direzione del partito in tutto il Veneto”, partecipando all’attività cospirativa, ma sostenendo con Egidio Meneghetti la preminenza della direzione politica su quella militare.
Coerentemente con la linea seguita in esilio, ricerca l’alleanza con i comunisti. Con Concetto Marchesi, il principale animatore della Resistenza comunista veneta, avvia un dialogo intenso e costruttivo: Trentin è presente tra i professori dell’Aula Magna quando il 9 novembre 1943, aprendo il 722° anno dell’Università di Padova, Marchesi lancia l’appello agli studenti per la liberazione del paese..
L‘ispirazione patriottica torna nel tentativo di coinvolgere le forze armate nella lotta anti-tedesca, a cui si affianca la decisione di promuovere un’organizzazione clandestina armata. Nell’Appello ai veneti, guardia avanzata della nazione italiana, che inizia con queste parole: “l’ora del destino è suonata”, c’è la rottura dichiarata con ogni forma di attendismo e in quello “ai lavoratori delle Venezie” la condanna risoluta della Repubblica di Salò.
Nella resistenza condotta nei luoghi della sua terra natale porta l’esperienza del movimento “Libérer et fédérer”. Il modello di riferimento non è la “guerra per bande”’, ma la “guerra dietro le linee”, cioè una forma di lotta partigiana urbana e “colpista” (attentati, sabotaggi, azioni dirette a rendere precaria l’occupazione straniera).
La sera del 19 novembre 1943 viene arrestato e rinchiuso col figlio Bruno nel carcere dei Paolotti. Uscito di prigione, il suo impegno è interrotto dall’aggravarsi della malattia. Dal 6 dicembre all’11 febbraio 1944 è ricoverato all’ospedale S. Elena di Treviso, poi trasferito alla clinica Carisi a Monastier, tra Treviso e San Donà del Piave. Muore laicamente il 12 dicembre 1944.
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