10. Dalla parte dei bambini – Pietro Polito

Il 7 febbraio 1945 Ada Prospero Marchesini Gobetti scriveva al grande filosofo Benedetto Croce: «Eppure bisognerà aver la forza di rinascere, di ricostruire e di dimenticare – anche l’orrore per potere di nuovo sorridere». Si può avanzare l’ipotesi che per Ada la forza per rinascere e tornare a sorridere è da ricercare nei bambini che sono la chiave del domani.

Perché? Rispondo con le parole di una delle mie scrittrici preferite, che riprendo liberamente. Solo il sorriso di un bimbo, dolce e impalpabile, innocente e serio, si illumina di colpo e, quando si spegne, lascia agli angoli della bocca «una sorta di palpito luminoso».

Nel Diario partigiano i bambini sono onnipresenti. Ada è perennemente circondata da loro: s’incontrano bambini cittadini o campagnoli, tanti della Val di Susa, molti anonimi uccisi in un bombardamento a Milano, bambini che festeggiano la liberazione di Torino, alcuni indimenticabili come: Sergino, Graziella, Maddalena, Speranza, Stellina.

I bambini non sono solo i testimoni impotenti di una guerra devastatrice, ma portano il loro contributo alla Resistenza civile. Per esempio, un bambino ammalato consente di superare i posti di blocco o di uscire indenni dal coprifuoco; un altro fa da messaggero; la foto del nipotino di Croce diventa il salvacondotto per un paracadutista inglese. Nella Germanasca si crea una complicità tra i partigiani e i bambini che con la loro serenità aiutano gli adulti a sopportare la guerra.

Lo sguardo di Ada è benevolo, attento, tenero, anche ironico, di grande empatia. I bambini sono dei piccoli adulti di cui osserva i disegni, le manie, le paure, la saggezza, quando stanno zitti per non compromettere i partigiani. La loro funzione non è decorativa. Ada riesce a comunicare con loro perché ha conservato la parte fanciullesca di sé.

Il fanciullo sembra quasi essere l’anticipazione di una società ideale. In questa prospettiva i bambini sono accostati ai partigiani, spesso indicati con il termine «fanciullo»: un fanciullo è caduto, un altro è scomparso per sempre; Franco Dusi viene chiamato affettuosamente «bambino». Ada osserva che i partigiani in pericolo quando vengono svegliati all’improvviso hanno «i movimenti trasognati e automatici dei bambini costretti ad alzarsi più presto del solito». La stampa che ricevono da lei viene accolta «con festa fanciullesca».

Nella mente di Ada «i partigiani sono la forza del futuro con l’ideale democratico che difendono, i ragazzini responsabili saranno futuri cittadini che assicureranno il ricambio generazionale e anche la nuova società». Come gli operai per Piero Gobetti o le donne per Ada Prospero, i bambini, per la stessa Ada, sono «un vero e proprio mito che farebbe da fondamento ideale per passare dallo stato di guerra a quello di pace, dalla dittatura alla democrazia, da ieri a domani».

Si puo parlare di un vero e proprio mito del bambino. Un bambino ideale, «un essere autentico, in rottura con l’andamento della storia e portavoce di un messaggio civile»; «una creatura peculiare»; «una posta in gioco per il futuro»; una riserva di moralità: per la sua vicinanza allo stato di natura, il bambino «detiene un’energia che può riscattare il mondo vecchio e superato».

Il bambino che Ada racconta nel Diario è «una creatura della natura». Come i partigiani fanciulli, i bambini vivono «in un ordine naturale principalmente vegetale», in cui spiccano violette, primule, papaveri, rododendri, l’arnica e così via. Ada è felice per la «fioritura di nascite» che accompagna la vita partigiana e accosta gli scioperi, l’organizzazione delle bande, la preparazione dell’insurrezione alla rinascita della primavera.

Un rinnovamento analogo a quello della natura si avverte nella cultura dove si assiste a una fioritura di scritti: i figli dei partigiani leggono Babar; i partigiani hanno una loro biblioteca; Michele Giua attende a un libro scientifico; si prepara un numero dei «Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà»; Ada ha scritto l’opuscolo su Gobetti che comincia a circolare; Bianca Guidetti Serra presta a Ada un «vecchio libro» sulla storia del movimento suffragista.

Nel Diario non c’è un progetto educativo sistematico. Piuttosto Ada «costruisce un racconto emotivo centrato sul bambino, sul suo habitat, sui suoi valori insieme generosi e irrazionali ma opposti a quelli del mondo di ieri: una scelta che si addiceva al periodo di scombussolamento e di interrogazioni sul futuro. E’ il momento dell’emozione educativa, è la storia di un incontro. Privilegiare il bambino significava puntare sul domani e mettere da parte il mondo di ieri».

L’incontro con i bambini consente ad Ada da un lato di indicare «una linea civile» per l’Italia di domani, dall’altro di cercare e trovare una nuova dimensione di sé stessa. Una dimensione che svilupperà dopo la Liberazione attraverso la sua attività di educatrice. La creatura a cui Ada è stata più legata, quella a cui forse ha dato tutta se stessa, è stato il “Giornale dei Genitori”, da lei fondato nel maggio 1959 e diretto fino alla morte avvenuta il 14 maggio 1968. Nel suo testamento si legge: «Per dirla con Dante, ‘Siavi raccomandato il mio Giornale’».

I bambini, i ragazzi, i fanciulli, i giovani sono i protagonisti e i principali destinatari del lavoro educativo di Ada. Nella disputa perenne tra il partito dei padri e il «partito dei figli» (così s’intitola una rubrica del “Giornale”) Ada sa qual è la sua parte: dalla parte dei bambini che crescendo sono chiamati a continuare «la battaglia da noi lasciata incompiuta».

Postilla

Non avrei potuto scrivere questo articolo senza aver letto il bel saggio della mia amica Brigitte Maurin Farelle, Per un’archeologia del pensiero educativo di Ada Prospero, in Ada e le altre: legami femminili tra educazione e valore della differenza, a cura di Angela Arceri e Romina Capello, Biblion, Milano 2015. Le citazioni sono tratte dal lavoro di Brigitte che ispira molte considerazioni svolte nel mio articolo.

Desidero riportare il commento di Brigitte all’articolo precedente Una notte partigiana: «Per la notte partigiana hai fatto bene a suscitare le riflessioni (e la mia) poiché la storia di Ada si svolge anche di notte: le sue imprese “solitarie” (quando depone il mazzo di fiori ai piedi dell’impiccato, quando torna da un incontro con Laghi) o cruciali avvengono di notte e lei, appunto, nel testo che analizzi, fa riferimento alle grandi notti sue: in Valle Germanasca, sul ghiacciaio quando tornano da Grenoble».

Qualche libro per avvicinarsi a Ada: oltre al già citato Ada e le altre: legami femminili tra educazione e valore della differenza; Silvia Gallino, Ada Gobetti:civitas magna et opulentae opperuit me, premessa di Pietro Polito, con una nota al motto di Alessandro Ristori, Beppe Grande, Torino 2011; Maria Cristina Leuzzi, Ada Gobetti e l’educazione al vivere democratico. Gli anni Cinquanta e Ada Prospero Marchesini Gobetti, Editoriale Anicia, Roma 2014; Emmanuela Banfo, Piera Egidi Bouchard, Ada Gobetti e i suoi cinque talenti, prefazione di Giorgio Bouchard, Claudiana, Torino 2014.

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