Don Milani e Papa Francesco – Recensione di Cinzia Picchioni
Giuseppe Brienza, Don Milani e Papa Francesco, Cantagalli, Siena 2014, pp. 152, € 10,00
Ancora su don Milani?
“Dal 1949 al 2005, i contributi scritti a lui espressamente dedicati hanno raggiunto la somma incredibile di quasi 8 mila titoli [7.645 articoli, 123 documenti, 85 libri, senza contare le tesi, moltissime. NdR] Fra le altre, anche quella di chi scrive, che nutre la speranza che il Santo Padre possa dedicare un testo specifico alla scuola ed all’educazione. Magari citando Esperienze pastorali…” (p. 125).
Chi scrive queste parole è l’autore, Giuseppe Brienza, vaticanista, giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Scienze Politiche alla Sapienza di Roma. E il libro che cita, Esperienze pastorali (con i 3 puntini di sospensione) è il “famoso” testo di don Milani (l’unico che porti la sua firma) ritirato nel 1958 da una Chiesa troppo prudente. Il libro è stato tolto dal commercio, ma il Sant’Uffizio non impediva di leggerlo (e tra il 1964 e il 1965 l’ordine di ritiro fu revocato) e Papa Paolo vi approvava e stimava don Milani; dopo la morte del discusso sacerdote diversi esponenti della gerarchia ecclesiastica scrisse e mise in luce virtù e pregi della sua opera: su tutti Carlo Maria Martini e Silvano Piovanelli (cardinali di Milano e di Firenze).
Il libro di questa settimana, che nel titolo porta i nomi di don Milani e di Papa Francesco, insieme, intende raccontare le “affinità” tra loro, a cominciare dalla bella copertina, con due belle foto, di don Milani con i “suoi” ragazzi (che non potevano mancare) e del pontefice (in particolare lo sguardo e il sorriso), entrambe “virate in sepia”. Davvero elegante.
Papa Francesco, scopriamo, nel 2014 (poco dopo la dichiarazione ufficiale di decadenza del decreto del Sant’Uffizio su Esperienze Pastorali), nel discorso pronunciato di fronte a 300mila studenti, genitori e insegnanti, ha citato
“per la prima e, finora, unica volta” don Milani, come un grande esempio di educatore, che la scuola italiana dovrebbe seguire, usando queste parole: “Ma se uno ha imparato ad imparare […] questo gli rimane per sempre […] Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: Don Lorenzo Milani”, p. 119.
Due anticonformisti e i Pink Floyd
La “ferrea legge del conformismo” la chiamava don Milani, quella dietro cui si nascondono molte persone per evitare di esporsi; il sacerdote si riferiva a chi assiste alla messa come a un qualunque altro “ritrovo di persone” e non per fede. Milani scrive (proprio in Esperienze Spirituali) di non venire a messa se non ci si crede, se non si capisce, se si fa per conformismo: “Per ora lasciateci girare così […] senza stendardo e senza baldacchino, soli, pochi, piccini, ma cristiani”, p. 42. L’altro anticonformista, Bergoglio, quand’era arcivescovo di Buenos Aires
“denunciava lo stesso tipo di conformismo, che rinveniva esattamente come don Milani non solo nella pastorale parrocchiale, ma anche nella scuola […]. “Non c’è nulla di peggio […] di un’istituzione educativa cristiana che si concepisca in base all’uniformità e al calcolo, come una sorta di ‘macchina per fare le salsicce’ così duramente caricaturizzata nel film The Wall”, p. 43.
Il riferimento è al film di Alan Parker Il muro del 1982 “autentica requisitoria contro la degenerazione del sistema educativo occidentale”. La pellicola fu la trasposizione del disco omonimo pubblicato nel 1979 dai Pink Floyd.
La scuola al primo posto
Per entrambi, don Milani e monsignor Bergoglio, la pastorale e la scuola si equivalgono. Don Milani riteneva che se un parroco facesse dell’istruzione di poveri la sua principale occupazione non farebbe nulla di estraneo alla sua missione. Bergoglio, nominato vescovo di Buenos Aires da Giovanni Paolo ii, dichiarava (e lo ritroviamo in Scegliere la vita, Bompiani 2013) ai fedeli: “Non ritengo di esagerare se affermo che qualsiasi progetto che non metta l’educazione al primo posto non apporterà veri rinnovamenti”, p. 53.
Nel Capitolo iii e iv del libro di questa settimana troviamo inoltre i racconti della ““scuola sociale” pensata da Bergoglio, per molti versi rispondente nella sua ispirazione alla “scuola popolare” creata da don Milani”, pp. 91 ss. Don Milani nel 1947 (con una scuola) e Bergoglio 50 anni dopo (creando un apposito “Vicariato dell’educazione”), hanno pensato all’elevazione culturale e spirituale dei giovani.
La cura al primo posto
Il famoso motto milaniano “I care” è stato usato per il titolo dell’evento (cui abbiamo già fatto riferimento) del maggio 2014: “We care. Papa Francesco incontra la scuola”. E quando era vescovo di Buenos Aires Bergoglio propose già il motto a chi insegnando volesse vivere a fondo la propria missione, “sebbene la cultura profondamente antisolidale in cui viviamo lo spinga quotidianamente a fare spallucce dicendo “Che me ne importa””, p. 105.
A suo tempo don Milani aveva spiegato (in L’obbedienza non è più una virtù, Lef 1967) il significato del motto, difendendosi dall’accusa di aver incitato alla disobbedienza militare:
“Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia […] Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I care”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego””, p. 105.
Don Milani vive. Papa Francesco viva
Se già vi piaceva don Milani, con questo libro vi piacerà di più.
Se già vi piace papa Bergoglio, con questo libro vi piacerà di più.
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